Ho sempre sostenuto che l'ingaggio di Zvonimir Boban lo scorso anno fosse tra le intuizioni più felici, le pochissime, avute dal Milan nell'ultimo decennio. Il carattere deciso, la competenza tecnica e manageriale, la rete internazionale di conoscenze erano il bagaglio che Zorro ci portava in dote, assente in ogni altro elemento dell'organigramma societario. Un uomo forte, insomma, che suscita immediatamente l'astio di chi è solo un figurante senza capacità né tecniche, né manageriali come Gazidis, il quale commette uno dei suoi innumerevoli errori, licenziandolo appena alza la voce. Ora si potrebbe disquisire all'infinito sulle policy aziendali che non prevedono che un subalterno alzi la cresta con un superiore, ma è altrettanto vero che se le motivazioni sono finalizzate al piano sportivo da implementare per il successo dell'azienda, una proprietà che sia davvero illuminata, raccoglie il feedback con intelligenza e chiudendo un occhio. Chi ha diretto in modo magistrale le compagnie che amministrava, penso a Cesare Romiti negli anni 70/80 in Fiat, non mi risulta avesse un carattere accondiscendente, spesso entrava in aperto contrasto con la società, ma l'intelligenza di Giovanni Agnelli arrivava al punto di guardarsi bene dal privarsi di una risorsa tignosa ma di altissimo livello.

Di recente il croato ha sottolineato la bontà del lavoro svolto in un anno, le felici intuizioni dei vari Rebic, Ibrahimovic o Theo Hernandez, rimarcando quanto chi è più oculato o non voglia sempre e per forza fare da scendiletto della proprietà occulta, sa alla perfezione: il Milan è finalmente ad un bivio; diventare davvero forte o galleggiare in una terra di mezzo. E non è poco se si considera che nell'estate 2019, la prospettiva di diventare forti, farciti di bidoni, era impensabile. Un upgrade, insomma, vicinissimo, a patto di completare quel 40% di squadra mancante ad essere davvero competitivi. I ruoli indiziati li cito a memoria: Calabria, Castillejo, ed un ricambio ciascuno per il centrocampo ed Ibrahimovic. Sono pedine nevralgiche senza le quali non si può affermare a vanvera di essere a posto: si è a posto per sputare sangue e rischiare seriamente di fotocopiare i piazzamenti delle ultime stagioni.

Ora non si pretende che una proprietà a digiuno di calcio, con un amministratore di facciata, ascolti chi ha appena sciaguratamente cacciato, ma Maldini lo deve fare ed ha tutte le capacità di pretendere che questo gap venga colmato. Non si capisce tra l'altro a cosa siano servite le plusvalenze di Suso e gli incassi della cessione di Piatek se non a mettere a segno quei quattro colpi che cambierebbero definitivamente il volto dei rossoneri per la prima volta dopo lunghi anni. Quattro: non è tantissimo se si considera che nell'agosto 2019 ne erano necessari almeno dieci.