La paura è la sindrome più difficile da sconfiggere. Chiedetelo a chiunque viva, o abbia vissuto, la sua esistenza in compagnia del demone subdolo, generalmente chiamato “crisi di panico”. Quando esso ti avvinghia la gola con i suoi artigli, il respiro ti viene a mancare. Le gambe si rammolliscono. Il tuo corpo diventa una prigione, un bozzolo privo di controllo. Persino l’ossigeno, tuo primo carburante, diventa velenifero. I polmoni pompano come se non ci fosse una domani, anche se il serbatoio sta già traboccando, anche se non ne hai bisogno. Il tuo cervello è incapace di pensare in maniera logica e tutto diventa simile a un incubo, dal quale non riesci a svegliarti. E ciò che alimenta sempre più questo stato psichico è una triste inconsapevolezza. Più stai male e più non sai che diamine ti sta accadendo. Sai che qualcosa non va, ma non sai cosa e, soprattutto, non sai come sconfiggerlo. La paura è un nemico invisibile, senza casa e senza voce. Arriva nel silenzio e ti attacca quando meno te lo aspetti. Ma la cosa peggiore è che giunge quando in realtà sei tu stesso a chiamarla. Ne sei vittima anche quando non c’è. E quando credi di poterla affrontare, hai già imboccato la strada della sconfitta. 

“La Paura è la Piccola Morte che porta con sé l’annullamento totale.” - Dune, Frank Herbert

Il Milan di oggi è un Milan che ha paura. Il suo più grande problema non sta nella tecnica o nel fiato, sebbene siano criticità palesi. La sua più grave mancanza riguarda il fatto di essere una squadra in balia delle proprie fobie. E, sebbene sia arrivato da poco, Mr. Pioli pare averlo capito sin dal primo minuto.
Giunto a Milanello, non ha infatti intessuto discorsi sulla tattica o sui moduli. Egli ha invece dato una chiara impronta, per quel che riguarda l’impatto psicologico che voleva dare al suo arrivo. Più coesione di gruppo, più libertà di espressione in campo e meno tatticismi. Il voler inserire dall’inizio Leao, al posto di Piatek, è un chiaro segnale di cosa voglia Pioli da questa squadra: l’entusiasmo. Leao è un giocatore spensierato, che sorride quanto porta avanti il pallone. Uno che non ha pensieri, che non si sofferma a riflettere sulle difficoltà. Quello che deve fare è arrivare in area e tirare. Essendo giovane, la lucidità gli manca ancora nella finalizzazione, ma i segnali sono buoni. In tal frangente, c'è la possibilità di lavorare. Ciò che però manca ancora è la volontà di soffrire. Non essendo una squadra tatticamente coriacea, le sbavature sono all’ordine del giorno. Il vero obiettivo di Pioli non è eliminarle, non del tutto almeno. Il suo obiettivo è invece quello di saper fronteggiare le conseguenze degli errori.
C’è chi pare aver già compreso la semplice lezione del nuovo tecnico. Calhanoglu, proveniente da un anno sterile e pieno di fischi, ha voluto dimostrare che può far male e persino deliziare, se la sua mente è libera. Theo Hernandez spinge come un treno, se ha campo. E così come la squadra tutta, quando l’adrenalina pompa nelle vene dei protagonisiti in campo, dimostra che i fantasmi di un tempo sono superabili. Ma come ogni paziente figlio di una lunga convalescenza, la paura più grande è quello di ricadere nella patologia alla prima occasione. A dimostrarlo è il povero Conti, già reduce da due anni di infortuni. Un semplice errore, un tocco di braccio in area che può capitare a chiunque, basta per spedirlo in uno stato di cupa confusione. Così come la rincorsa al nuovo vantaggio da parte della squadra intera, nervosa e priva di un reale fondamento, dimostra che il terrore è ancora nelle corde della compagine rossonera. La paura di sbagliare, di perdere, di andare in svantaggio, di essere recuperati. La paura di essere fischiati, ma soprattutto la paura di non uscire mai da questo tunnel oscuro, in cui il Milan staziona da troppo tempo

Se Pioli vorrà rimanere sulla panchina del Milan, e rimanerci bene, questo punto sarà quello su cui dovrà lavorare, più di qualsiasi altro. Paradossalmente, egli non dovrà portare la squadra a vincere, ma ad accettare la sofferenza. Perché la realtà di questo Milan, è quella di una squadra che difficilmente dominerà il campo e gli avversari. In più occasioni, chissà per quanto tempo, dovrà battersi per il risultato sino all’ultimo minuto. E solo accettando questa condizione, per quanto triste e faticosa, si potrà raggiungere qualche obiettivo. Chi sa soffrire abbandona il suo stato di schiavitù dalla paura. Può rimanere deluso, se le cose non vanno come ci si aspetterebbe, e questo è un bene. Le sconfitte, e i pareggi insulsi, non vanno mai accettati. Si può accettare di perdere con una squadra più forte, ma inaccettabile è il fatto di temerla. Le sconfitte vanno evitate, combattute, non temute.
Cosa è successo infatti in Milan-Lecce? È accaduto che il Milan, per quanto un po’ più libero dalle sue fobie, non è riuscito a liberarsi di quella più dura e soffocante: trovarsi in difficoltà. Sessanta minuti di dominio e gioco piacevole, poi il vuoto, l’abisso. Un semplice errore ha riportato la confusione asfissiante dei giorni passati. Complice anche la forma fisica quasi imbarazzante; non si può boccheggiare già ai primi minuti del secondo tempo. Ma questa non è certa colpa del mister, fresco di nomina. Bisognerebbe piuttosto chiedersi che diamine è capitato in estate, durante la preparazione atletica. Ma tant’è , questa è un’altra storia. 

Detto ciò, il sottoscritto potrebbe sbagliarsi, ma forse la strada imboccata potrebbe essere quella giusta. La pazienza ora è necessaria, anche se questa parola comincia a stridere. La partita di Mr. Pioli è molto difficile, soprattutto perché non sarà la classifica l’unico aspetto su cui dovrà lavorare. La sua sfida sarà dentro le teste dei suoi giocatori, i quali dovranno lasciarne le chiavi al proprio allenatore. Se, e quando, la paura sarà mitigata, allora forse il campo restituirà qualche risultato in più

“Guarderò in faccia la mia paura. Lascerò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Solo io ci sarò.” - Dune, Frank Herbert

In bocca al lupo!

Novak