Walter Zenga si sfoga sul social network Instagram e, a mio avviso, ha pienamente ragione.
L'ex portierone nerazzurro si è infuriato per l'atteggiamento avuto dai giocatori genoani Asoro, Males e Micovschi, che sono stati immortalati apparentemente ridanciani e rilassati davanti al proprio telefonino invece di seguire gli ultimi minuti della sfida della propria squadra contro il Parma. Tra l'atro mentre il Genoa era sotto solo di un gol.
L'ex portiere ha citato anche lo svedese Zlatan Ibrahimovic, evocandolo come esempio di grinta e professionalità: "La differenza tra un fuoriclasse, Ibrahimovic, infortunato, va in panchina e incita i compagni... Gli altri? In tre non hanno neanche le presenze necessarie per aver diritto al titolo di giocatori professionisti e invece di incitare e soffrire con i compagni... a 5 minuti dalla fine, sotto di un gol, che fanno? Giudicate voi... e poi chi ci rimette sono sempre gli stessi, tifosi e allenatori... ma dov’è la passione, il cuore il senso di appartenenza?".
Insomma, come dare torto a Zenga e come non provare una sensazione di profonda tristezza nel vedere che, in effetti, a sempre più ragazzi sembra mancare senso di appartenenza, fame (in senso lato) e consapevolezza della fortuna che le capacità personali e la sorte ha riservato loro.
Per un ragazzo, il gioco del calcio da professionisti dovrebbe rappresentare un luogo in cui entrare emozionati e dove buttare in campo la propria anima e la propria passione sempre. E questo si può fare solo se hai una minima consapevolezza delle stato delle cose nel mondo e nella società in cui si vive. Si può fare se ti rendi conto che calcare il rettangolo verde a certi livelli è un super-privilegio.
Attenzione però, i giocatori che Zenga ha giustamente ripreso tramite Instagram sono figli di questi tempi e, generalizzando, non hanno atteggiamenti diversi da quelli dei propri coetanei in giro per l'Italia. Il discorso, quindi, inevitabilmente, si allarga e diventa una questione generazionale e sociale. Io non voglio affrontare questa tematica qui, mi limito a dire una banalità ai ragazzi: bisogna vivere con la testa alta, anche sbagliando. Bisogna avere gli occhi rivolti dritti verso gli interlocutori quando si parla e verso il cielo quando si sogna e non diretti sempre verso lo schermo di un telefonino, di un televisore di un pc.
In questo senso, Mardona docet? Vi dice qualcosa il suo nome?
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