Non ci sono dubbi, si prova una forte emozione nel ripercorrere nel film "Mi chiamo Francesco Totti", guidati dalla voce narrante dello stesso numero dieci, la carriera di un giocatore icona di Roma e del calcio.
Il film ha un ritmo placido e avvolgente e ci accompagna lungo tutti i venticinque anni di carriera in giallorosso di Totti in modo semplice e genuino così come traspare essere il campione di Trigoria. Sono tanti, infatti, i momenti di pura spontaneità e dolcezza che trasudano dalla pellicola diretta da Alex Infascelli. Il regista non ha voluto incentrare il lungomentraggio sulle competizioni e sulle vittorie, piuttosto ha puntato l'obiettivo sull'uomo. E la scelta è stata decisamente corretta.
Non fraintendetemi, di Totti si gustano le gesta, passando dai primi palloni toccati con la Lodigiani, arrivando alla vittoria della coppa del mondo e concludendo con i gol realizzati sotto la seconda (e conflittuale) gestione Spalletti.
Nel documentario, però, oltre alle imprese tecniche di Totti e all'immensa carriera si assapora con piacere il lato umano di un ragazzo che ha saputo mantenersi semplice: incredibili da questo punto di vista alcune immagini che lo ritraggono festeggiare il proprio compleanno come fosse un ragazzino qualunque, su di un prato con la famiglia e qualche amico fidato. Commoventi le fotografie e i filmati che ritraggono Francesco dedicare la propria attenzione e amore ai familiari (zie , zii, genitori, nonne ecc...) nei momenti più importanti della propria carriera, quasi i media e le pressioni del settore non lo riguardassero veramente. Dolcissimi i filmati che lo ritraggono con la propria famiglia di origine e con quella creata insieme alla moglie Ilary Blasi. Incredibile e autentica l'opportunità che Francesco coglie usando il documentario per chiedere scusa al suo amico di sempre e preparatore atletico che anni or sono, in un momento di nervosismo, il capitano giallorosso aveva spintonato a bordo campo.
Insomma, Infascelli si adopera per usare il lungometraggio al fine di restituire un uomo, non solo un calciatore meritevole di essere innalzato a icona, non solo per le sue qualità di gioco (che Totti ricorda essere state sempre le stesse, da quando era ragazzino. Di non avere mai cambiato modo di giocare. E in effetti basta visionare i filmati) ma anche e soprattuto per la straordinaria capacità di ESSERE Roma di ESSERE il popolo, rimanendo fedeli alla scritta che si legge nello spogliatoio dei giallorossi: "Noi siamo Roma".
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