Prima o poi ci si deve fermare. Sì, perché se la costanza è una virtù di pochi, arrivati ad un certo punto, si alza bandiera bianca. Arriva quel momento in cui bisogna arrendersi al proprio stato fisico, mentale e psicofisico. La perfezione non esiste, si sa, e, a mio modo di vedere, anche la perfezione presenta tratti di imperfezione. Forse per questo non credo che la si possa mai raggiungere. Ci si può sempre migliorare, quello sì, ma la perfezione lasciamola a qualcun altro, non è cosa che riguarda noi comuni mortali. Insomma, quando nel nostro orologio biologico le lancette decidono di fermarsi, è tempo di cambiare, di ricaricare le nuove pile e iniziare un nuovo ciclo. Solo così si può ripartire. È un momento che arriverà per tutti, nessuno escluso. Il quando non è conosciuto alla nostra consapevolezza, ma arriverà. E così, quando l’orologio biologico della Juventus sembrava fermarsi, ecco che non l’ha più fatto. Era lì, ad un passo, le lancette andavano a rallentatore, ma in un modo o nell’altro hanno deciso di completare nuovamente il giro, segnandone nove consecutivi. Perché se avessimo pensato per un momento che la Juventus avrebbe ceduto lo scettro del primo posto, beh, possiamo dire che è stata soltanto un’ottima illusione ottica: tre allenatori diversi in questi anni, così come i giocatori, così come i dirigenti, ma la Juventus è sempre lì.

Vincere non è mai banale

Si potrà avere anche una squadra strapiena di campioni, ma la vittoria non è mai scontata. Possono sorgere sempre una miriade di problematiche. Non solo in campo, ma anche all’interno dello spogliatoio. Una rosa composta da una serie di giocatori dal calibro fortissimo, può entrare tranquillamente in collisione: questo capita quando i giocatori sono infatuati dal battere un proprio record personale o altrui che sia. Pensate che una squadra formata da Ronaldo e Messi sarebbe stata dettata a ritmi di altruismo lì davanti? Non ne sono così sicuro. Ma insomma, la Vecchia Signora trionfa per la nona volta consecutiva, batte ogni record, stupendo per fino se stessa. Con il tempo le cose cambiano e, in casa Juventus, come scritto poc’anzi, se ne sono visti di giocatori forti fare le valige per andarsene e posarle per arrivare. Così come anche gli allenatori: tre differenti – Conte, Allegri e Sarri – tutti con filosofie di calcio diverse, eppure, la Juventus, ci guarda sempre dall’alto. Tanta costanza nel suo DNA, che la si vede anche in termini di punti. Perché se è vero che quest’anno ha realizzato il “peggior” punteggio dalla stagione 2011-2012, è pur vero che le avversarie non ne hanno mai approfittato e hanno continuato a parcheggiarsi dietro di lei. Ma non possiamo addossare solo le colpe alle avversarie per non averne approfittato, ma i meriti bisogna attribuirli soprattutto alla squadra di Sarri. Quest’anno e con gli anni, la competitività è aumentata a dismisura: non ci sono più gli anni in cui il duello era a due squadre (Roma-Juventus e Napoli-Juventus), ma le squadre sono aumentate notevolmente. Abbiamo visto la Lazio, che fino a prima del lockdown sembrava essere l’antagonista giusta; abbiamo visto l’Inter che alla fine si è accostata dietro ad un solo punto di distanza; e poi, abbiamo visto l’Atalanta, che se avesse vinto all’Allianz Stadium, forse avremmo un epilogo differente. Il dato che ci fa riflettere è che, nella stagione 2014-2015, la Roma allenata da Garcia, si era piazzata alle spalle della Vecchia Signora (la bellezza dei 102 punti) con 17 punti di distacco. E oggi, sempre facendo il paragone tra la regina d’Italia e i giallorossi – arrivati quinti - è di 13 lunghezze. Insomma, vuoi o non vuoi il gap è diminuito, fa parte della realtà oggettiva, ma rimane il fatto che è sempre lì. Una vittoria non banale che deriva anche, non solo da una forte dirigenza alle spalle, ma anche e soprattutto da una politica di mercato che l’ha vista sempre consolidarsi come potenza egemone. Oltre a prendere diversi giocatori a parametro zero (sia in Italia che all’estero), la Juventus che in questi anni, tranne che nell’ultimo, è stata guidata da Marotta, ha sempre tolto il migliore alle avversarie: Bernardeschi alla Viola, Pjanic alla Roma, Pirlo al Milan, Higuain al Napoli, ora Kulusevski al Parma, insomma, di esempi ce ne sono, anche se non sarebbero stati titolari, andavano a comporre una panchina perfetta, una panchina che poteva benissimo formare una nuova squadra di Serie A e lottare per i vertici della classifica. La Juventus non è vincente solo in campo, ma anche fuori, nelle strategie e nelle politiche adottate. “Vincere è l’unica cosa che conta” disse Bonucci e non penso che abbia detto una corbelleria.

