In quel trionfo di cuori che fremono sospesi tra la voglia di vincere e la paura di non farcela, riposa il mio esser tifoso, anelante a nuovi successi. E del gruppo di uomini per cui tifo altro non posso che esser grato: avete abituato il mio cuore a vincere. Si dice: "nel calcio come nella vita". E nulla potrebbe essere più sbagliato, se si guarda esclusivamente al dio denaro, e tuttavia, al contempo, nulla potrebbe essere più giusto, se si torna bambini, con gli occhi pronti a gioire per le "gesta" dei propri beniamini. Il virgolettato sta per evidenziare un significante forse eccessivo; e l'uso della parola beniamini sta per un distinguo doveroso dai veri eroi, che sono altri. Tuttavia, la passione per il calcio sta tutta nell'ossimoro, nel dualismo che definisce costantemente quello che è l'uomo: istinto e raziocinio, maturità e fanciullezza, nichilismo e accettazione, voglia di vincere e paura di perdere. Ed è nel mezzo di questa dolcissima contraddizione che nascono quelli che sono i sentimenti: l'amore, per una donna come per una squadra, sono figli di un paradosso che né logica né spiritualità possono spiegare se non compenetrate tra loro. Questo incipit è doveroso, risultando stucchevole e oltremodo romantico, non l'avessi io fatto: in questo "giorno" così magico, tuttavia, non posso fare a meno di spingere il mio ego, la mia "ombra" di junghiana matrice, mi si perdoni il neologismo, verso una dimensione esaltante, infantile, ammirata e stupefatta. Che queste parole siano testimoni: quanto godimento. Ho appreso grazie a qualcosa apparentemente così superficiale, che impegno, abnegazione, costanza, forza di volontà vanno di pari passo con il successo e che talora rendono immortali ricordi, mitizzano uomini e generano storie. Con il risultato di dare gioia, di quella pura, di quella incorruttibile. Grazie, beniamini, avete insegnato al mio io fanciullo come si diventa leggenda. Avete aiutato il mio io adulto a dimenticare, per un poco, l'amarezza di alcuni aspetti di questa vita. Tornerà prima o poi il mio cinismo e mi dedicherò nuovamente a un tifo più analitico che appassionato. Queste sensazioni, tuttavia, resteranno forti e indelebili. Ad maiora, dicevano gli antichi. E in linea di massima avevano ragione. Quando però la grandezza travalica i limiti della norma, pare quasi esercizio di futilità immaginar cose ancor più grandiose: ad momentum, quindi. Una, due, tre, quattro, cinque, sei volte grazie. Avete reso me e i miei compagni di tifo unici e leggendari. Alziamo la voce, con la mano sul petto, e urliamo al mondo che noi siamo juventini, che non c'è nessuno come noi e che, soprattutto, nessuna squadra è riscita a fare quello che ha fatto la Juve. Comunque vada per il prossimo grande impegno, guerrieri, beniamini: siate fieri, e sappiate che sempre orgogliosi sventoleremo i vessilli, noi miseri e noi enormi testimoni di una le66enda. GRAZIE VECCHIA SIGNORA.
23 Novembre 1980
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