Avevano nomi di battesimo lunghissimi, da cui la necessità del diminutivo. Portavano capelli lunghi, come in Italia nemmeno le donne usavano. Emanavano libertà mentale e apparente senso di autogestione. Erano la Riforma Protestante fatta pallone e giocavano in un modo che non si era mai visto prima. Gli anni 70 vengono segnati a fuoco da quello che viene definito il “calcio totale” olandese. Come se Calvino, il grande teologo del XVI secolo, avesse preso un pallone e ne avesse ridisegnato le forme. La rivoluzione. Tutti sapevano fare tutto, tutti potevano essere tutti, al momento opportuno. In quell’inizio di decennio le squadre dei Paesi Bassi dominano la scena europea, contro di loro sembra mancare la contromisura. Merito di campioni assoluti, ma anche di un assetto tattico che non permette all’avversaria di ragionare. Corsa, uso spregiudicato del pressing e del fuorigioco, possesso palla per almeno tre quarti della partita. In quegli anni c’è il Feyenoord che vince la Coppa dei Campioni 1970, c’è il PSV Eindhoven (la squadra della Philips), ma c’è soprattutto l’Ajax di Amsterdam. Mercoledì 2 giugno 1971, stadio di Wembley. La formazione di Johan Cruijff vince la Coppa dei Campioni battendo in finale il Panathinaikos di Atene. Un cuore di tenebra si abbatte sull'Europa. È il primo trofeo di un trittico stupendo, che impone il calcio olandese ai vertici assoluti. Qualcuno sostiene che l’aggettivo “epocale” venga usato troppo spesso a sproposito. Tranquilli, non in questo caso.

NESSUNO ESCE VIVO DA QUI. Spuntano dal tunnel dello spogliatoio e non sorridono per niente. Alcuni di loro hanno un pallone in mano e la faccia non lascia presagire nulla di buono per l’avversaria. “Oggi non sarà come due anni fa contro il Milan, oggi li facciamo neri”, sembrano dirsi tra loro i giocatori dell’Ajax. Non lo dicono in modo esplicito ma gli sguardi sono eloquenti. Concentrazione mista a cattiveria agonistica. I “lancieri” di Amsterdam hanno percorso una lunga strada per giocarsi la finale di Londra e ora devono compiere l’ultimo atto. Non può esistere la sconfitta. Non sono pompieri, sono incendiari puri, loro. Nel 1969 avevano perso per 4-1 contro Rivera e compagni, ma quella volta aveva prevalso un problema di esperienza internazionale. Stavolta no, non ci sono scuse. Quella volta erano gli outsider, ora sono i favoriti. Semmai sono quelli del Panathinaikos a dover fare la parte della lepre, perché oggi i cacciatori sono loro e lo stomaco sente i morsi della fame. C’è in particolare un giocatore che si sente in credito con la sorte: è il capitano, lo jugoslavo Vasovic. Nel 1966 con la maglia del Partizan Belgrado il difensore serbo ha perso in finale contro il Real Madrid. Si è “ripetuto” contro il Milan nel ’69 e non accetta l’ipotesi che non ci sia “due senza tre”, anche perché è all’ultimo anno di carriera. Dunque, adesso o mai più. Ma anche gli altri hanno sete di vendetta e fame di vittorie. Johan Cruijff è già un re, gli manca un regno. E nel calcio gli imperi si costruiscono con i fatti.

