Ognuno si ricorda le favole a modo suo...

Sabato
"Questo fra sette è il più gradito giorno"; imparai quando mi misi, finalmente, a studiare in collegio. Rivissi i sabati, specie quelli dell'estate a Rignano. Non avevano le caratteristiche del "Sabato del Villaggio", di Leopardi, ma anche essi erano particolari. 
Le donne sono a risciacquare il bucato nell'Arno, tendono i bianchi lenzuoli sul greto. I ragazzi devono stare attenti che i paperi e le nane [cit. dialettale: "mogli" dei paperi] non lascino, diciamo così, un ricordo di sé. Finalmente possiamo fare il bagno, ma non è un bagno di piacere o di sport: è di pulizia! Le mamme, con i più piccoli, adoperano sapone e, se è necessario, anche il bruschino. È un continuo sberciare [cit. dialettale: urlare]: "Sta fermo, sta attento, tu affoghi". Ho visitato il grande palazzo di Versailles; le guide ci dicono che fu costruito senza bagni e senza gabinetti. Immaginate le nostre povere case! In inverno, per vasca da bagno, c'era il catino verde dove si rigovernava [cit. dialettale: pulizia delle stoviglie]; per gabinetto, uno comune a più famiglie, che non emanava soave profumo. 
Ginni, direte voi miei pochi lettori, alza il tono!

Domenica
Vorrei essere il pittore Ardengo Soffici più per disegnare, che descrivere alcuni quadretti della domenica.
Nel greto gli uomini fanno il bagno. I più bravi fanno delle nuotate fino sotto il ponte. Paperi e nane nell'acqua starnazzano; alcuni pescano con la canna. Pescatore assiduo è Beppone. Ogni tanto lascia la canna e va a bere un "raso": ci ha fatto il viottolo [cit. dialettale: strada incolta di campagna]. Mentre è a bere un uomo attacca all'amo un'aringa. Beppone torna felice: "Ha abboccato, ha abboccato!". Tira su: quel che dicesse, quel che facesse, il vostro cronista non lo dice.

La Messa tardi
Il sole dardeggia su Via della Pieve. Il Proposto, col fazzoletto bianco intorno al collare e l'ombrellino sale e pepe, è tornato dal Bombone per celebrare alle 11 la Messa. Le signore vanno verso la Pieve con il ventaglio per sventolarsi in chiesa, c'è chi ha anche il cappello di paglia. Le ragazzette e le ragazze vestono con abiti belli, le maniche fin sotto il gomito e le calze lunghe. In chiesa sfoggeranno i più bei veli.
Guardano, ammirano e sono contente di essere ammirate e nel cuore si rallegrano. Con un po' di ritardo arriva la "Camarlenga" con i suoi stivaletti marroni e con il vestito sempre uguale. Gli uomini camminano con la giacca sotto il braccio, il cappello di paglia in testa e si fermano al ponte del Madonnino, all'ombra di un moro (gelso) dove spira sempre un fresco venticello. Noi ragazzi saliamo di corsa e guardiamo quel melo stataiolo in fondo all'orto del Proposto. Ci penseremo a farle cascare nella strada a forza di sassate...
Ci riposiamo sul sacrato e poi di corsa a suonare le campane. Suona l'ultimo e tutti siamo in chiesa. 
Allo stadio ci sono posti numerati e fra i fortunati c'è anche il nostro paesano, Padre Giovanni, che non perde una partita così, anche in chiesa vicino all'altare di sinistra, tre seggiole con i nomi. 
Una per la contessa, un personaggio sempre misterioso. Non ho mai saputo il nome della sua contea e forse neppure lei sapeva di averne una. Tutti dicevano che era una contessa decaduta; a vedere il suo vestito si sarebbe detto che era caduta molto in basso. Vi era la sedia per il notaio e sua moglie: quelli del canino bianco. Ogni sera, alla stessa ora, con l'animale al guinzaglio, arrivavano fino in vetta al paese e poi tornavano a casa. Alla Messa non lo potevano portare perché, come tutti sanno, in chiesa i cani non hanno fortuna. Due erano i quadrupedi noti nel paese: quello dello spazzino e quello del dottore. Ora, dei cani nel paese ce ne sono tanti e ne ho trovato anche uno in chiesa: quello del quadro di S. Rocco, protettore contro la peste, che il cappellano ha fatto restaurare e messo in chiesa alla venerazione dei fedeli. Sì, San Rocco non il cane.
Sotto il pulpito vi è una bella panca di una famiglia facoltosa del paese, però non facevano molto uso di questo privilegio. La S. Messa era devota e tutti stavamo in silenzio. Il parlare del Proposto era lento e il suo raccontare suscitava attenzione nei piccoli e nei grandi.
Tutti uscivamo frettolosi, ma non c'era pericolo di impolverarsi per la strada. L'unico che possedeva in paese una modesta, per non dire sgangherata macchina, era il dottore, ma quella strada era da lui poco frequentata.
Una donna domanda: "Perché il prete parlerà sempre a occhi chiusi?". Un uomo risponde: "Per non veder le streghe!". La zitella: "O per non vedere le corna dei mariti!". Il problema non è di facile soluzione.