Studiamo Maurizio Sarri

La prima cosa che è saltata all’occhio nella gestione Sarri, è stata la sua dipendenza da Cristiano Ronaldo nel modo di giocare. Un modo di giocare che vedeva il modulo propendere verso un 4-3-3 in fase di possesso, dipese maggiormente da un CR7 che richiedeva palla da sinistra per poi accentrarsi e un 4-4-2 in fase di non possesso, con uno shift a sinistra dei suoi centrocampisti (Pjanic, Matuidi, Khedira e Douglas Costa). In fase di trequarti trovavamo Higuain a causa di una lenta preparazione nella condizione fisica della Joya. Avevamo Pjanic che godeva delle due mezzali ravvicinate, cosicché gli consentivano un appoggio rapido, veloce, che dava vita alla manovra della squadra; Matuidi, che insieme al brasiliano Alex Sandro doveva dar adito alla manovra offensiva oltre che quella difensiva; e un CR7, che prendeva palla da defilato a sinistra, si accentrava, tentando la botta dal limite dell’area o lo scarico ad uno dei centrocampisti lì in prossimità.

Uno dei diversi stridii che la Vecchia Signora di Sarri ha risentito è stato il pressing avversario: perché se l’ideologia del tecnico toscano risiede nell’evitare che la parte avversa invasi la propria metà campo e all’interno della propria area, con i 3-5-2 andava in difficoltà; complice anche un Pjanic che non sempre riusciva a trovare l’appoggio per i compagni, andava sotto pressione, e finiva per regalare palla agli altri (uno dei motivi per cui il “Piccolo Principe” è stato ceduto). Nella fase offensiva, l’allenatore ha trovato alcuni ostacoli nel dinamismo e negli inserimenti, causa soprattutto l’infortunio di un giocatore di cristallo come Douglas Costa che, di conseguenza, l’ha portato all’adozione di un altro tipo di modulo, il 4-3-1-2.

La scelta dipendeva, oltre che per l’infortunio del brasiliano, anche per i centrocampisti che avrebbero faticato non poco nel ricoprire i ruoli da mezzali e, il continuo boomerang attacco e difesa, avrebbe creato un cortocircuito nella stamina dei calciatori. Allo stesso modo, anche Ronaldo, Higuain e Dybala non sono grandi pressatori e, questo, avrebbe favorito le squadre con un’impostazione che partisse dal basso. In tale modo, con l’aggiunta di Ramsey sulla trequarti e dietro le punte, Sarri si proteggeva in fase di pressing e di palleggio, consentendo ai centrocampisti quel lasso di tempo in più per le scalate nel ripiego. Pjanic, è stato uno di quelli che, più di ogni altro, ha beneficiato del modulo romboidale, grazie ad una diminuzione del pressing avversario, più libertà nell’impostare l’azione e un ventaglio maggiore di opzioni per verticalizzare. L’infortunio di Ramsey è stato un altro macigno da digerire: in pronta sostituzione c’è stato Bernardeschi, che però, tranne in qualche sporadica occasione, non è stato all’altezza di sostituirlo. In questo maremoto, emerge la figura di Bentancur come mezzala destra, applaudito per le sue prestazioni dai tifosi, ma anche dall’allenatore: anche se all’inizio un po’ timido con gli smarcamenti, l’uruguaiano ha comunque contribuito ad una maggiore aggressività. L’elevato numero di uomini che richiamavano la palla tra i piedi nei pressi dell’area di rigore avversaria, è stato controproducente per la Juventus, specie contro squadre che presentavano una barriera numerosa davanti la propria area. Troppo traffico portava a poche azioni decisive. La svolta avviene con l’impiego, prima a gara in corso, poi per diverse partite da titolari, di Dybala: messosi alle spalle di Ronaldo e Higuain, l’argentino, garantiva molti più passaggi, creava occasioni da gol e, con la sua flessibilità e dinamicità, mandava in confusione gli avversari. L’unico problema, sorgeva nella fase di ripiegamento che, come vedremo, porterà alla fine del rombo.

