Cristiano Ronaldo ha perso due finali consecutive, record negativo per il portoghese. Da ieri rimbalza questo dato statistico, ma la finale persa dalla Juve ne consegna anche un altro, più preoccupante per il club. Da quando la Juve ha ripreso a vincere gli scudetti, non era mai capitato di perdere Coppa e Supercoppa Italiana nella stessa stagione. Sia Conte che Allegri ogni anno vincevano almeno uno dei due trofei, se non entrambi. Maurizio Sarri “il miglior esordiente sulla panchina della Juve” (ipse dixit) è riuscito a spezzare la catena. Due finali, due sconfitte arrivate tutte in malo modo.
Alla vigilia della finale con il Napoli, il tecnico si era lanciato nelle statistiche personali rispondendo a dovere (secondo lui)  a chi criticava la sua stagione in bianconero. Sarri sarebbe il miglior esordiente degli ultimi 55 anni perché, numeri alla mano, nessuno avrebbe totalizzato finora i punti che ha la Juve in classifica. Gli crediamo senza andare a controllare, anche perché l’argomento è talmente di second’ordine che non merita una tale perdita di tempo. Quella risposta, però, rappresenta un mantra dell’allenatore in questa stagione, ma ci ritorneremo dopo sull’argomento.

La Juve ieri ha perso, inutile analizzare la sconfitta, le pagine dei giornali sono piene di articoli sull’argomento. La sconfitta e l’approccio post gara di Sarri, invece, ci consegnano una dimensione preoccupante per il futuro della Juve. Il tecnico toscano, non molta nonchalance, ha scaricato tutte le colpe sulla squadra e lo ha fatto senza alcun giro di parole. «Manca la brillantezza» ha detto (m anche il Napoli è stato fermo tre mesi), prima di ammettere che il gioco della Juve è costruito sulle individualità e che, se queste vengono meno, non è colpa sua. Tradotto: se Ronaldo, Dybala e Douglas Costa non sono in grado di rendersi mai pericolosi, la responsabilità è la loro e non di un gioco che manca del tutto, ma questo Sarri non lo dice e, anzi, non lo ha detto mai in tutta la stagione. Però il problema c’è e additare le individualità dei singoli come causa della sconfitta, non fa altro che confermare tutto ciò. Sarri siede sulla panchina della Juve da un anno esatto e, in 12 mesi, non è riuscito a trasmettere le sue idee alla squadra. Quel gioco che è manca è lo stesso che mancava prima dell’emergenza Covid. La Juve vista ieri, è la stessa vista prima del lockdown. Eccezion fatta per la sfida contro l’Inter, i bianconeri giocavano così anche contro il Verona, la Fiorentina, il Brescia, il Lione e via dicendo. Anche le vittorie ottenute arrivavano solo per merito delle famose individualità a cui fa riferimento Sarri e mai per quel suo tanto decantato gioco che a Torino non si è mai visto, se non per sprazzi di gara. Una squadra totalmente senza anima. E a darcene conferma è stato spesso il tecnico. Quante volte lo abbiamo visto puntare il dito contro la squadra e denunciare: «I giocatori non seguono le mie indicazioni in campo»

L’anima, appunto. Quella che è mancata ieri è assente da un anno praticamente. E non per colpa delle individualità anzi proprio quelle hanno tenuto la Juve a galla finora, ma adesso la situazione è diventata critica. Due trofei sono già sfumati, c’è un campionato totalmente aperto (merito della Lazio e colpa della Juve) c’è una Champions in cui va ribaltata la sconfitta dell’andata per mano di un modesto Lione. E’ presto per dire se la stagione della Juve sia fallimentare o meno, ma i segnali ci sono tutti. Detto del gioco totalmente assente, ritorniamo all’argomento citato all’inizio quello del miglior esordiente.
Non è tanto il tema in sé che ci interessa, ma l’approccio dell’allenatore.
Sarri, dall’inizio della stagione, sembra più interessato a respingere le critiche che riceve piuttosto che concentrarsi sul campo. Ogni volta che viene accusato per il non gioco della Juve o criticato per una partita, tira fuori dal cilindro la scusa che dovrebbe stoppare le polemiche, come accaduto alla vigilia della finale. Puntualmente, poi, le sue parole si infrangono sulla prestazione della squadra in campo, anche se arriva una vittoria perché (e lo ripetiamo all’infinito) la Juve non ha gioco, non ha un’anima. E senza di queste anche le miglior individualità soccombono. Conte e Allegri riuscirono, alla prima stagione, a dare la proprio impronta alla squadra, bella o meno, e spesso facendo i conti con problemi peggiori di quelli di Sarri. Non può bastare l’assenza di Higuain a giustificare tali prestazioni se poi hai quella rosa a disposizione. Molti non rendono quanto dovrebbero, sicuramente, ma non può essere sempre colpa dei singoli.

Al netto delle dichiarazioni vuote di Sarri nel post gara, ritorna in voga quella valutazione che tutti avevano già fatto prima del Covid: andare avanti con lui o esonerarlo per salvare la stagione? Il tempo sarebbe dalla sua parte perché da lunedì  la Juve giocherà ogni 4 giorni e poi arriverà la Champions. Tempo per un cambio in panchina non ce ne sarebbe, ma non c’è nemmeno per Sarri per dare la sua impronta alla squadra (d’altronde non c’è riuscito in un anno, figuriamoci ora). Però c’è sempre lo spauracchio Allegri ancora sotto contratto, uno che già conosce benissimo la squadra. Certo non sono da sottovalutare i problemi che ha avuto con alcuni big, ma siamo sicuri che il rapporto tra Sarri e lo spogliatoio sia saldo? Quel continuo scaricare le colpe sui giocatori finirà per far esplodere quella che è una polveriera. Le facce di Dybala, Ronaldo e Cuadrado a fine gara la dicono lunga. Il giocattolo si è definitivamente rotto. Il post lockdown ci ha riconsegnato una squadra senza anima. Tre mesi di pausa non sono serviti a Sarri a capire quali siano i problemi tra lui e lo spogliatoio. La Juve continua a non giocare a calcio e, badate, che non parlo di bel gioco, ma di semplice disposizione in campo, semplice organizzazione. Diciamolo con franchezza: in questo modo il campionato si perde perché c’è una Lazio invece compatta. E si rischia grosso anche in Champions contro il modesto Lione. Sarà un azzardo cambiare ora allenatore, ma forse è meno azzardato che proseguire con Sarri. Anche perché se l’obiettivo vero è la Champions, allora ci sono due mesi a disposizione per raddrizzare la barca, anche sacrificando il campionato. Una bestemmia? Mica tanto, lo scorso anno il Liverpool pensò più all’Europa che alla Premier.
E alla Juve uno scudetto in più non cambia la vita, la Champions sì.