La spedizione dei mille in salsa coronavirus nel calcio ha scatenato un terremoto. La situazione è degna di un trattato di psichiatria più che di psicologia. Aprono le discoteche, aprono i centri commerciali, aprono i cinema, i teatri, si svolgono spettacoli diffusi, fuori dalle scuole dove si vota assembramenti, baci e abbracci, ma negli stadi, che sono all'aria aperta, per tanti benpensanti, non si può entrare. In Italia al momento non siamo più la Wuhan d'Europa e la Cina in tutto ciò ha quasi azzerato i casi di coronavirus.
Certo, la situazione in Europa è critica, Francia, Spagna, Inghilterra in testa. Probabilmente le prossime settimane ci diranno di più sulla situazione italiana. Però è chiaro che un calcio senza tifosi non rende. È un qualcosa di non definibile. Senz'anima.
Neanche nei videogame osano fare giocare le partite senza pubblico. Nessuno mette in discussione che si debbano adottare le più importanti misure di precauzione contro questo maledetto coronavirus con cui faremo i conti a lungo, pare. Ma se si garantisce il distanziamento, se si adottano le misure di contenimento, perchè non aprire gli stadi andando oltre la quota ridicola della spedizione dei 1000?
Va anche detto che se nella massima serie 1000 tifosi sono totalmente irrilevanti per le casse, per altre società sono entrate che fanno respirare, perchè non dimentichiamolo, il calcio non è solo la SerieA, ci sono anche le categorie minori che vivono quasi esclusivamente con le entrate negli stadi.
Ma tutto ciò pare non essere ancora compiutamente compreso dal sistema calcio e da parte anche di alcuni importanti organi d'informazione. Qualcuno dovrebbe spiegare come le piccole società, a partire dal mondo dei dilettanti, che è il cuore del calcio italiano, riusciranno a campare senza le entrate economiche che derivano dai botteghini. Sacrosanto tutelare il diritto alla salute, ma delle tutele andranno riconosciute anche alle migliaia di società calcistiche italiane, poi, se invece, qualcuno ha deciso che in Italia il calcio se lo può permettere solo chi ha i mezzi e le risorse, dunque solo poche realtà, lo dicesse chiaramente, però poi, la si dovrebbe finire di dire che il calcio è patrimonio comune, è lo sport che abbatte le barriere, che unisce. Una cosa è certa. Se nel periodo dell'emergenza si deve vedere la solidarietà, nel calcio quello che si è visto è che ognuno ha pensato a salvare il proprio fondoschiena, alla faccia di quel fumoso ne usciremo migliori. Ciacole, cioè chiacchiere, per dirla alla triestina.
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