E’ LA SOMMA CHE FA IL (CALCIO) TOTALE. L’allenatore Rinus Michels ha in mano una squadra fenomenale, con un gioco innovativo che non tutti all’inizio riescono a comprendere. Il calcio totale si fonda su alcuni punti cardine ed è da qui che parte una delle più grandi rivoluzioni tattiche della storia del calcio. Quando vuole scardinare le difese avversarie che si chiudono a riccio, l’Ajax fa circolare palla per vie orizzontali. Il movimento senza palla fa la differenza, perché ogni giocatore sa cosa deve fare. Poi, una volta aperto il varco, la qualità individuale e complessiva completa il tutto. Secondo la filosofia di Michels un altro elemento basilare è il pressing sul portatore di palla avversario. Un accorgimento che di fatto accorcia il campo e mette l’avversario nella seria difficoltà di impostare il gioco. Un altro aspetto, che in quel momento è ancora poco sfruttato altrove, è l’uso ricorrente del fuorigioco. Lo scatto simultaneo in avanti della difesa al momento giusto rende inoffensive le punte avversarie. Le quali, se vogliono trovare palloni giocabili, devono retrocedere a centrocampo, lontane dal luogo in cui si finalizza la manovra. Il portiere deve imparare a dominare la sua area di rigore con uscite sicure e a gestire il pallone anche con l’uso dei piedi, se necessario. Il collante di tutti questi aspetti è la corsa, unita a una preparazione atletica specifica e talvolta differenziata in base ai ruoli. L’assemblaggio delle singole parti, cui si aggiunge la capacità tecnica, compone l’Ajax di Amsterdam. Michels schiera di preferenza il 4-3-3. Se queste sono le premesse, il 2 giugno 1971 per il Panathinaikos sarà durissima e la rivoluzione inizierà proprio quel mercoledì.

IL DIVINO FERENC. Ma i greci hanno un’arma segreta in panchina. L’allenatore è Ferenc Puskas, il più grande giocatore ungherese di sempre e uno di quei 7-8 eletti che fanno la storia planetaria di questo sport. L’ex attaccante della Honved, del Real Madrid e della Nazionale magiara ha smesso di giocare da tempo e nei primi anni 70 fa l’allenatore. Dopo una serie di esperienze negli Stati Uniti, in Canada e in Spagna siede sulla panchina di una delle più titolate squadre greche. Il Panathinaikos soffre molto la rivalità con l’Olimpiakos ed essere la prima formazione ellenica ad aver fatto propria la Coppa Campioni azzererebbe di colpo il gap con l’avversaria del Pireo. Puskas è l’uomo giusto. Pur non avendo un carattere facile, entra presto in sintonia con società e tifosi. Il motivo è semplice: sente proprie le ansie di rivalsa di un’intera tifoseria. Ancor oggi, per un tifoso della squadra con il Trifoglio bianco sulla maglia verde, Puskas è uomo-padre-allenatore. Un rapporto di natura quasi edipica che il tempo non ha smussato. Ha in mano la squadra sotto ogni profilo, anche quello psicologico. Il presidente stesso lo lascia lavorare in pace e non si intromette. Ed è anche profeta, il tecnico, quando a inizio stagione 70-71 dice al centravanti Antoniadis: “Allenati sodo e con me sarai il capocannoniere della prossima Coppa Campioni”. All’inizio nemmeno Antonis Antoniadis crede alle parole del “divino”. Male, malissimo. Gli dei hanno sempre ragione e bisogna creder loro in tempi non sospetti. Non dopo, ché è facile.

