Ancora oggi, quando leggo dei documenti o guardo filmati che illustrano la splendida rimonta del Toro sulla Juve del 1976, rivedo la gente del Toro felice, con le bandiere al vento, con ogni sorta di indumento granata addosso e non poca è la nostalgia che mi prende. Gente unita, che componeva un’unica folla in movimento come una marea, con le sue onde, i suoi flussi e riflussi, di un mare color granata, come se fosse illuminato dal sole attraverso vetri cattedrali, in una visione reale di quel tempo straordinario.
Quel giorno il Torino, se avesse vinto, avrebbe conquistato il primo scudetto dopo il Grande Torino, e tutta la città, dopo 27 anni, sognava questo momento, lo auspicava, lo reclamava, senza sosta con la squadra giovane ed agile che Radice aveva così bene amalgamato.

Arrivai allo Stadio per tempo, quel 16-5-1976 per assistere a Torino – Cesena, ultima del campionato 1975 – 76, decisiva per la conquista dello scudetto. Era una giornata di sole di primavera avanzata, molto calda. Appena dentro allo stadio fui colpito da quella moltitudine di gente granata che si stendeva davanti a me. Mai più vidi lo stadio del Toro così, completamente “Ros come el sang, fort come el barbera” (Arpino). Era un incredibile sventolar di nostre bandiere, molti avevano un copricapo granata, gadget fornito da una famosa ditta di aperitivi torinese, e tra le bandiere, le sciarpe ed i copricapo granata tutto lo stadio si presentava come un arena perfettamente monocromatica, i cori intonati da tutto lo stadio con voci potenti anche se di diverso timbro, ritmate dai tamburi delle due curve.
Quel giorno si fece il tifo tutti uniti, tutti per la Squadra del Torino..
Eravamo arrivati in anticipo lo Zio, un suo amico, ed io in curva Primavera. Ciò nonostante a stento trovammo posto, ed una volta giunti, potemmo goderci con gioia lo spettacolo dello stadio colmo di 75.000 spettatori.
L’attesa fu lunga e si fece sempre più spasmodica. Per stemperare l’atmosfera. lo Zio ed io raccontammo alcuni aneddoti relativi alle due ultime trasferte. Contro il Verona, Zio ricordò quando fummo sorpresi da un nubifragio a pochi minuti della partita e lui fece fare la doccia a un signore, in quanto il vento aveva piegato l’ombrello a catinella e al colmo si riversò sul capo di un tifoso il quale protestò energicamente; io raccontai di Roma, con la Lazio, dove mi trovavo in gita scolastica ma preferii gli spalti dell’Olimpico a Tivoli, con grande disappunto della Professoressa di storia dell’arte, juventina.

Quel Gran Giorno, al Comunale di Torino (Ora Stadio Olimpico Grande Torino) si iniziarono i festeggiamenti con il giro del campo di uno stendardo bianco con scudetto dedicato al Grande Torino: bellissimo, curato, sostenuto da migliaia di palloncini, evidentemente in numero non sufficiente. Quando gli inservienti abbandonarono lo stendardo non voleva volare, non volle saperne di staccarsi dal suolo. Lo scudetto doveva per forza prendere il volo, se no sarebbe stato segno di sventura. In qualche modo lo si alleggerì, finchè riuscì a volare, seguito a lungo dagli sguardi commossi di tutto la gente allo stadio che vedeva lo scudetto avvicinarsi al cielo, cioè agli Invincibili.
Dopo lo stendardo venne un cartellone con una caricatura della Juve piangente, con la scritta “La pietà” che diverti molto gli spettatori.

Ecco entrare le squadre! Si disposero in campo, l’arbitro, Sig. Casarin, e i suoi collaboratori, fischiò e l’incontro ebbe inizio. Finalmente si giocava e l’ansia dell’attesa si era trasformata in tifo accanito. Dagli spalti sembrava che la tensione rallentasse un po’ i giocatori; il Torino attaccò costantemente per tutto il primo tempo, ma senza riuscire a segnare, nonostante il sostegno molto intenso di tutte le migliaia di spettatori.
Nell’Intervallo la discussione fu fitta e concitata, chi si dannava per un goal mancato, l’altro per un rigore non dato, o un fuorigioco inesistente, anche se l’arbitro nel complesso aveva arbitrato finora bene. Si discuteva anche della tattica che Radice avrebbe adottato nel secondo tempo. Fortunatamente intervennero i venditori di bevande con le loro grida “Caffè, bibite , panini, gelatiiiii!” Dopo, rinfrancati dalle bevande, si riuscì persino a scherzare un poco e ad essere ottimisti.

