In un certo senso, l'Italia era fra i paesi più interessati alla Nations League. Non disputerà i Mondiali, infatti, che Mancini era convinto di poter vincere anche dopo il grigio pareggio in Irlanda del Nord. Non solo, ma l'Italia era uscita dalle eliminatorie contro le onestissime scamorze della Macedonia del Nord, non contro il quotato Portogallo. Normale, quindi, che Mancini si sia aggrappato alla Nations League per arrivare alla Final Four e poter dire che l'eliminazione dai Mondiali è stata solo un apostrofo di colore poco romantico fra le parole Europeo e Nations League. La conquista della fase finale di quest'ultima manifestazione, in fondo, serve a conservare il colorito sullo stemma della nostra federazione, improvvisamente sbiadito dopo la frittata contro i poco portentosi calciatori macedoni. Data la situazione, in effetti, è stato meglio non snobbare questa specie di Conference League per nazionali che, proprio come l'autentica Conference League, è una manifestazione ufficiale e va onorata.

Si torna al calcio di club, dunque, con il Milan che si ritrova a fronteggiare un'improvvisa pioggia di schegge, tanto del presente, quanto del passato che del futuro. Anche perché, se ragioniamo come nelle culture legate al ciclo delle stagioni, il passato torna su sé stesso e si salda al futuro come nell'immagine arcaica dell'Ouroboros, l'archetipo del serpente che si morde la coda.

Schegge di presente, abbiamo detto, perché tali sono gli infortuni di Theo Hernandez e Maignan, punti di forza indiscutibili della squadra rossonera. Dal punto di vista numerico, il Milan non è decimato, ma è indubbio che l'assenza dei francesi pesi non solo dal punto di vista qualitativo, ma anche psicologico. Senza Theo e Maignan, la squadra rischia di sentirsi vulnerabile. Se non altro, almeno, gli infortuni si sono verificati già da un po' di giorni, per cui hanno consentito all'ambiente di assorbire il colpo, un po' come per i lungodegenti Origi e Rebic.

Ricordate che Origi fu ufficializzato solo negli ultimi giorni di giugno? Si disse che il suo acquisto era in attesa di autorizzazione da parte di Gazidis, ma non mi sembra che fosse così. L'affare era stato imbastito da aprile, per cui non si può pensare che l'area tecnica non avesse un ok, quantomeno di massima, da parte dell'AD. Il problema, con ogni probabilità, era che l'acquisto si presentava a rischio dal punto di vista delle condizioni fisiche del giocatore, il cui talento non era e non è in discussione. Ci si è pensato su e poi si è deciso che, per il modo di giocare di Origi e per l'esperienza internazionale, conveniva puntare sul giocatore del Liverpool piuttosto che su Belotti, svincolato e forse in attesa fino all'ultimo di una chiamata da parte del Milan. Non era evidentemente il problema contingente, quello muscolare, a preoccupare. I tendini, però, sono una brutta bestia e, quando iniziano a infiammarsi, sono suscettibili di continue ricadute. Origi, dopo essersi ripreso, ne ha avuta una dando torto, almeno per ora, alla scelta di puntare su di lui e non sul Gallo. E anche per quel che riguarda Rebic, occorre vedere come proseguirà il decorso dei problemi alla schiena. Anni fa, Nesta passò mesi a cercare di far rientrare la discopatia per poi arrendersi e farsi operare. Vedremo, però l'ambiente tutto ormai se ne è fatta una ragione.

A differenza di quelle per Origi e Rebic, le schegge di Theo e Maignan fanno comunque male sotto la pelle del Diavolo. Essendo passati dei giorni, il Diavolo stesso sta attento a non sfiorare nulla con la parte ferita, in attesa di farsele estrarre. Be', per come la vedo io, gli infortuni fanno parte di una stagione e bisogna essere pronti ad affrontarli, senza stare lì a piangere come tante vedovelle inconsolabili sul giocatore rotto che non può giocare. Gli ambienti calcistici sono, purtroppo, sempre vulnerabili dal punto di vista psicologico e questo non va trascurato, ma sarebbe bene accettare l'idea che, se manca Tizio, allora Caio e Sempronio si rimboccano la maniche e via.

Ma il vecchio Diavolaccio (come lo chiamò con affetto un barista di Pescara nel lontano ottobre del 1979) si è visto arrivare addosso anche le schegge del passato, nella persona di Kerkez, giovane terzino rampante ungherese che, solo 8 mesi fa, vestiva la maglia degli under-19 rossoneri prima di essere frettolosamente ceduto in Olanda all'AZ di Alkmaar, dopo essere stato altrettanto frettolosamente, quasi pro-forma, provato coi grandi. Nei Paesi Bassi è esploso e ha raggiunto la propria Nazionale che, in questo momento, appare in crescita dopo anni e anni di decadenza. 