IL CAMMINO DEI LANCIERI (E DEL TRIFOGLIO). Quelli dell’Ajax vengono chiamati “lancieri” perché il nome della squadra deriva da Aiace Telamonio, un personaggio mitologico dell’antica Grecia, un lanciere. Aiace è incazzato e valoroso, i giocatori della squadra di Amsterdam non sono da meno. Eppure nell’edizione 1970/71 non partono benissimo, perché contro i modesti albanesi del KF Tirana non è una passeggiata. Ma è ancora estate e la preparazione fisica non è ultimata. Sì, perché l’Ajax ha una particolarità: può vincere con fatica, ogni tanto, ma nei momenti che contano c’è sempre. Il più delle volte finisce la stagione in crescendo e appiattisce come un rullo tutto ciò che incontra sulla sua strada. Quel 4-3-3 è progettato proprio come una macchina sportiva di distruzione di massa. Ne sanno qualcosa al secondo turno gli svizzeri del Basilea, annichiliti per 3-0 in terra d’Olanda e poi 2-1 a domicilio. Nel frattempo il Panathinaikos ha superato i lussemburghesi dello Jeunesse d’Esch e gli slovacchi dello Slovan Bratislava. Da questo momento sono rimaste 8 squadre e dovranno assottigliarsi ancora. Sia per l’Ajax sia per i greci il sorteggio non è del tutto benevolo, ma a questo punto della stagione è chiaro che squadre comode non ce ne sono più. La squadra di Rinus Michels deve vedersela con il Celtic United, mentre l’urna associa il Panathinaikos ai campioni d’Inghilterra dell’Everton. La pratica Celtic viene archiviata con successo perché all’andata gli olandesi vincono in casa per 3-0. Il ritorno è quasi una formalità. Vincono gli scozzesi ma il gol di Jimmy Johnstone è del tutto inutile. Passa anche la formazione allenata da Puskas: a Liverpool finisce 1-1 (anzi, i greci meriterebbero la vittoria). Con lo 0-0 ad Atene, il Panathinaikos è in semifinale, un evento senza precedenti per il calcio ellenico. Il Trifoglio colpisce ancora. Sono rimaste 4 squadre per un solo trofeo. Gli accoppiamenti: Ajax-Atletico Madrid e Stella Rossa Belgrado-Panathinaikos. Se i “lancieri” fanno valere per l’ennesima volta la “legge del 3”, regolando in casa gli spagnoli per 3-0, l’impresa della formazione greca ha un che di eroico. La Stella Rossa vince all’andata per 4-1. È un passivo pesante e una severa lezione di calcio. Nessuno scommetterebbe una dracma sul Panathinaikos. Nessuno tranne Ferenc Puskas. Riesce a caricare a pallettoni la squadra e quella sera entrano in campo 11 belve assatanate. È il 28 aprile 1971, una data che i tifosi del Trifoglio non scordano, non scorderanno. Lo stadio “Apostolos Nikolaidis” è una bolgia e i giocatori di casa sono praticamente perfetti. Finisce 3-0 e in finale vanno gli ateniesi. Antoniadis segna una doppietta e a fine partita si ricorda delle perole del mister a inizio stagione: con 10 reti sarà lui il capocannoniere della Coppa Campioni.

LONDRA, 2 GIUGNO 1971. Il golpe del calcio sta per scendere in campo. Ferenc Puskas conosce lo stadio di Wembley. 18 anni prima vi aveva segnato un grandissimo gol durante un’Inghilterra-Ungheria 3-6 che è passata alla storia come la prima sconfitta interna nella storia degli inglesi. Il tecnico sa che l’Ajax è più forte e forse in cuor suo non nutre nemmeno troppe speranze. Puskas è persona di mondo ed è troppo intelligente per illudersi. Ma già così ha regalato un sogno alla sua “gente adottiva”. Anche solo per questo si sente un po’ greco. Pardon, ateniese. L’Ajax non è arrivato a Wembley per spirito dilettantesco e procede feroce verso la conquista della Coppa. Negli anni la squadra olandese è cresciuta come collettivo e il gioco che mostra in campo annichilisce chiunque. Johan Cruijff è maturato e ora è una star di livello internazionale. Uno del livello di Puskas, sentenziano gli esperti. Gioca a tutto campo, i suoi spostamenti lungo l’asse avanzato non danno scampo a nessuno. Segna, fa segnare, contrasta e poi costruisce di nuovo l’azione. Avere lui in squadra è come una rete segnata negli spogliatoi. È la stessa persona ma sembrano 4 giocatori diversi. È un leader autentico e con lui difficilmente l’Ajax può sbagliare. Non sbaglierà. La finale di Coppa dei Campioni 1970-71 finisce 2-0 per i “lancieri”. Il Panathinaikos fa quel che può ma nulla è abbastanza contro 11 marziani. Gol di Van Dijk dopo 5 minuti e raddoppio di Haan sul finale, dopo un’incredibile incursione di Cruijff finalizzata a dovere. Sono quasi le 11 di sera di mercoledì 2 giugno 1971 e la rivoluzione è servita. Gli olandesi si ripeteranno nel 1972 in finale contro l’Inter a Rotterdam e poi nel 1973 contro la Juventus, a Belgrado. Altre due imprese memorabili del calcio totale che non a tutti i tifosi italiani fa piacere ricordare.

Diego Mariottini