È appena terminata la conferenza stampa di Daniele de Rossi, che una volta di più ha dimostrato il suo valore assoluto, come uomo e come calciatore.
Finisce dopo 18 anni uno degli ultimi sodalizi del calcio romantico, quello tra la Roma e il suo Capitan Futuro, cresciuto sì all'ombra di Totti, ma capace di prendere benissimo le redini della squadra in molte occasioni: il rimpianto più grande, ha detto Daniele, è di aver avuto solo una carriera da donare a questi colori. Parole straordinarie, che ne sottolineano la statura assoluta nella storia giallorossa: come detto da Szczesny di recente, se Totti è stato per vent'anni il leader tecnico della squadra, De Rossi ne è stato il leader dello spogliatoio.
Da tifoso juventino, un avversario sempre duro e leale, sia in campo, che fuori. Indimenticabile una sua dichiarazione dopo una sfida allo Juventus Stadium, che avrebbe aperto gli occhi anche a un ceco: spesso si perde perché si è all'altezza degli avversari solo a chiacchiere. De Rossi esce anche dalla Roma da signore: con schiettezza e rispetto, ma non mancando di esprimere il suo dissenso con fermezza e originalità. A chi gli chiedeva se fosse d'accordo con la decisione, ha detto di no, ma che spetta alla Società decidere, e che se lui fosse stato dirigente, come auspicato dal CEO che gli gli sedeva accanto, lui il contratto a De Rossi lo avrebbe rinnovato. Ha però detto che si tratta di una decisione che non può e non deve essere lasciata al giocatore, che non smetterebbe mai forse: anche nel caso di Totti e Del Piero, ha puntualizzato alla giornalista in cerca di spigoli. Sono i modi ad averlo lasciato amareggiato, come d'altronde già Padre Dante fece dire nella Commedia: "e il modo ancor m'offende".
Poche parole destinate ad uno dei pochi campioni schietti in un mondo ipocrita e banale, sempre pronto a nascondersi dietro al politicamente corretto. Non sorprende dunque il suo ringraziamento agli avversari, anche a quelli che nei derby, a Napoli, a Bergamo, a Reggio Calabria l'hanno accolto come un nemico. "Anche di quelle emozioni mi sono nutrito, perché mi hanno fatto sentire vivo". È l'essenza dello sport, che non si ferma di fronte all'agone, anche se un po' ignorante: è la vita, è il calcio, che tra gli sport è uno di quelli che più assomiglia alla vita. Una logica d'atleta che emerge anche nella risposta alla domanda sui risultati non raggiunti e su quelli sfiorati di poco: abbiamo tutti dei rimpianti, anche Messi, perché siamo uomini che vivono di ambizioni. Senza dimenticare gli errori, in primis quello di aver lasciato i suoi compagni troppe volte in dieci. Come accadde anche in azzurro, al Mondiale del 2006 in Germania. Ma la grandezza di De Rossi è proprio lì: a 23 anni, dopo tutte quelle polemiche, calcia e segna il rigore in una finale mondiale. Roba da campioni.
Onore a te, Daniele de Rossi, giocatore, uomo vero, romano e romanista, a cui sarebbe bastato essere come il tuo mito, tuo padre, con i suoi 15 anni di C.
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