Se Dybala è il tango, Lautaro è la corrida.
Credo che proprio nell'idea di corrida si nasconda tutto il modo di giocare della bocca di fuoco interista e metterlo a confronto con un altro "diez" che interpreta il ruolo in maniera totalmente differente risalti le sue caratteristiche, attaccante di nuova generazione tanto istintivo quanto generoso. Queste due facce diverse della stessa medaglia alimentano sterili polemiche sull'incisività e sull'apporto che effettivamente Lautaro porta alla squadra, poichè lo portano ad avere lunghi periodi di digiuno dal gol durante i quali il giocatore, sfiduciato proprio dal momento no, tende a regredire sia tecnicamente che tatticamente. 

Guardando nel dettaglio le prestazioni del numero dieci nerazzuro ci si accorge senza difficoltà di questi suoi periodi di appannamento, lungo la corrente stagione infatti non è andato a segno dalla 8a alla 12a giornata ma soprattutto, dopo la rete alla Salernitana del 17 Dicembre, ha dovuto attendere il ritorno proprio con la squadra campana il 4 marzo per poter tornare a timbrare il cartellino (624'), quando lo fece con una tripletta. Salta all'occhio inoltre un feeling non propriamente ottimale con i calci di rigore (solo 3/6 i rigori segnati), dati che gli hanno di fatto perdere l'egemonia sulle massime punizioni, a cui vanno aggiunte le numerose palle gol "semplici" da lui sbagliate per la troppa foga agonistica o durante i suoi fisiologici cali di rendimento.
Per quanto riguarda il discorso dei rigori, dato che nonostante il 100% dal dischetto di Chalanoglu (4/4) e Perisic (2/2), nessun giocatore lascia davvero sicurezza nell'Inter come rigorista, perlomeno non dopo uno specialista come Lukaku (14/14 a Milano), la freddezza e il cinismo vengono con l'esperienza e l'abitudine a giocare ad alti livelli soprattutto per i giocatori passionali come El Toro de Bahia Blanca. 

Non è un caso che di anno in anno l'argentino abbia sempre migliorato il proprio score durante il campionato, e se nel suo primo anno dovette guadagnarsi il posto con un Mauro Icardi irremovibile fino ai famosi diverbi con la società meneghina, durante il biennio Contiano fu la spalla perfetta dell'allora numero 9 nerazzurro Romelu Lukaku. I due formarono la già leggendaria coppia LuLa, capace di 41 gol e 20 assist lo scorso campionato (per trovare una coppia cosi prolifica in Serie A bisogna risalire al '58/59 con Angelillo e Firmani), secondi solo al duo bavarese Lewandoski-Muller, trascinati dai gol del bomber polacco. Sotto la guida di Conte si fermò rispettivamente a 14 e 17 gol a stagione giocando proprio alle spalle del gigante belga nel classico 3-5-2, ormai marchio di fabbrica nerazzurro. 

Avere un giocatore come Lukaku a impegnare fisicamente la difesa e ad aprire gli spazi ha messo Lautaro nella situazione ideale, essendo un giocatore abile nel districarsi negli spazi stretti (giocò a basket fino ai 14 anni e tuttora grande appassionato), dotato di ottima lettura delle azioni e rapidità nei movimenti. Inoltre è un attaccante che rende complicata la sua marcatura con un movimento continuo e specialista nel segnare di anticipo e prima intenzione. Quest'anno, avendo come partner Edin Dzeko, attaccante paragonabile a Big Rom solo nella stazza, Lautaro si è caricato sulle spalle il peso dei gol, incidendo nettamente di più sebbene, paradossalmente, sia stato impiegato meno da Simone Inzaghi. Alla voce minuti giocati infatti abbiamo i 2466' e 2576' con Antonio Conte contro i 2298' che potrà raggiungere al massimo giocando interamente l'ultima partita.

Nonostante ciò, le reti in campionato sono 21 (record personale con una giornata mancante), condite da 3 assist, in 34 presenze, numeri che lo rendono il capocannoniere della Beneamata e lo proiettano sul podio dei migliori attaccanti della Serie A. Il dato ancora più positivo è rappresentato dai 105' che separano le sue marcature (152' lo scorso anno), che scendono a 92' invece guardando le partecipazioni dirette a una rete, ossia circa 1 a partita, a sottolineare comunque il grande apporto realizzativo del 10 nerazzurro.
Abbastanza deludente il tabellino in Champions con la sola rete di pregevolissima fattura siglata ad Anfield Road durante il ritorno degli ottavi, mentre lo storico racconta di un discreto 7/23 lungo il Vecchio Continente. La fame e la rabbia agonistica che lo contraddistinguono, a volte cause di scarsa lucidità nelle scelte e nelle giocate, lo portano però ad avere un atteggiamente determinato e concentrato per tutta la partita senza avvertire la pressione dei grandi match, Real Madrid, Liverpool, Barcellona e Borussia Dortmund le sue vittime più illustri.

