Francesco Totti e la Roma, la Roma e Francesco Totti. Un binomio, o meglio, un'entità unica, una storia irripetibile, romantica, quasi mitologica, che rischia di avere un epilogo da tragedia.
In un'epoca in cui si susseguono una pluralità di falsi dei, più o meno ogni giorno, essere simbolo di un valore, di un grande amore è più unico che raro. Francesco lo è stato e lo è ancora oggi. Ha amato ed ama visceralmente Roma e la Roma, ed è stato ampiamente ricambiato da un pubblico che negli anni ha fatto di lui quasi una divinità.
Romano verace, ruvido, spesso quasi scontroso, ma capace di rinunciare alle lusinghe dell'élite del calcio, per onorare a vita la maglia che fin da bambino sognava. Ha indossato la maglia della sua squadra del cuore 749 volte mettendo a segno 300 goal, ha trascorso anni di glorie ed altri di pianti, anni di trionfi ed altri di amarezze, ma è sempre rimasto al suo posto, quasi mai toccato da offerte faraoniche (vedere Real Madrid) e mai toccato dall'idea di indossare altri colori, perché Francesco è Rosso come il cuore e giallo come il sole.
Un uomo, prima ancora che un calciatore, con questo trascorso, credo che non meriti rispetto. Il rispetto è troppo poco, Totti merita gratitudine e correttezza.
E' vero che la gamba non è più quella di dieci anni fa ed è vero anche che un calcio a tutta velocità come quello moderno forse non è adatto ad un quasi quarantenne, ma trovo ignobile il modo con cui la società e l'allenatore (di cui qualche giorno fa ho elogiato le abilità tecniche) lo stanno accompagnando verso quello che, con ogni probabilità, sarà l'ultimo spezzone della sua storia da calciatore.
Francesco Totti è uno di quei giocatori che anche con un solo sguardo, anche con il solo silenzio, riescono a compattare e a motivare una squadra intera, è uno di quei condottieri che possono dare il proprio contributo determinante anche senza più scendere in campo. Basterebbe coinvolgerlo attivamente, anche con un minutaggio scarso (si potrebbe anche accettare), ma con gratitudine e correttezza, perché è così che gli idoli vanno trattati. Se questo riesce ad elaborarlo un normale appassionato di calcio, non vedo perché non venga messo in atto da dirigenti ed allenatori pagati a peso d'oro.
Non mi aspetto che la storia da calciatore dell'ottavo Re di Roma si concluda serenamente, perché una cosa l'ho imparata osservando le Leggende smettere: il calcio moderno è troppo impegnato a far circolare contratti milionari e non ha tempo per onorare chi ha reso grande e romantico questo sport. Ho sentito i fischi a Paolo Maldini, ho percepito l'indifferenza con cui un Cda decise che Alessandro Del Piero non era più indispensabile, ho visto Javier Zanetti soffrire in panchina ed ora dovrò guardare Francesco Totti avvicinarsi silenziosamente alla fine dell'era d'oro del calcio.
Ricordatevi che gli uomini passano, ma i nomi delle Leggende rimangono incisi a fuoco sui cuori della gente.
23 Novembre 1980
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