Quando sento gli allenatori, in particolare Pioli, parlare dei giocatori come fossero dei figli, mi chiedo e mi sono sempre chiesto, se questo sia giusto o meno, non solo nel settore calcistico ma un poco in tutti i settori dove un capo ha dei collaboratori. Personalmente dopo tanti anni di comando pur in settori diversi credo sia un errore farlo.
I motivi sono molteplici.
Fare squadra quasi come un fratello maggiore può creare delle sinergie molto elevate ma solo nel breve termine. In particolare nel calcio dove le prestazioni possono variare tantissimo in tempi molto brevi. Il legame di unione che si viene a creare porta a considerare la situazione obiettiva dello stato di un giocatore quando sostenuta da una sorta di affettività in maniera molto distorta. Si instaura quindi un legame pure inconscio di do ut des che finisce per prescindere da reali considerazioni tecniche.
Quando poi si costituisce un gruppo così coeso risulta anche piuttosto difficile l'inserimento dei nuovi, perché i vecchi che godono più o meno inconsciamente del legame di fraternità se pur gerarchica si sentono comunque sempre idonei ad essere utilizzati come prima scelta. Di converso il capo risponde in maniera forse altrettanto inconscia per mantenere questo legame fiduciario e quindi finisce per operare scelte sbagliate.
C'è poi il pericolo del cosiddetto punto di non ritorno, rappresentato da una ritrovata consapevolezza del capo sulla impossibilità di mantenere attivi certi legami di fiducia per obiettive incapacità dei giocatori e quindi tutto il gruppo coeso se ne va a gambe per aria.
La risultanze di questo processo è che gli esclusi rimangono sempre più esclusi salvo rare eccezioni e i vecchi vanno in confusione. Questo sintomo è tipico di gruppi in crisi quando gli esponenti più significativi affermano che va tutto bene. Questo, a parte le considerazioni tecniche, mi sembra sia proprio quello che sta succedendo al gruppo Milan.
L'inserimento di un elemento totalmente estraneo come quello di Bakayoko si spiega bene in questa logica di stallo. Pioli lo ha giustificato in maniera piuttosto discutibile ma era il modo di non modificare uno status quo che continua però a mantenersi erroneo. Se Pioli non ritorna ad una relazione più distaccata e obiettiva avrà seri problemi di ricomporre un amalgama sinergico come quello dello scorso anno. Ottimo in tempi brevi ma deleterio sulla riconferma.
Forse Pioli è così è non si può cambiare, ma le tante panchine cambiate forse hanno alla base questo suo modo troppo affettivo di legarsi a chi lo ha fatto vincere, senza pensare che chi lo ha fatto vincere può, con altrettanta facilità, farlo perdere in una sorta di conservatorismo affettivo che porta a disastri.
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