Nella mattinata
Si sente gridare con voce rauca: "Brucia, brucia Faenza Cocomero e saggio". Oggi, a tavola, si mangia l'anguria e le pesche di Rosano, dei campi delle suore; piccole, dure, cotogne e saporose che dal babbo vengono zuppate nel vino con un pochino, ma appena appena, di zucchero.
Lo sente il profumo di vaniglia? Su, ma lontano...
Acqua fresca.
Le campane di San Clemente hanno già suonato o suonano mezzogiorno. I Rignanesi passano il ponte o tornano con i mezzanini [cit. dialettale: contenitori acqua] e fiaschi di acqua della fonte. È festa, sulla tavola non può mancare un fiasco di vino di cantina e un bicchiere di acqua fresca. A San Clemente i maligni dicono che di buono vi è solo l'acqua. Essi ci guardano con orgoglio e disprezzo. Se il paragone non fosse difficile, ardito e incomprensibile direi: come i Romani guardavano i barbari conquistatori! La fontana sembra dire: splende per tutti il sole alla pura mia ombra, beve chi vuole. Finito di desinare andiamo a giocare a trottola, a piastrelle, a rivoltino. Non si poteva giocare a pallone per un sempre motivo: non lo avevamo, né tantomeno avevamo i soldi per comprarlo. 

Scende, con il suo carrettino bianco, il babbo della Nena; tutti comprano un gelato da un trentino. È tanto buono! Sappiamo che il gelato della pasticceria, in centro del paese, è più buono ma quello aveva un altro sapore! Il sapore di chi ha poco e si accontenta facilmente, l'altro di chi ha molto e non si accontenta mai. Il migliore è quello di Buzzina; ci si trova qualche volta una mosca, ma è questione di toglierla. Si può prendere anche una buona gazzosa e l'acqua di Serse, nel bottiglione azzurro. Memorabile la risposta di chi cercava quest'acqua d'inverno: "Questo vuole l'acqua di Serse in inverno?". Tutto è servito a tavolino. Qualche giovanottaccio legava con uno spago il tavolino al treno fermo. Indescrivibile la scena alla partenza e le imprecazioni del nostro buon Buzzetta. I tavoli si fermavano al muro...
Qualche volta azzardiamo a fare il bagno ai ponti della ferrovia, ma il timore che le mamme ci scoprano e vengano a prenderci con la frusta di salcio non ci incoraggia. Andiamo in cerca di qualche melo, susino o pero e, quando incomincia l'uva a maturare, di qualche grappolo. 
I più grandi vanno al Pian dell'Isola in qualche cocomeraio e trovano, invece, tante "zucche". Gli uomini, e quelli che avevano passato tutta la settimana nella galleria a scavare pietra o ai forni, andavano da Lisandro a bere del buon vino e a giocare a carte. Uscivano un po' alticci, scendevano le scalette in fila e volevano risalire lo sdrucciolo verso la piazza, ma le gambe tremavano e scendevano uno dietro l'altro verso l'arco, barcollando; per la strada piana arrivavano in piazza del comune. Non erano sguaiati, non disturbavano, ridevano e facevano ridere gente allegra che voleva dimenticare quello che il lunedì loro attendeva: la cava, la fatica, la polvere e il poco guadagno; tutto ritmato dal lacerante fischio della sirena del Borro.