La passività della Juventus – sia in fase offensiva che difensiva – mandava sempre più in frantumi le speranze di continuare con tale modulo. A questo cocktail mortale, vi si aggiungeva anche una staticità dei centrocampisti e una flebile incursione tra le linee di difesa da parte delle punte e una mancanza di fluidità nella metà campo. Insomma, il rombo non portava bei risultati a lungo termine. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, portando la fine del 4-3-1-2 è stato il rientro di Douglas Costa.

Con l’approdo di Ramsey ad interno destro di centrocampo, trovandosi a suo agio anche con Dybala con passaggi ad un tocco e triangolazioni varie, una maggiore attenzione è stata posta alla copertura difensiva. Cosicché Maurizio Sarri deciderà di restare con tale filosofia, accantonando qualsiasi altro tipo di esperimento e rimanendo così fino a fine stagione, nonostante qualche brusca fermata imprevista. Oltre al già citato Bentancur, anche Rabiot ha fatto la sua parte, spazzando le critiche oggettivamente giustificate da parte dei tifosi e un Dybala schierato anche come punta, trovando molte volte un’intima complicità con il portoghese.

Cosa ci aspettavamo da Maurizio Sarri?

Sicuramente non è stato il calcio frizzante che ci ha deliziato quando era a Napoli. Ma anche qui, ritornano come eco, le parole di Massimiliano Allegri: “giocare bene a calcio è molto semplice. Però tra il giocare bene e vincere ci passa una roba sottile, che sembra sottile, ma non è sottile […]”. E queste parole penso che siano state udite anche dall’attuale allenatore: non ha giocato bene, non ha giocato il calcio spumeggiante di cui ci aveva viziato, eppure, ha vinto. Con il Napoli dei 91 punti, molti di più rispetto a quelli che ha totalizzato la Juventus quest’anno, non gli sono valsi lo scudetto, giocando un calcio spettacolare. Oggi, con la Juventus, nulla di tutto questo, ma il campionato se lo è portato a casa. Il primo, tra l’altro, della sua carriera. Questo conta. Perché nelle bacheche e nelle classifiche, valgono i risultati, non esistono posizioni su chi gioca bene e su chi gioca male, ma solo ed esclusivamente i risultati. Maurizio Sarri è un allenatore intelligente, sveglio e caparbio. Ha adottato diverse soluzioni, che poi l’hanno riportato alla sua filosofia di gioco. L’ha cambiata, ha sperimentato, ha dato vita a diversi modelli ibridi, portandolo comunque al trionfo. E non era così scontato, perché il lavoro di un tecnico si riconosce anche fuori dal campo. Ha saputo gestire una rosa piena di campioni, titolari e non, mettendo sempre la squadra in primo piano. Attendiamo il secondo ciclo di Sarri per vedere se effettivamente questo “bel calcio”, chiamato a gran voce dai tifosi, arriverà veramente. La nuova squadra, seppur in via embrionale, sta prendendo forma: dapprima con lo scambio Arthur-Pjanic e ora, con l’arrivo di Kulusevski.

Nove scudetti in nove anni: è ancora migliorabile la Juventus?

Partiamo dal fatto che si può sempre migliorare. Non esiste la perfezione e, come scritto nell’introduzione, anche la perfezione presenta le sue imperfezioni. Sembrerà strano perché parliamo della Juventus; sembrerà strano perché è la squadra dai nove scudetti consecutivi; sembrerà strano perché ha Ronaldo in squadra; sembrerà strano perché questa squadra possiede almeno due top player per ogni ruolo, ma la Juventus, è una squadra migliorabile. E forse, in questa, più di ogni altra stagione, non è mai stata messa così tanto in discussione. Questa annata, l’ennesima vinta, presenta molti più “ma” che certezze e questo è un dato che ci deve portare a riflettere.

