Sono giorni intensi e impegnativi per il nuovo campioncino della Juve, dalla doppietta all’Udinese Moise Kean non si è più fermato. Dopo l’ottima prestazione ha ottenuto la convocazione in nazionale maggiore, dove ha esordito e segnato 2 goal.
Tornato a Torino è iniziata la “pratica Kean”, mirata a non esaltare il giocatore, entrato in un tunnel mediatico in cui è facilissimo perdersi nel buio. Allegri ha fatto sapere che nonostante l’ottimo momento dell’attaccante non sarebbe tornato immediatamente titolare.
Ebbene, Kean ha segnato da subentrato con l’Empoli e poi ancora, stavolta partendo dall’inizio, con il Cagliari. Proprio durante quest’ultimo match si è reso protagonista, non solo per la marcatura, ma per la famosa “esultanza” (si può chiamare così?) sotto la curva del tifo organizzato cagliaritano. In realtà la sua reazione al goal non è una provocazione, ma semplicemente un modo per chiedere pietà a qualche imbecille che l’aveva preso di mira durante i minuti di gioco.
Lui l’ha definito sui social “il miglior modo per rispondere al razzismo”. Il body language è emblematico in questo caso: con un espressione neutra un ragazzo di colore allarga le braccia lanciando un messaggio chiaro “sono disposto a perdonarvi, a braccia aperte”. Anche in questo caso però la Juve non difende il suo beniamino. Prima Bonucci nel post partita e poi Allegri lo hanno rimproverato. Bonucci ha sostenuto che la colpa fosse 50 e 50, di Moise e dei tifosi (si parla sempre della cerchia ristretta di imbecilli) equivocando una legittimazione al razzismo, smentita successivamente sui social. L’allenatore livornese ha invece parlato di come Kean sia ancora giovane e incapace di comprendere certe situazioni, peccando di immaturità: "Deve evitare alcune esultanze e qualche gesto lezioso di troppo. Bisogna avere rispetto dell'avversario". Il gesto lezioso è riferito allo stop scenografico di tacco sul 4-0 con l’Udinese, considerato sbeffeggiante e poco professionista.
Da questa frase secondo me si potrebbe intavolare una riflessione interessante: è vero che la giocata è fine a se stessa, ma non bisogna dimenticarsi che stiamo parlando di calcio, un gioco fine a se stesso. Quello che in Italia stiamo perdendo e che nel lungo termine ci penalizzerà è il piacere del gioco. L’imprevedibilità, la varietà e la ricchezza delle giocate fanno parte della bellezza di questo sport, che privato di quel pizzico di goliardia non sarebbe più lo stesso.
Perché sono le giocate, i colpi di genio e le pazzie a fare la differenza in una partita. Avremmo dovuto capire la lezione durante Italia-Svezia, quando i giocatori italiani creavano occasioni, ma non ce n’era uno pronto a prendersi la responsabilità di spaccare la porta per qualificarsi al mondiale.
E invece continuiamo a “proteggere” i calciatori. Proteggiamo la loro pazzia e genialità, non facciamoli diventare soldatini.
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