Tutti a chiedere la testa di Lukaku, tutti lì, col pollice verso, a volere la punizione esemplare. E no, non ci sto. Lukaku non va multato, perché Lukaku non è Icardi. È un gigante buono entrato in quella maglia come nella sua seconda pelle, ha sposato causa e progetto, ha dato evidenza di serietà, combattività, professionalità. Se c’è una cosa che di lui mi piace non sono i gol, le sportellate, l’intesa coi compagni, la pacca al bimbo prodigio prima di lasciargli il rigore, ma il suo capoccione alla fine d’ogni match: traslucido, bello tondo, nero come l’8 che s’infila in buca ad angolo, imperlato di sudore e fumante di fatica. E uno così non si mette in punizione.

Ha sbagliato, sì. Se sconfinare oltre il calcisticamente corretto mentre si fanno quattro chiacchiere sui social e si raccontano sensazioni e paure significa sbagliare, siamo d’accordo: Lukaku ha sbagliato.
Ma che c’entra la punizione? Non c’è stata malafede, non c’è stata alcuna intenzione di ledere l’immagine del club e sicuramente le sue parole non sono state dettate da qualche tornaconto personale. Quello si chiama Icardi, per pelle ha sempre preferito i tatuaggi al nerazzurro della maglia e la moglie/agente ha usato i social come arma di distrazione di massa dal vero casus belli: i coniugi argentini volevano più soldi, utilizzavano piattaforme e tv per esercitare una qualche forma di pressione, la società non ha ceduto e ha reagito nel modo che conosciamo. Fine della storia.

Qual è il parallelismo col belga? Quale autorità deve affermare, l’Inter? Quale steccato è stato oltrepassato? Uno soltanto, quello della comunicazione. Cosa che ultimamente, proprio a causa dei social, succede troppo spesso. Già, i social. Questo è il tema sul quale i club debbono interrogarsi. Perché non c’è dubbio che un inquietante nuvolone incombe ormai sulla vicenda Inter - Cagliari e più in generale sulla gestione del presunto virus, un nuvolone che ha già scaricato piogge di critiche sul club, costretto a metterci il solito ombrello di seta della solita inutile smentita. Ma il problema sta a monte, la causa di tutto non è stata l’imprudenza di Lukaku, bensì l’improntitudine con cui si gestisce lo strumento, totalmente nella libera disponibilità dei calciatori.

Tutti i calciatori hanno un proprio profilo, tutti. Tuttavia, a nessuno di questi si può ragionevolmente chiedere di essere un esperto di comunicazione (e ci mancherebbe). Ora pare che alcuni l’abbiano assunto, un esperto. Ma la maggior parte no, (sicuramente non Lukaku, altrimenti non si spiegherebbe l’accaduto, comunque verificatosi nel contesto di una chiacchierata amichevole, che molti si ostinano a voler definire intervista). Questo perché la maggior parte di loro fa di Instagram e affini più o meno l’utilizzo che ne facciamo noi: un po’ per cazzeggio, un po’ per social-izzare, qualcuno per curiosare, qualchedun’altro per sapere cosa succede in giro. Epperò, loro non sono noi. Ogni parola o gesto o foto o chiacchierata che postano ha un peso specifico sull’opinione pubblica, essendo il soccer uno dei maggiori fenomeni sociali mai esistiti. Se io mi selfo mentre cucino con la maglia della Juventus, al massimo può capitare che mi chiami il mio vicino e mi chieda se è tutto ok. Se Pogba posta un video che lo riprende mentre palleggia indossando quella stessa maglia, apriti cielo e tabloid. Il fatto è che talvolta non se ne rendono conto, vengono travolti da questi maligni video-frullatori e dimenticano di essere ragazzi sotto i riflettori al soldo di società quotate in borsa.

Qualcuno forse pensa che Lukaku avesse idea di ciò che stava per scatenarsi? Romelu ha certamente imparato la lezione o più semplicemente ci penserà due volte prima di parlare di nuovo, ma non è detto che non commetta altre gaffe.

Una gaffe, sì. È stata una gaffe e una gaffe non si sanziona, se ne evita il ripetersi.
Come? C’è un solo modo: inserendo nei super contratti di oggi, del resto sempre più complessi ed arzigogolati, la clausola che inibisce l’uso dei social, se non dietro approvazione e supervisione della società stessa; e questo deve valere sia per i contenuti che afferiscono la sfera personale, sia per quelli attinenti alla professione. E non c’è obiezione di “rispetto della sfera privata” che tenga, perché quando stanno in pubblico e in pubblico parlano, scrivono, si selfano ecc ... la loro sfera e quella del club coincidono (ricordare, prego, quanto imbarazzo creò all’Inter la foto di Wanda e Maurito, nudi uno sull’altra). È un po’ come funziona questo meraviglioso blog su cui sto scrivendo (che ruffiano che sono!).
Perché i nostri contenuti vengono vagliati dalla redazione di VXL prima di essere pubblicati? Semplice, perché altrimenti potrei scrivere cose scabrose, indecorose, dannose per il sito o involontariamente lesive dell’altrui sfera, oppure potrei impazzire e raccontare la mia ultima notte d’amore coniugale. In tutti questi casi, arrecherei o no un danno a Calciomercato.com?
Ecco, noi blogger siamo un po’ tutti Lukaku: ci piace scrivere, ci compiaciamo nel vedere i nostri pensieri che prendono pubblica forma, possiamo il tempo, cazzeggiamo con la nostra passione, sogniamo di essere giornalisti, se potessimo realizzeremmo video da opinionisti consumati, per noi in fondo è un gioco. Ma giochiamo con un pallone che non è nostro ed è sacrosanto che chi lo porta, quel pallone, decida chi far giocare e chi no o, quantomeno. decida le regole del gioco. Decidano le società. Perché se Lukaku fa una gaffe, quella gaffe la fa l’Inter. E non è detto che Lukaku comprenda questo concetto fino in fondo o lo tenga comunque sempre a mente.

Lukaku e l’Inter sembrano proprio fatti l’uno per l’altra, ma attenzione perché, come disse Bauman, “il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione”.
Ah, Bauman non era l’attaccante della Polonia, faceva un altro mestiere.