Abbiamo conosciuto la brutta copia della squadra di Maurizio Sarri: una rosa che ha faticato non poco nel seguire il dettato dell’allenatore, forse troppo abituata alle libertà individuali che il buon Max Allegri le lasciava; una rosa che, spesso e volentieri, è stata frenata nei passaggi, nel tocco vincente, causando quel traffico in mezzo all’area che serviva a ben poco e che, in fase di ripiegamento, lasciava troppi spazi agli avversari; un’impostazione che veniva macchiata dal ruolo non naturale ricoperto da Pjanic, tant’è che la prossima stagione verrà ricoperto da Arthur. Tante increspature che sono emerse a singhiozzo in diverse parti dell’anno.

Le certezze partiranno da Bentancur e de Ligt: il primo ha disputato una buonissima stagione, sia sul fronte qualitativo che quantitativo. Le prestazioni dell’uruguaiano non sono passate sotto un cono d’ombra, ma hanno messo in luce le sue peculiarità; il secondo, ha avuto un inizio abbastanza opaco, ma comprensibile. Doveva adattarsi ad un calcio completamente diverso, rigido alle regole dell’allenatore che in lui ha trovato anche un ottimo maestro, che ha saputo gestirlo al meglio, portandolo ad una crescita esponenziale. Peccato per Khedira, con Sarri avrebbe trovato una sorta di via maestra, ma il vero grattacapo è che più della metà della stagione la passa guardando la partita. La sicurezza troverà anche il nome di Ramsey, bravo a ricoprire sia il suo ruolo da mezzala sia quello da trequartista dietro le due punte. In entrambe le occasioni si è comportato molto bene e, il prossimo anno, potrebbe essere uno dei punti cardini della squadra. L’arrivo di Kulusevski sarà fondamentale per comprendere il modulo di Sarri: ritornare al rombo o continuare con il 4-3-3? Lo svedese sa ricoprire diverse zone di centrocampo, perfino quella di esterno, che a Parma gli ha fatto fare faville. Con ogni probabilità non partirà subito nel meccanismo sarriano, è giovane e il tecnico saprà quando arriverà l’ora clou per inserirlo, e ci stupirà sicuramente.

E poi l’attacco, un dilemma da non poco conto. La punta che crea spazi a Dybala e Ronaldo va assolutamente cercata e scovata. Higuain non può ricoprire quel ruolo e serve l’attaccante giusto, al momento giusto per i due alieni. Non possono giocare separati, assolutamente. Hanno una forza stratosferica entrambi: il primo è Ronaldo e le caratteristiche risiedono tutte sul nome, l’altro ha trovato la sua consacrazione e si trova nel pieno della propria maturità calcistica. Scegliere l’attaccante non è semplice, ma sarà sicuramente fondamentale per comprendere la filosofia sarriana in questa società. Milik? Zapata? Paratici farà il suo lavoro.

de Ligt, Bentancur e Dybala: tre certezze per il futuro

75 milioni tuonavano i mass media nel rivelare la cifra spesa dalla Juventus per Matthijs de Ligt. Non la cifra che vediamo tutti i giorni per un difensore, almeno qui in Italia, e già partivano le critiche da parte dei più scettici. Effettivamente le difficoltà incontrate dall’olandese non sono state poche. Un nuovo campionato, una tattica completamente differente, un nuovo modo di giocare, insomma, tanti contesti che, accumulati, hanno sortito una sorta di shock anafilattico. Con l’infortunio di Chiellini - una sorta di Virgilio in campo - il giovane difensore si è trovato spiazzato e gli errori sono arrivati a profusione, come se avesse aperto il vaso di Pandora. Poi però, complice il duro allenamento, coadiuvato da un ottimo Maurizio Sarri, nel corso della stagione abbiamo assistito ad un de Ligt completamente differente, che ha tenuto botta alle accuse e alle insufficienze, trasformate in continue buone prestazioni. Il giocatore è forte negli anticipi, legge bene le marcature e intercetta spesso i passaggi avversari. Compatto, sicuro e costante, de Ligt è il futuro della difesa bianconera.