La sera
Si avvicina l'ora della cena! Si sente nelle strade più strette un gran battere. Le mamme battono sul tagliere le bracioline comprate dal Lallo, perché facciano più "comparsa". La sera della domenica ci sarà: bracioline e patate fritte con insalata. L'odore del fritto si sparge, e per le strade e per le stanze. In qualche famiglia a cena ci sarà anche il... Damo, che con la sua Dama, arriverà fino ai Macelli. L'inverno saranno in salotto e la mamma a fare la calza al lume di petrolio.
Non si accontenti di sopravvivere; lei deve pretendere di vivere in un mondo miglioreNon solo di sognarlo...

Al mulino
Il rumore della pescaia, il ciarlare delle donne, il gridare dei ragazzi, le discussioni accese degli uomini su Binda e Guerra. Sul muro Giangio e mio nonno Pietrino che parlano di politica; il grè grè delle rane. Il cri cri dei grilli, le punture delle zanzare e, ditemi se non si aveva ragione a guardare con un po' di invidia, le luci del Saltino, sopra Vallombrosa, dove frescheggiava il nostro farmacista e il Barone che tutti dicevano avesse un milione di capitale e poteva permettersi il lusso di andare l'inverno in Egitto. Andavamo a letto in quei forni crematori delle nostre camere a tetto al lume di luna delle finestre spalancate. Non il suono delle campane ma il gracidare delle rane ci dicevano "dormi", ci ripetevano "dormi" per svegliarsi la mattina in un mare di sudore.
Tutti quelli che se ne vanno, ti lasciano qualcosa dentro di . Se questo è il segreto della memoria non sarò mai solo...

I giovanotti
I giovanotti contadini avevano la battitura del grano. Era fatica, quanta polvere e sudore. A tavola l'immancabile papero, ma l'allegria era tanta, e che canti di stornelli alle ragazze che portavano acqua agli assetati. Non possiamo dimenticare che in Luglio e Agosto, in tutto il Valdarno ci sono le fiere e i... "Perdoni" e i giovanotti non se ne perdevano uno.
A settembre la vendemmia e, con l'ultima domenica, il perdono a San Clemente e la fiera a Rignano. Così terminava l'estate e la nebbia già ci ammantava. La metà di agosto eravamo a fare merenda o in Ragnaia o a Vallombrosa.

Tornando in mezzo a voi sono contento che siate stati al mare o in montagna, che nel paese ci sia il campo sportivo, il tennis, la piscina e che abbiate la macchina per girare e osservare le bellezze della nostra Italia. 
Non dimentichiamo mai il nostro paese, le nostre origini, il nostro "ceppo" e le "virtù" paesane: solo per questo ho sognato e scritto in questi giorni caldi di inizio estate.
Il cielo non prende niente senza ripagare smisuratamente...
Non dobbiamo mai perdere la memoria delle nostre origini, del fango da cui siamo stati tratti. Di qualunque superba distinzione si vantino gli uomini, hanno tutti una stessa origine e questa è piccola. È fondamentale, del resto, non tradirle mai, non dimenticare chi siamo stati.
In fondo, la vita è un viaggio e, se non vogliamo dissolverci, dobbiamo ricordare sempre da dove siamo venuti.

A mio zio.