In questi giorni si parla molto di riforma del sistema delle pensioni. Il governo ha aperto un tavolo con i sindacati per discutere di una possibile revisione al ribasso dell’età pensionabile. Tra le categorie che per le caratteristiche hanno delle problematiche a raggiungere gli anni di contributi necessari al pensionamento sono proprio i calciatori, che a dispetto del luogo comune che li considera una categoria privilegiata – in realtà i fortunati milionari sono pochissimi -, hanno come categoria più di un problema a navigare tra la fine della carriera e la pensione.

La previdenza per i calciatori è stata introdotta da una legge del ‘73, che ha aperto le porte alla previdenza anche ai professionisti che lavorano nel mondo del calcio e che ha subito una modifica sostanziale nel 1996, con l’innalzamento dell’età pensionabile e il passaggio al sistema contributivo, con l’importo da ricevere che viene dunque calcolato in base ai contributi versati.

Secondo gli ultimi aggiornamenti del 2019, i calciatori possono andare in pensione a 67 anni con 20 anni di anzianità contributiva o, in caso di pensione anticipata, a 64 anni con 20 anni di contributi oppure con 42 anni e 10 mesi di contributi. Requisiti che non tutti coloro che sono stati calciatori professionisti riescono ad avere al termine della propria carriera.

Ipotizzando che un calciatore firmi il primo contratto da professionista a 18 anni, per ottenere il diritto alla pensione versando contributi per almeno 20 anni, dovrebbe concludere la propria carriera a 38 anni. Un traguardo non sempre facile da raggiungere.

L’unico modo di maturare i requisiti per la pensione senza avere 20 anni di contributi quale calciatore è quello di proseguire nella contribuzione diventando allenatore professionista. Ma non tutti coloro che sono stati calciatori lo diventano. Le statistiche dicono che solo il 10% circa dei giocatori che smettono riescono a diventare allenatori stabilmente per almeno tre anni consecutivi.

“Versare contributi per quel periodo è complesso, una carriera lunga 20 anni è più unica che rara. A 35 anni di solito smetti di giocare e ti ritrovi 30 anni di vita davanti in cui devi decidere che cosa fare, aspettando la pensione”, spiega a Calcio e Finanza, Massimo Paganin, ex calciatore di Inter, Bologna e Vicenza e oggi co-responsabile del “Dipartimento Senior” dell’AIC.

Ma quanto guadagna un calciatore o un allenatore in pensione? Le statistiche fornite dall’assocalciatori indicano in circa 1.500 euro al mese la pensione media di coloro che hanno raggiunto la quota di contributi prevista dalla legge. Pensione che viene integrata dalla rendita garantita dal Fondo di Fine Carriera, istituito dall’AIC dal 1975.

Dati invece leggermente più alti secondo l’Inps, numeri tuttavia riferiti a tutti gli sportivi professionisti. Al 31 dicembre 2018, stando alle cifre dell’ente previdenziale, i contribuenti nel Fondo sportivi professionisti erano 5.340 con 2.580 pensioni vigenti: tra aliquote contributive e altre quote di partecipazione, la cifra complessiva versata nel 2018 è stata di 105,5 milioni di euro (media di 19mila euri annui per ciascun contribuente, circa 1.600 euro al mese), con 64,2 milioni di euro versati dall’Inps a chi è già in pensione (media di circa 24mila euro annui per ciascun pensionato, circa 2mila euro al mese).

Considerando, tuttavia, che tra i calciatori solo il 5% di chi smette ha accantonato un patrimonio milionario, in molti tra gli ex giocatori devono prepararsi ad una trentina d’anni da “persona normale”, in attesa della pensione.

“Per questo mi piacerebbe che ci fosse un fondo pensione nostro, dell’AIC, qualcosa che colleghi la conclusione della carriera al momento in cui percepisci la pensione – aggiunge Paganin -, affinché ci sia quel minimo di entrate ogni mese per evitare ogni tipo di difficoltà. La differenza tra i due momenti è tanta in termini di tempo e il periodo di contribuzione richiesto è lungo, serve qualcosa di diverso, anche perché i numeri sottolineano come sia complicato per i giocatori rimanere nel mondo del calcio una volta appese le scarpette al chiodo”.

“Finché il pallone è in gioco non si sente il bisogno di pensare alla pensione, ma quando arriva il triplice fischio per la carriera di un calciatore – come per tutti noi – è tutta un’altra cosa.” Così commenta Vincenzo Cuscito, Senior Investment Consultant di Moneyfarm, che in materia di previdenza e pianificazione finanziaria ha le idee chiare.

Il più grosso errore che si può commettere oggi è rimandare: questo atteggiamento non fa altro che ridurre il tempo a disposizione per l’accantonamento e aumentare i soldi da versare.

Diventa quindi fondamentale pianificare il proprio futuro, accantonando delle somme mentre si è ancora in attività. Per raggiungere questo obiettivo si possono considerare diverse soluzioni di investimento come ad esempio i fondi pensione (tra cui i Piani Individuali di Previdenza), oppure forme di investimento flessibili come la Gestione Patrimoniale grazie alle quali è possibile accumulare risparmi anche attraverso la formula del Piano di Accumulo del Capitale (PAC). In tutti gli esempi citati, si può sempre decidere di aumentare l’importo mensile, oppure ridurlo per un certo periodo, mantenendo sempre una corretta gestione del proprio capitale ed una remunerazione adeguata dello stesso.

“In pratica – continua Cuscito – ci sono metodi di investimento diversificati che, grazie al supporto di un professionista del settore (preferibilmente indipendente), permettono di assicurarsi una posizione previdenziale adeguata.  L’importante rimane prendere consapevolezza che giocare d’anticipo e investire sul lungo periodo fa sì che non ci si debba trovare a rivedere il proprio stile di vita anche una volta che si sono appese le scarpette al chiodo.

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