Un diamante a centrocampo. Rodrigo Bentancur è stato il calciatore che, quasi in tutte le occasioni, ha risposto presente. Ha saputo ricoprire due zone non semplici del centrocampo: quella da mezzala, composta da pressing, velocità e dinamismo nell’impostare l’azione, senza dimenticare le fasi di ripiegamento che sono uno dei fantasmi della squadra di Sarri, e quella di Pjanic, sostituito più e più volte in quella posizione, garantendo molte più certezze rispetto al bosniaco. Bentancur è il classico giocatore che scende in campo con lo smoking: fine nei passaggi, elegante nella manovra e sublime negli smarcamenti (anche se qui c’è da migliorare). Un sudamericano indispensabile per le manovre offensive e per il giusto equilibrio in quelle difensive: un sudamericano che Sarri non può non considerare.

Joya” significa gioiello e, per le sue indubbie qualità, penso anche che sia troppo riduttivo. Paulo Dybala ha trovato finalmente la sua consacrazione a livello calcistico. È riuscito a creare un’intesa, un connubio perfetto tra mente e corpo, diventando fondamentale per le redini della squadra. Il 10 non è eccessivo, ma è il numero giusto. Complici qualche problema personale (livello fisico e tattico) l’argentino si è trovato ad essere prima un libero professionista e poi centrale per il progetto di Sarri. Ha ritrovato quella vena realizzativa che sembrava evaporata. In campo, invece, è il solito ballerino che danza sugli avversari, spezzando i raddoppi a suon di dribbling e cambi di direzione, che mandano in estasi ogni tifoso di calcio e, soprattutto, ogni tifoso juventino. Il futuro è scritto dietro quella maglia, perché se il domani ha un nome, quello si chiamerebbe Paulo Dybala.

CR7 è sempre CR7

35 anni e 31 gol in questa stagione. Una forma strepitosa e straripante, da far invidia anche al miglior giovane promettente in circolazione. Un giocatore che ogni anno decide di superare il limite del suo limite, di oltrepassare le proprie capacità e non smette mai di stupirci. Ha dato completezza ad una squadra incompleta sotto tutti gli aspetti. Un allenatore che ha dovuto adattare esperimenti differenti, anche per andare incontro alle esigenze del portoghese, ma più che comprensibile: nel 2020 realizza venti reti su 48 della squadra. Una media pazzesca se accanto si scrive “veneranda età di 35 anni”. Il portoghese, oltre che ad essere una macchina da gol, è anche un riferimento per chi ha intorno: ricordiamo il bel gesto che fece nei confronti di Zaniolo non appena uscì in barella; un Kulusevski che ci racconta di come “è stato emozionante incontrarlo” e che quando è andato a firmare il contratto con la Juventus, lui era lì ad aspettarlo per dargli di persona il benvenuto. Insomma, Ronaldo è un giocatore inarrestabile e, forse, inarrivabile. Quando giungerà il momento che il calcio stesso spera non arrivi mai, lo deciderà lui e non l’età. Se Ronaldo il prossimo anno smette è perché si sente di smettere; se Ronaldo decide di smettere di giocare fra 10 anni, è perché per altri nove si sentirà ancora il padrone di questi numeri statistici stratosferici.

Verso il decimo?

“Più difficile vincere 10 scudetti di fila che la Champions”. Le parole di John Elkann non so se siano una giustificazione al fatto che la massima competizione europea manchi da troppo tempo o se questa affermazione possiede un fondo di verità. Se devo dare una mia opinione, forse la seconda è quella più solida. Un campionato non è una coppa: richiede costanza, testa e fisico per affrontare settimanalmente e non tale, tale torneo. Vincerne dieci sarebbe il coronamento di un’egemonia che già adesso è egemonia. Un campionato monopolistico che, mai come quest’anno, ha visto così tante squadre crederci. Il problema però, risiede anche nei risultati, perché non conta quanto arrivi vicino all’avversario ma conta batterlo e, nessuna, nonostante la loro vicinanza, sono riuscite a scalfirla. La domanda è, se la Vecchia Signora sia riuscita a vincere nonostante le mille intemperie causate dal lockdown, nonostante la moltitudine di parti avverse pronte a toglierle lo scettro, nonostante il peggior punteggio realizzato in questi nove anni, nonostante la numerosità dei gol presi rispetto agli anni scorsi, come si può pensare che anche il prossimo non lo riporti a casa?

Il campo risponderà ai nostri dilemmi.