C'era una volta un Milan stanco, senza idee, prevedibile e dalla manovra compassata. Correva l'anno 2019, il mese era quello di agosto, al timone dei rossoneri Marco Giampaolo, un tecnico osannato dalla critica per le sue idee di calcio - peraltro mai viste in campo -, fortemente voluto da Maldini e Boban, certi di riportare il Diavolo ai fasti di un tempo grazie al bel gioco promesso dal tecnico di Bellinzona.

Si parlava di Giampaolo come un maestro di calcio, accostandolo talvolta anche al profeta di Fusignano Arrigo Sacchi, l'uomo che ha saputo forgiare la squadra di club più forte di tutti i tempi. Un confronto a cui Giampaolo non ha saputo tenere testa: l'8 ottobre 2019, dopo 4 sconfitte in 7 partite, il Milan saluta Giampaolo e chiama al suo posto Pioli.

Inizialmente la musica non muta: nonostante le idee in campo appaiano meno confuse rispetto alla gestione precedente, la melodia espressa dall'undici rossonero risulta ancora stonata. Si capisce che il vento è cambiato, ma per navigare a vele spiegate serve qualcosa di più. Sacchi avrebbe chiesto un solista per dare il “la” all'orchestra e aiutare la squadra a suonare in modo armonico e corale.

E così è stato: il 2 gennaio 2020, il giocatore della svolta sbarca a Milano, Ibra è tornato a casa. Anno nuovo, entusiasmo ritrovato: nei tifosi, ma soprattutto nei giocatori. Durante gli allenamenti - dicono da Milanello - la squadra corre il doppio e la sola presenza di un campione carismatico come l'attaccante svedese regala nuova linfa all'ambiente rossonero.

Affidarsi solo a Ibrahimovic, però, sarebbe un suicidio sportivo. È invece necessario cavalcare questo insperato impeto – visti i risultati – per dare una svolta decisiva e definitiva alla stagione.

E Pioli lo ha capito. E lo ha messo in pratica. Come? Ispirandosi al vate rossonero Arrigo Sacchi: lo schema è lo stesso del Milan degli Immortali, il 4-4-2, l'idea tattica si assomiglia, con una forte tensione alla manovra allargata sugli esterni e la ricerca degli spazi e delle sovrapposizioni è costante.

Certo, Castillejo non è Angelo Colombo, così come Conti non è Tassotti o Leao non è Ruud Gullit, ma questo Milan che prova a plasmarsi sul passato glorioso piace, diverte, appassiona e, soprattutto, vince.

E allora perchè non sperare che a distanza di 30 anni la storia si ripeta? Il Milan di Sacchi iniziò la sua epopea balbettando e poi conquistò l'Europa e il mondo. Anche Pioli non è partito con il piede giusto, ma ora la marcia è di quelle che fanno immaginare scenari aurei.