Palermo è città greca per nascita, per l’azzurro del cielo e la mitezza del clima, per il suo essere un museo a cielo aperto. È città romana per il ricordo delle lotte contro Cartagine. È città araba per il labirinto delle sue viuzze e per le cupole delle sue chiese più belle, un tempo moschee. È città tedesca per il prestigio culturale che i Normanni le seppero conferire. È città francese e spagnola per le tracce che questi popoli lasciarono nel suo dialetto. È infine città inglese per i natali della sua squadra di calcio, il Palermo F.C.
Dalla sua fondazione, all’inizio del secolo scorso ad opera di un gruppo di famiglie dell’alta borghesia inglese trasferitasi in Sicilia, il Palermo Calcio è passato attraverso numerosi ribaltoni societari, fallimenti e rifondazioni, ma anche stagioni trionfali e traguardi storici.

LE ORIGINI INGLESI. Il 1° novembre del 1900 nasceva l’Anglo-Palermitan Athletic and Foot-Ball Club, su iniziativa di Ignazio Majo Pagano, un giovane che innamoratosi del calcio in Inghilterra aveva deciso di importarlo nella sua città. Venne nominato presidente il viceconsole britannico dell’epoca, Edward De Garston, e inglese fu anche il suo primo allenatore, George Blake. Le prime partite videro l’Anglo-Palermitan fronteggiare le squadre degli equipaggi inglesi attraccati al porto di Palermo e vennero disputate in una delle proprietà dei Whitaker, ricca famiglia di imprenditori originari del West Yorkshire e trapiantati in Sicilia. I colori ufficiali, inizialmente il rosso e il blu, divennero dopo pochi anni il rosa e il nero, sempre su iniziativa dei Whitaker. Infatti, il rosa e il nero erano i colori del rosolio e dell’amaro, entrambe bevande prodotte dalla famiglia inglese e che venivano bevute tradizionalmente alla fine di ogni partita, per brindare alla vittoria il primo e per dimenticare la sconfitta il secondo.

GLI ANNI ’70: IL PALERMO DI RENZO BARBERA. Furono gli anni di Renzo Barbera, uno dei presedenti più amati dal popolo palermitano e a cui venne dedicato, alla sua morte, lo Stadio La Favorita. In quel decennio il Palermo ricevette la Stella d’Oro al Merito Sportivo e, pur non avendo militato nella massima serie, raggiunse due volte la finale di Coppa Italia, nella stagione 1973-1974 e nella stagione 1978-1979. In entrambe le occasioni, però, uscì battuta, la prima volta per mano del Bologna e la seconda per mano della Juventus di Trapattoni e dell’ex Franco Causio. “La cosa che non potrò dimenticare sono le lacrime di coloro che vennero a Roma e a Napoli per seguire la squadra”, ripeteva Renzo Barbera ricordando l’amarezza per le due finali perse. Ma fu la sconfitta del ’74 quella più dolorosa. Il Palermo, in vantaggio per tutta la partita, fu raggiunto nei minuti finali con un rigore concesso per un fallo, rivelatosi poi inesistente; dopo il pareggio, i supplementari e l’epilogo sfortunato alla lotteria dei rigori.

GLI ANNI ’90: IL PALERMO DEI PICCIOTTI. Questi anni non furono da incorniciare per i risultati sportivi, anche se va detto che risale a questo decennio l’unico trofeo ufficiale nel palmares della società rosanero, la Coppa Italia di Serie C, vinta nel 1993 ai danni del Como. Ma gli Anni ‘90 furono memorabili soprattutto per i protagonisti in campo e sugli spalti, e concedetemelo, per i bellissimi ricordi legati alla mia infanzia. In quegli anni la società versava in una situazione finanziaria tutt’altro che rosea e allestì una squadra di giovani debuttanti, attingendo al vivaio di casa propria. Era il Palermo di Capitan Biffi, di Gianluca Berti e Gaetano (detto Tanino) Vasari, Giacomo Tedesco e Francesco Galeoto. E nel 1995 anche la panchina venne affidata ad un palermitano, un certo Ignazio Arcoleo nato a Mondello, bandiera storica del Palermo Calcio, il giocatore con più presenze nella storia della società rosanero (ben 221). Quella fu anche la stagione più positiva del decennio: il Palermo lottò a lungo per la promozione ma alla fine dovette accontentarsi di un comunque onorevole settimo posto. Il prima e il dopo furono un continuo saliscendi tra Serie C1 e Serie C2 ma, e sarà stato forse per il DNA tutto palermitano, la città non fece mai mancare alla squadra il suo amore incondizionato e la sua presenza calorosa allo stadio. Non che lo spettacolo giustificasse un tale seguito. Ricordo ancora papà, da buon intenditore di calcio quale è, rimbrottare i giocatori ad ogni stop sbagliato (e non erano pochi) o indicare ai centrocampisti di allargare il gioco invece di imbottigliarsi a metà campo…per non parlare dello sgomento di fronte all’ennesimo cross fuori misura o all’ennesima ciabattata sparata in curva. No, per gli amanti del calcio non era un bel vedere, ma per una ragazzina atipica assetata di pallone era godimento allo stato puro: papà che tornava a casa con i due biglietti in mano, l’attesa spasmodica della domenica, la fila all’ingresso della gradinata (perché la Curva Nord, quella del tifo organizzato, non si addiceva ad una bambina della mia età), il Cornetto Algida all’intervallo e nel mezzo…i cori dei tifosi, la mia attenzione totalmente calamitata da quello che succedeva in campo e in sottofondo da un lato gli irripetibili (ma folkloristici) improperi rivolti all’arbitro e dall’altro i commenti tecnici di mio papà. Proprio un gran bel periodo.

