L'unica cessione indispensabile per cambiare la Juventus sarebbe quella di allenatore e staff dei vari preparatori? Forse dei vertici societari? No, ma quasi; che Andrea Agnelli abbia dimostrato tantissimi, troppi punti deboli negli ultimi tre anni non è una novità, ma è pur sempre il presidente dei nove scudetti - vinti comunque sul campo da dei grandi campioni. E il paragone letto spesso col Moratti anni 90-00, però, che spendeva tanto e vinceva praticamente nulla, gli sta calzando sempre più a pennello.

È quantomeno incredibile la quantità di infortuni patiti ormai da sempre. Fai due passi alla Continassa in una giornata troppo calda o fredda e ti frantumi per sei mesi. Allegri, piuttosto, si vede lontano un chilometro quant'è ormai svuotato di ambizioni e progetti, troppo ebbro dei suoi vecchi traguardi, un secolo fa, paiono. Bisognerebbe ricordargli ogni tanto, con la dovuta sagacia, che due finali di Champions perse equivalgono esattamente a quello che gli direbbe Mourinho.  Poche chance: il Real Madrid ha giocato a torello, neanche un altro pianeta, proprio un'altra galassia; l'Atletico ha giocato invece con la scioltezza della partitella qualunque tra squadra A (l'Atletico) e una Primavera (la Juve). E anche con quel passo è finita male quanto sappiamo.

Piacciano o non piacciano certi giocatori, la Juve vent’anni fa avrebbe già preso tutti i giocatori necessari (mi riferisco anche a certe operazioni su cui piangere a malincuore, leggasi Verratti, uno dei pochi veri fenomeni italiani degli ultimi dieci anni, oppure Zaniolo, infortuni a parte, un altro vero fenomeno per cui personalmente stravedo) e non si sarebbe mai ritrovata a dover cambiare - con estrema fatica - trequarti di rosa nel giro di due mesi. È anche vero che il calcio è cambiato tantissimo negli ultimi cinque anni, troppo rapidamente, a tutti i livelli e con dinamiche sempre più nebulose e sospettabili, se non proprio fuori da quello che un tempo era lo sport più bello del mondo e oggi chissà.