Cosa resterà di quanto successo nelle ultime ore di domenica 18 aprile con l'annuncio della nascita della fantomatica (mai aggettivo più azzeccato) SuperLeague e le 48 ore successive che ne hanno decretato la prematura scomparsa? Sangue. Molto sangue. Morti, feriti e contusi e praticamente nessun vincitore. Sì perché chi pensa che l'affossamento dell'idea di una Lega stile Nba significhi il trionfo del calcio come sport del popolo, democratico e meritocratico come meglio non potrebbe essere mente sapendo di mentire.
Si può essere d'accordo o meno con l'impianto (e personalmente non lo sono perché le cariche per elezione divina non mi piacciono), con la strategia (se il parto è stato così veloce dopo una gestazione decennale sembra veramente la mossa disperata di chi è con l'acqua alla gola) e soprattutto la formula, ma non prendere minimamente in considerazione tutta l'analisi che c'è dietro è da veri miopi.
All'arroganza, prepotenza e supponenza dei management delle 12 (non 2 o 3 ma ben 12!!!) società europee purtroppo fa da contraltare la medesima arroganza di molti noi appassionati che essendo più o meno o parecchio pre-millenial non capiamo come i giovani d'oggi intendano lo sport e la vita. Si sono lette dichiarazioni, e molte a sproposito, sul fatto che il calcio debba rimanere uno sport popolare. Ma di quale calcio stiamo parlando? Quello di "scusa Ameri, scusa Ameri" è morto e sepolto da un quarto di secolo. I ragazzi, unico possibile serbatoio che può tenere in vita questo sport, non accetterebbero di retrocedere, basta che si sia vinto il derby. Campanilismo e romanticismo sono roba del secolo scorso. È straziante ma è così. È la realtà, che, insegna la vita, va guardata in faccia ed affrontata non nascosta e dimenticata.
Quando sento allenatori osannati che ringraziano di non dover partecipare ad una tale tragedia, ideata e sottoscritta dai propri datori di lavoro, lo fanno dall'alto del loro ingaggio da 17 milioni annui. Che qualcuno ha pagato e forse non avrà più modo di pagare. Che l'armata Brancaleone dei ricconi si sia sfaldata alla prima spallata forse è un bene ma non raccogliere la provocazione e lo spunto per fare entrare il calcio nel terzo millennio potrebbe esser fatale.
Oppure c'è la strada del ridimensionamento, figlio di un atteggiamento pauperistico un po' demodé. Nella guerra tra super ricchi i tifosi sono sempre figuranti, ma fare una figuraccia è un attimo. Prosit.
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