Una premessa è d’obbligo: la partita di ieri, giocata dalla Juventus contro il Barcellona, non era decisiva per il passaggio del turno; era la prima di cinque partite che i bianconeri dovranno affrontare nel girone e le partite fondamentali, come detto da Allegri, saranno le prossime due, dove l’errore non sarà contemplato.
Inoltre c’erano molte assenze “illustri”: Marchisio, Khedira, Mandzukic e Chiellini sono tutti titolari che, forse, avrebbero contribuito a rendere la partita del Camp Nou diversa, non si sa se nel risultato, ma sicuramente nella prestazione di squadra.

Gli “alibi” tuttavia si fermano a quanto sopra affermato, perché per il resto non si può non etichettare la prestazione confezionata dai bianconeri nella serata di ieri con tutti gli aggettivi negativi possibili.

L’unica nota a mio avviso lieta è la fiducia che Allegri sta dando a Bentancur: giovanissimo con qualità e personalità illimitate che sta bruciando le tappe di crescita e ben presto diventerà un elemento non trascurabile per la rosa bianconera; l’esordio di fuoco al Camp Nou non è stato di sicuro facile, complice la prestazione complessiva della squadra, ma ha segnato credo una tappa di crescita fondamentale per il ragazzo.

Ma ora veniamo alle note dolenti: dopo la ben più grave e dolorosa débacle di Cardiff, arriva un’altra doccia freddissima a ricordarci, semmai ce ne fossimo dimenticati, che non siamo ancora nell’élite del calcio europeo a livello tecnico, ma soprattutto sul piano della mentalità. Ad un primo tempo dignitoso, sporcato da un gol di Messi frutto di una fase difensiva inaccettabile per una squadra che aveva fatto della solidità difensiva la sua stella polare negli ultimi anni, ha fatto seguito un secondo tempo a tratti raccapricciante, dove l’avversario ha preso piede e la Juventus ha smesso di giocare.

Già vincere contro queste squadre come il Barcellona è difficile di per sé, se poi gli si concedono errori tecnici, duelli uno contro uno e campo aperto, allora questo significa consegnarsi al nemico in segno di resa.
La difesa è stata un colabrodo: ad oggi, il centrale più affidabile che abbiamo in rosa è Rugani, giovane nell’anno della consacrazione ma che fino all’anno scorso era l’ultima scelta, il che la dice lunga sul resto del reparto che, vuoi per incognite di carattere fisico o di età o per un rendimento troppo fluttuante (come nel caso di Benatia), non sembra più poter garantire la sicurezza di un tempo.
L’ho ripetuto fino alla nausea e lo ripeterò ancora: la partenza di Bonucci è stata affrontata con fin troppa leggerezza e il mancato arrivo di un difensore del medesimo valore, in grado di prendere in mano la difesa di oggi e del futuro, è una gravissima macchia del mercato appena conclusosi e che ci causerà diversi problemi nell’arco della stagione.

Come già scrissi, l’esclusione di Lichtsteiner è stato un qualcosa di totalmente irrazionale e autolesionista e ne stiamo già soffrendo le conseguenze: per inserire un calciatore (Asamoah) con un piede e mezzo già fuori dal progetto, abbiamo escluso un elemento che ci avrebbe fatto comodo a partire da ieri sera quando, dopo l’infortunio di De Sciglio, abbiamo dovuto adattare Sturaro a quella posizione.
La speranza è che l’infortunio dell’ex Milan non sia grave, altrimenti in quella posizione andrà inserito un adattato tra Barzagli, Howedes o lo stesso Sturaro.

Ma la nota, a mio avviso, più dolente di ieri sera è la prestazione di alcuni singoli giocatori: è vero che, quando si fanno prestazioni del genere, il colpevole principale è il gruppo senza nessuna esclusione, ma è altrettanto vero che quando ci si trova in difficoltà, i primi a tentare perlomeno di ribaltare la situazione in corsa dovrebbero essere i cosiddetti “fuoriclasse” della squadra; elementi che, invece, in bianconero spesso scompaiono proprio nei momenti in cui si necessiterebbe delle loro intuizioni.
Douglas Costa deve ancora entrare negli automatismi di squadra e nel calcio italiano: fino a questo momento ha fatto vedere alcuni punti forti del suo repertorio, ma è ancora fallace di quella consistenza nella partita che si richiederebbe ad un calciatore con le sue doti; Dybala, vittima negli ultimi giorni di un vero e proprio tam tam mediatico che lo dipingeva come già al livello di Messi, ha invece messo in mostra tutto il divario che sussiste ancora tra di lui e la Pulce di Rosario. Divario che verrà sicuramente colmato in poco tempo perché le qualità e la personalità ci sono, ma Paulo dovrà essere molto bravo a “isolarsi” dai complimenti e dai baci di Giuda di chi lo osanna per poi crocifiggerlo al primo passo falso. Dovrà imparare a prendere per mano la squadra nei momenti di difficoltà, come fatto ad esempio in Super Coppa contro la Lazio e cercare di invertirne le sorti, come fanno i fuoriclasse appunto.

Se per questi primi due casi ci possono essere attenuanti, chi invece non ne ha nella maniera più assoluta è Higuain.
Il Pipita è stato pagato novanta milioni di euro proprio per farci fare il salto di qualità in chiave europea; invece, anche nella passata stagione, appena il livello di prestigio/difficoltà della competizione si alza, sistematicamente si eclissa dal gioco.
E’ successo l’anno scorso nel doppio match contro il Barcellona e nelle finali di Champions e Coppa Italia, è successo quest’anno in finale di Super Coppa e ieri. Per un calciatore del suo livello e con le sue indiscusse doti, è inaccettabile segnare gol a fiumi in campionato ma, allo stesso tempo, scomparire in quelle situazioni in cui il suo contributo potrebbe risultare determinante.

Il nervosismo del Pipita, con il dito medio rifilato al tifo catalano che potrebbe anche costargli una squalifica, non fa che aggravare la sua posizione: lui deve (dovrebbe già esserlo) diventare uno dei leader tecnici della squadra, altrimenti avevano ragione a Madrid a preferirgli Benzema che, forse non a caso, ha vinto tre Champions con le merengues.

Ovviamente non facciamo troppo disfattismo: le falle ci sono ed è giusto metterle in evidenza; l’essenziale è prendere questa sconfitta per quello che è: una bella doccia fredda che dovrà servire da lezione per il prosieguo della competizione, nella speranza che tornino presto calciatori per noi fondamentali e che ieri sera mancavano all’appello. Speranza unita all’auspicio di una crescita sul piano più che del gioco della mentalità, soprattutto di alcuni elementi come già scritto in precedenza.

Se si vuole continuare a vincere in Italia, forse e sottolineo forse, può bastare quanto visto finora. Se si vuole arrivare ad essere considerati una realtà consolidata nell'élite europea, serve uno sforzo da parte di tutti: società, allenatore, giocatori.