Napalm51, lo splendido personaggio creato da Maurizio Crozza per i tipi di La7 voleva essere uno sberleffo per far pensare, per curare un malanno, quello dei leoni da tastiera. Con l'avvento dell'era tecnologica e la diffusione del telefonino e del nuovo modo di concepirlo (con esso, ormai si controlla ogni aspetto della nostra vita) è nata sostanzialmente una nuova creatura: l'hater. La diffusione di Facebook ha aumentato considerevolmente il fenomeno ed oggi è più facile scoprire degli odiatori novellini (perché definirli professionali e professionisti è un'eresia) invece della maggioranza silenziosa.
Il tifo da spalti si è trasferito dagli stadi a Facebook e l'arma non è più il coro o la coreografia bensì il dileggio e l'odio. Il nuovo fenomeno del leone da tastiera è assai simile a quello che differenzia la caccia con arco e frecce da quella con un aeroplano militare. La sociologia ci ha insegnato quanti sensi di colpa vengono meno se non si osserva dal vivo gli effetti della propria azione criminale (lanciare una bomba che uccide non è come colpire a morte qualcuno con una freccia). La "guerra" è diventata un gioco e il videogame ci insegna che può avere dei lati divertenti. Niente di più sbagliato. L'odio è un setnimento bestiale che comporta gravi conseguenze e mascondere la mano dopo aver tirato il sasso non aiuta a diventare maturi e umani. Se è vero il detto "lontano dagli occhi lontano dal cuore" lo è a maggior ragione quando non si vivono personalmente i risultati del nostro comportamento. Sia se si decide di cacciare con arco e frecce, sia che si decida di usare un aereo da guerra si ha la piena responsabilità delle nostre azioni ma in uno solo dei due casi si riesce a comprenderne appieno il peso che ne deriva.
Certo, mi si dirà che è meglio subire lo stalkeraggio di un leone da tastiera che piangere la morte di un nostro amico accoltellato o comunque ammazzato per una rissa fuori e dentro lo stadio, ma la verità è che "ne uccide più la penna (o la tastiera) che la spada".
Il fenomeno dello stalkeraggio è così diffuso tanto da risultare come un cancro per lo sport così come per ogni altro aspetto della vita umana.
Il mio consiglio, in ogni caso, è quello di vivere la passione sportiva partendo dal suo presupposto iniziale: amiamo una squadra perché è un modo diverso di amare noi stessi.
Io sono milanista, io sono juventino, io sono napoletano, ecc. è un semplice modo per dirci che vogliamo condividere con qualcuno la nostra voglia di essere apprezzati per le cose che facciamo o che scegliamo di fare.
Il meccanismo è di una semplicità così banale che spesso lo diamo per scontato e lo dimentichiamo. Colpevolmente...
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