Nel secondo tempo il Torino si mise subito in forcing e si giunse al momento fatidico: al 10°st tutto lo stadio fu scosso da un boato: Sandro Ciotti aveva appena comunicato per radio che la Juve perdeva a Perugia. L’eco allo stadio durò a lungo, la squadra lo avvertì e sotto l’urlo della folla diede la zampata decisiva: al 16°st Ciccio Graziani stoppò male il pallone, lo recuperò e lo crossò con una palla tagliata, bassa e tesa. Pulici si gettò in tuffo, ed all’altezza di 30 cm. da terra, colpì di testa ed insaccò, prima che lo stopper del Cesena Danova potesse calciare. GOAL!
Lo stadio esplose. Il Torino era in vantaggio, eravamo a 29’ dalla vittoria ed il Toro avrebbe conquistato il suo primo scudetto dopo Superga. Enrico Ameri diede, con grande entusiasmo, la notizia alla radio del goal di Pulici che portava in vantaggio i granata.
L’intensità della festa si innalzò immediatamente, la gioia di tutto lo stadio proruppe in un urlo, donando un vero tripudio alla Squadra. Disgraziatamente si sa, per il Torino, le cose non possono mai risultare facili: sembrava quasi fatta, era il 27°st quando Mozzini, per un malinteso con l’altro difensore, per disavventura fu colpito sul capo dal pallone che rotolò in rete nonostante il tuffo di Giaguaro Castellini. Il Toro si buttò all’attacco con ostinazione per cercare di vincere la partita, ma non vi riuscì. Gli ultimi minuti furono lunghissimi, finchè l’arbitro, il Sig. Casarin, fischiò la fine.

Non era ancora finita, si doveva attendere qualche minuto con il fiato sospeso per apprendere il risultato finale da Perugia. Ogni intervento alla radio poteva essere quello buono e quando Sandro Ciotti confermò che la Juve era stata battuta per 1 a 0, assegnando di fatto lo scudetto al Torino, fu l’apoteosi, la gente ebbra di gioia, quasi impazzì. I giocatori fecero festa, qualcuno pianse di gioia per la felicità e sfogando la tensione enorme sopportata per tutta la partita.
Radice invece si arrabbiò molto, in quanto il Torino non era riuscito a vincere tutte le partite in casa, come il Grande Torino, ma si sa, gli Invincibili sono tali anche per il Torino.
Un grande riconoscimento sportivo andò al Cesena che aveva efficacemente e sportivamente contrastato il Torino per tutta la partita.
La festa proseguì senza invasione di campo con i giocatori presenti sul terreno di gioco. Successivamente, il Torino Campione d’Italia fece il giro d’onore con il suo Presidente Orfeo Pianelli, nel suo scaramantico vestito invernale, mentre il pubblico scandiva “Campioni – Campioni”.
Lo scudetto discese dal cielo azzurro portato dal gruppo Paracadutistico Aeroclub Torino, idealmente inviato dagli Invincibili che sicuramente avevano visto la partita dal loro posto in cielo.


La festa si espanse a tutta la città, fino a Superga dove si recarono 60.000 persone in fiaccolata la sera con i calciatori su di un pulmino, il quale non riuscì ad arrivare alla Lapide degli Invincibili a causa della folla pressante.
Per un mese Torino fu color granata, spuntarono bandiere per ogni dove e non si poteva muoversi per la città senza incontrare in un angolo, in un balcone, su un lampione una bandiera granata memore della festa di quel giorno e di tutti gli artefici di quella vittoria.
Il popolo granata ricorderà sempre quella rimonta, perché, come disse il dott. Caselli:  “E’ il Toro che ti abitua ad andare controcorrente, ad essere sempre da una certa parte anche quando le cose non vanno bene”.
Ed io, nel mio piccolo, posso affermare: “Quel giorno c’ero anch’io”.