Quando si ama una persona è cosa curiosa - lo si deve fare almeno una volta nella vita - riguardarsi indietro.
Capita infatti in questi momenti di fare esperienza di quello che Thomas Mann chiamava in certo modo «il pozzo del passato», qualcosa di così «insondabile» che più si prova a «discendere a profondità favolose lo scandaglio» più gli oggetti del nostro tendere «retrocedono verso abissi senza fondo». Amare un paese è - andrebbe ricordato più spesso, avrebbe evitato orrori ed errori - amare persone, amare vite concrete, terre, profumi e storie. Provando, in un fare che è tanto intimo da mettere alla prova noi stessi, a riguardarci indietro nelle storie d'amore che intessono la nostra vita, scopriremo proprio l'insondabile: il non-so-come-sono-qui-ora. Quando ripensiamo all'amore della nostra vita, diventiamo immediatamente consapevoli del fatto che non sono stati i singoli eventi passati in rassegna l'uno dopo l'altro a stringere a noi la persona amata, così come non sono stati i singoli atti di guerra o di pace, di legge o di ribellione, a stringere tra loro i popoli in un'unità profonda di spirito e intenti. C'è un olismo sfuggente, un di più profondo che non accetta riduzionismi, un'anima che non si riconosce in sole connessioni materiali di tempi, di corpi, di sangue.
Proprio oggi Mario Sconcerti, commentando sul Corriere della Sera la vittoria della Nostra Nazionale, ha scritto questo sentimento. Quando pensiamo al gioco del calcio, inteso come momento in cui si costruisce quell'unità profonda di cuori e di gambe che è il gioco, dobbiamo - se vogliamo centrare il punto - pensare all'amore, a quel sentimento che unisce nel dare a te ciò che è mio, come ti do la palla così ti do la vita. É allora che scriviamo tutti, insieme a Sconcerti, che tutto ciò che abbiamo visto fare ai Nostri «non lo so come sia successo, non lo ricordo più», perché davvero non ricordiamo come nasce ed evolve l'amore, e non sarebbe amore se potessimo dire con certezza che, in fondo, si tratta solo di una somma algebrica di momenti ben riconoscibili, isolabili e quindi valutabili come non fossero un organismo palpitante, indivisibile nella sua perfezione.
Per questo vale la pena scrivere oggi sugli Europei, nonostante non sia il calcio giocato l'argomento che solitamente ci interessa trattare: perché bisogna saper vedere dove la vita si fonde col pensiero, dove davvero l'unirsi in una cosa sola degli uomini dice che il tutto è molto più della mera somma delle parti e che questo miracolo non dipende solo da noi.
Da chi ci proviene, dunque? Condizione indispensabile per intraprendere la ricerca è anzitutto ammettere, con candore, che «non lo so come sia successo, non lo ricordo più».
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