Come ogni anno in occasione delle convocazioni per le Nazionali si riapre il dibattito sulle chances che i club dovrebbero offrire ai giovani italiani. A dirlo però, stavolta, è un tecnico che quando allenava l'Inter è entrato nella storia per aver disputato la gara di campionato senza nessun calciatore italiano schierato dal primo minuto (Inter-Udinese, aprile 2016).

DICHIARAZIONI STRIDENTI - Quelle di Mancini sono quindi delle considerazioni stridenti con quella che è anche la sua stessa visione del calcio, ossia premiare la meritocrazia indipendentemente dalla nazionalità.

I TALENTI E LA POLITICA - L'annosa questione mi trova schierato dalla parte di chi sostiene che il talento non possa essere scovato con le politiche, nessuna legge potrà mai costruire un campione, anzi, al massimo con l'obbligo di schierarli si può generare l'effetto opposto. Chi ha talento troverà il modo di emergere sopravvivendo a quella "selezione naturale" che avviene in campo. Perché gente come Belotti, Verratti, Insigne è emersa nonostante l'assenza di politiche che favorissero l'integrazione dei giovani italiani? Semplice. Perché hanno talento. Mancini per un attimo dovrebbe svestire i panni da "Manager" e indossare quelli da allenatore, "accontentarsi" della rosa a sua disposizione e lavorare per farla rendere al massimo.

L'INCOGNITA FAIR PLAY - C'è poi l'assurdo mondo del FFP, che "costringe" i club a cedere i giovani di talento per garantirsi la tanto sognata plusvalenza e poter puntare su grandi nomi stranieri. Una delle pecche che il meccanismo introdotto dall'UEFA ha manifestato in questi anni. In questo senso sì, gli alti dirigenti potrebbero intervenire e migliorare questa norma.

Tra regole, ipocrisia e Fair Play nessuno sembra avere a cuore per davvero il futuro del movimento calcistico italiano. L'unica cosa certa è che sarà impossibile creare un talento dalla burocrazia, al massimo lo si potrà coltivare.