In Italia è una vera e propria bestia nera di Napoli e Milan. Con questi ultimi 2 doppiette chiave, lo scorso anno per la volata scudetto mentre quest'anno in semifinale di Coppa Italia sbriga la pratica con 2 veri e propri capolavori portando l'Inter in finale, vinta poi con la Juventus dove si guadagna il calcio di rigore valso il pareggio nei 90 minuti.

Dati e fatti che raccontano di una progressiva evoluzione verso uno stadio da trascinatore e vero e proprio top player da 25/30 gol a stagione, obiettivo centrato la scorsa partita con l'ennesima doppietta. Un attaccante che deve essere perno dell'Inter che verrà, essendo uno dei migliori del campionato e tra i giovani attaccanti più seguiti da anni ormai. Durante il rush finale ha mostrato inoltre tutte le sue capacità da prima punta: supportato dal quanto mai evanescente Correa, Lautaro ha segnato a ripetizione, dando anche un'aiuto in ottica di mercato a Beppe Marotta, il quale farebbe carte false per risolvere internamente il problema prima punta.
Sì perchè il Toro di Bahia Blanca è questo: un giocatore che quando è in condizione mentale è in grado di regalare marcature a grappoli, capace di 74 gol e 24 assist in 180 apparizioni, il che lo rende a soli 24 anni uno dei 20 migliori marcatori della storia Bauscia. Un attaccante completo, rapido e letale negli spazi, abile a segnare in qualunque maniera ( 46 con il piede Dx, 12 con il Sx) e estremamente dotato nel colpo di testa nonostante i 174cm (16 i gol) grazie a un tempismo e un'elevazione fuori dal comune (ricordate gli anni di basket?).
Inoltre Lautaro sembra incarnare perfettamente le caratteristiche della squadra nerazzurra, storicamente famosa per una passionalità viscerale anche oltre la ragione sia nel bene che nel male, motivo per cui si è guadagnata il soprannome di "Pazza".

Il legame che unisce i giocatori argentini e l'Inter, si sa, è profondo e radicato nella storia, ma con questo ragazzo sembrava predestinato. 
Lautaro militava nel Racing de Avellaneda come seconda scelta per l'attacco, dietro a un certo Diego Alberto Milito, uomo dei sogni dello storico Triplete, che dopo l'allenamento gli racconta dell'Inter e degli anni fantastici che ha vissuto con la maglia della Beneamata. Il passaggio di consegne ebbe luogo esattamente il 31 Ottobre 2015, durante la partita Racing-Cruzeiro del Norte. Al minuto 79', dopo una doppietta e sotto i canti a squarciagola degli hinchas di casa, El Pricipe lascia il posto a un 18enne Lautaro Martinez al suo debutto tra i professionisti. Il campionato successivo, con Milito in dirigenza, El Toro viene eletto con il 55% dei voti "Miglior giocatore del campionato" da ESPN. Corteggiato dal "nerazzurro" Cholo Simeone, sembra cosa fatta per l'Atletico Madrid, tanto che si vocifera di visite mediche già fissate. Milito chiama Javier Zanetti, suo compagno e capitano e già allora vicepresidente dell'Inter, avvertendolo del potenziale crack e appena arriva la chiamata Lautaro non ci pensa nemmeno: il suo cuore batte già nerazzurro. 
Arrivato con il peso dell'investitura di Milito, che lo designa suo erede, El Toro dà dimostrazione di personalità scegliendo la maglia più pesante che ci sia: la numero 10. 4 anni, 3 trofei ,74 gol e svariati record più tardi sembra sia giunto il momento della sua definitiva consacrazione, di lasciarsi ormai alle spalle i periodi di appannamento e, come il suo precettore, riscrivere la storia della società nerazzurra, magari cominciando dalla seconda stella .

Per inciso, nel frattempo è diventato il titolare della nazionale Argentina, di cui è il miglior realizzatore sotto la gestione Scaloni, con 19 gol in 37 presenze totali giocando da prima punta, vincendo anche una Copa America che in Argentina mancava da 28 anni.
Scusate se è poco...