E' una scheggia dolorosa, a mio avviso, che non va trascurata, per evitare di vedersene arrivare altre in futuro. Kerkez era stato acquistato dalla squadra magiara del Gyor. Ricordo che all'epoca l'entourage del giocatore lasciò trapelare, con un certo comprensibile orgoglio, che i rossoneri puntavano sul ragazzo per un prossimo innesto in prima squadra. Forse è stato sbagliato dare tante speranze a Kerkez ai suoi procuratori, come forse sono stati questi ultimi a intendere male ciò che progettava il Milan. Fatto sta che il passaggio di Kerkez nel gruppo senior non è mai avvenuto e che alle prime rimostranze il terzino è stato ceduto. E non credo alla storiella secondo la quale il ragazzo non si è potuto mettere in mostra in una Primavera che andava male. Mi sembra una pezza a colori, perché sui social i tifosi che, come il sottoscritto, seguivano la Primavera non ne hanno mai parlato male. Anzi, c'era chi, più lusinghiero nei giudizi, si chiedeva come mai non venisse promosso. Molto dinamico e preciso nelle coperture, aveva sempre favorevolmente impressionato. Ci deve essere stato altro.

Certo, la plusvalenza sul giocatore non è stata, almeno in termini relativi, da trascurare. Acquistato per € 200000, è stato rivenduto per € 2000000, uno "0" in più che conta dal punto di vista... contabile. In termini assoluti, tuttavia, quei soldi sembrano il classico piatto di lenticchie per il quale lo scriteriato signor Esaù di biblica memoria si fumò la primogenitura. A dire il vero, il caso di Kerkez era stato preceduto di alcuni mesi dal caso Hauge il quale, per fortuna rossonera, a Francoforte non è esploso, ma ha fruttato 12 milioni di euro più bonus legati alla qualificazione in Champions.

In realtà, Hauge aveva salvato la pelle al Diavolo mettendola in porta con un colpo beffardo a giro nel finale di Sampdoria-Milan. Il Milan aveva preso un punto risultato pesantissimo per la qualificazione in Champions. Il premio per il norvegese fu, però. davvero bizzarro, perché non giocò più un minuto che fosse uno per il restante mese e mezzo, quasi che avesse fallito un rigore decisivo. L'Eintracht, con la sua offerta, era lontano da venire, quindi non si può pensare che Hauge sia stato tenuto fuori in vista di una cessione con plusvalenza. In quel momento, lasciarlo fuori sapeva più di capitale deprezzato che di altro. Ci sono stati momenti nei quali, come nel finale angosciante di Milan-Cagliari 0-0, un giocatore dal colpo aspidico come Hauge avrebbe potuto fare molto comodo. Poi, se si riteneva che fosse di troppo con Leao a sinistra, lo si sarebbe potuto vendere comunque. Niente niente niente: Jans Petter Hauge non c'era più, perso nei viottoli di Milanello. 

Forse può illuminarci ciò che, e non è un segreto, è accaduto a Kerkez. L'ungherese ha chiesto spazio nella squadra maggiore ed è stato prontamente ceduto. Non so se la cosa sia accaduta anche per Hauge, ma potremmo non essere lontani dalla realtà nell'accostare queste schegge di passato. E se la scheggia di Hauge non ha colpito il bersaglio, visto che il ragazzo alla soglia dei 23 anni è in fase di impasse, quantomeno la scheggia di Kerkez si è rivelata dolorosa, come hanno rischiato di rivelarsene altre. Pensiamo ai 3 anni di prestito di Pobega, quando 2 erano sufficienti. Pobega era già pronto dopo l'esperienza al Pordenone in B e poi in A con lo Spezia, ma è stato riparcheggiato a Torino come un immaturo. Pensiamo alle terga di Adli che scaldano la panchina nonostante il loro proprietario avesse impressionato bene, o comunque meglio di altri, durante le amichevoli estive.

L'impressione (solo un'impressione,  è chiaro) è che ci siano giocatori dei quali si attende solo che chiedano di essere ceduti per essere accontentati. E se Pobega è ancora in rossonero, forse lo è anche perché, dopo 3 anni ad alto livello in giro, occorreva avere le fette di salame sugli occhi per non vedere che è un elemento valido e competitivo. Forse non sarà il nuovo Tardelli, ma sa giocare a pallone.

E qui arriviamo alle schegge di futuro, che girano intorno alla società rossonera rischiando di colpirla. Adli se ne sta buono, ma è sotto-impiegato, mentre altri hanno (e avranno sempre) la loro mezz'ora di gloria assicurata. Ha commentato con un cuore la foto della squadra recentemente scattata per essere affidata agli annali. Sospetta che, chiedendo la cessione, verrebbe accontentato al volo e quindi se ne sta tranquillo? Per ora, non è cascato in alcuna botola.

In una squadra non è possibile tenere tutti e le scelte vanno fatte. Ma vanno fatte cum grano salis, dando le giuste chance ai giocatori, anche nell'interesse della società. Bocciare i giocatori bravi e tenere quelli meno bravi è come darsi le martellate sui piedi. Se il giocatore merita, cerchi di adattare il progetto al giocatore e lo vendi solo per un pacco sontuoso di soldi. Perché buttare le risorse al vento, magari per un piatto di lenticchie?