“Bisogna cambiare… I giocatori, a cominciare da quelli piccolini, vanno fatti lavorare sulla tecnica e sulla tattica individuale… Questo è il male del calcio italiano…”. Massimiliano Allegri, tecnico della Juventus, dopo la vittoria della sua squadra a San Siro contro l’Inter lo scorso 28 aprile.

L’Italia è da sempre la patria della tecnica, dei grandi numeri 10, e negli ultimi vent’anni abbiamo portato questo concetto ai massimi livelli: Baggio, Totti, Del Piero e mettiamoci anche Cassano, nonostante le sue intemperanze comportamentali. E come mai si è arrivati a questo punto, con giocatori della Nazionale che non sanno saltare l’uomo e mettere in difficoltà – con tutto il rispetto – i mediocri difensori della Svezia?

Il problema va ricercato a livello di settore giovanile. Oggi i risultati sono tutto. Veramente. Nei bellissimi corsi che ho anch’io personalmente seguito ti dicono sempre “il risultato non conta”. D’accordissimo. Poi però gli allenatori delle giovanili professionistiche, che lo fanno di lavoro e hanno delle famiglie a carico, se perdono qualche partita di troppo vengono esonerati, magari perché stanno provando ad insegnare a quei ragazzini ad avere maggiore personalità e sfrontatezza. E quindi? Quindi si smette di lavorare sulla tecnica e sulla tattica individuale, tanto amate da Max Allegri, per insegnare a questi bambini di 8 anni la tattica di squadra, come saper stare in campo, fare le diagonali, saper fare il passaggio fatto bene. Tutti aspetti indispensabili nel calcio però solo se supportati da della tecnica individuale nettamente superiore alla media. Pensate che Xavi e Iniesta – prendiamo due dei massimi esempi del calcio – non abbiano un tecnica e una tattica individuale fenomenale? Certo. Arrivati a quel punto è molto più semplice insegnare a dei ragazzi di 14-15 anni come muoversi sul rettangolo verde. Ma è una conseguenza, non il punto di partenza.

I calciatori che fanno la differenza, dalla Serie A alla Terza Categoria, sono quelli che sanno creare superiorità numerica ma provare a saltare l’uomo comporta un rischio: c’è possibilità che il numero non venga e che quindi si perda il possesso del pallone. Questo aspetto del gioco preoccupa i mister perché può portare a prendere dei contropiedi e perciò dei gol. Ecco che quindi il tecnico qualunque sbraita contro il bambino di 8 anni perché ha perso la palla e ha (il mister) subito una rete. Cosa passa a quel punto nella testa del giovane calciatore? “Non lo faccio più se il mister si deve arrabbiare così tanto con me”. È tutto un circolo vizioso che in effetti non ha soluzione finché rimaniamo con questa mentalità ottusa.

In verità la soluzione è semplice: credere nel progetto. Può capitare che una stagione non vada come deve andare ma l’importante è che ci sia dietro una programmazione da parte dello staff tecnico – condivisa con la società – che porterà nel giro di tot anni alla formazione di un calciatore con personalità, tecnica e tattica individuale alla quale poi poter aggiungere quella collettiva in età agonistica. Naturalmente questa non è la soluzione a tutti i mali del calcio - fosse così semplice… - ma sarebbe già una buona base di partenza per poter riavere della qualità in Nazionale, mista alla quantità e alla fisicità che hanno sempre contraddistinto le nostre spedizioni Azzurre in tutte le competizioni internazionali. Che sicuramente faremmo.