GLI ANNI 2000: MIZZICA CHE PALERMO. Furono gli anni di Maurizio Zamparini, subentrato a Franco Sensi alla presidenza della società. Al termine della seconda stagione giunse la promozione in Serie A, dopo ben 31 anni, salutata dalle lacrime di gioia di una città che finalmente tornava nel calcio che conta. Da lì in poi un crescendo di piazzamenti di prestigio in campionato, le ripetute qualificazioni in Coppa Uefa (dove la squadra si spinse fino agli Ottavi nella stagione 2005/2006), la finale di Coppa Italia poi persa contro l’Inter nel 2011, lo scalpo di squadre titolate in particolare quello della Juventus, battuta 4 volte in casa e 3 volte a Torino tra il 2005 e il 2011. Oltre alla visione e al portafoglio di Zamparini, il merito di quei successi è da attribuirsi ai due Direttori Sportivi che si alternarono in quegli anni, Rino Foschi e Walter Sabatini. Infinita la lista di talenti che lanciarono al Palermo: da Miccoli a Dybala, da Cavani a Pastore, passando per Ilicic, Sirigu e Vasquez. A questi si aggiungano i quattro nazionali che presero parte alla spedizione azzurra Campione del Mondo 2006: Andrea Barzagli, Cristian Zaccardo, Fabio Grosso (“ommioddiofabiogrosso”) e Simone Barone. Era un Palermo spumeggiante che oltre ai risultati offriva ottimo gioco, era l’esaltazione del collettivo nel quale si innestava alla perfezione il talento dei singoli, anche grazie al sapiente lavoro di tecnici di indubbio valore. Tra questi (elencarli tutti non sarebbe impresa facile visto il numero di allenatori che hanno figurato sul libro paga di Zamparini) una menzione a parte meritano Francesco Guidolin e Delio Rossi, sotto la cui guida si espresse il miglior Palermo di quegli anni.

Ma nel 2016, proprio quando la società si apprestava a festeggiare lo storico traguardo delle mille partite disputate in Serie A, arrivò anche l’ultima retrocessione. Da lì in poi fu un continuo susseguirsi di cambi al vertice del club, nel tentativo di Zamparini di vendere la società. Fino al triste epilogo del 18 ottobre 2019 quando la Società "U.S. Città di Palermo" fu dichiarata fallita dal Tribunale di Palermo e Maurizio Zamparini venne indagato per bancarotta. La storia del Palermo non è purtroppo nuova alle crisi societarie: la più clamorosa fu quella del 1986 quando la società, radiata dalla FGCI per il mancato risanamento della propria situazione debitoria, scomparve senza praticare l’attività calcistica ufficiale per un intero anno.

Tuttavia, da ogni caduta il Palermo Calcio, sostenuto dall’amore dei propri tifosi e dallo sforzo delle istituzionali locali, ha sempre saputo rialzarsi. Dopo la sentenza del 2019 il Palermo, guidato dal Presidente Dario Mirri, è ripartito da zero, dalla Serie D, per la prima volta in 120 anni di storia ha militato in una categoria dilettantistica. Ma si sa, quando si tocca il fondo si può solo risalire. E il Palermo la sua risalita l’ha già intrapresa, tornando in Serie C l’anno successivo.

La scalata è ancora lunga, è vero, ma è di Palermo che si tratta: una città, capace nei secoli di sopravvivere e anzi di prendere il meglio da ogni dominazione straniera e una squadra che, come un’Araba Fenice, è sempre risorta dalle sue ceneri.
Dal profondo del cuore, ad maiora!

Chiara Saccone