Non mi nascondo e chiarisco subito un punto. La ripartenza del calcio mi farebbe piacere perché sono un fervente appassionato e il pallone è utile nella mia vita per più di un motivo. Lo ammetto con sincerità e lo stesso sentimento mi conduce a sostenere la grande attenzione che ho nei confronti della salvaguardia della vita delle persone. Anche se si è potuto fortunatamente constatare che il coronavirus nella maggior parte dei casi non sia mortale, tutelare l’umana specie significa evitare che questo terribile ospite riesca a infettare gli individui di qualsivoglia età. I dati sulla mortalità giovanile sono assolutamente risicati, ma il covid-19 non fa differenze. E’ molto pericoloso anche in quanto è assolutamente imprevedibile. Il SarsCov2 è malefico perchè sconosciuto. Questa è la sua arma migliore e potrebbe lasciare segni sui vari organi del corpo senza che chi è colpito ne abbia accortezza. Servono esami clinici specifici, ma soprattutto occorre comprendere se tali conseguenze possano risultare pure molto gravi. Al pari di queste determinanti esigenze esistono necessità altrettanto importanti. Mi trovo ancora a riferirmi a economia e psicologia per cui, stando al Sole 24 Ore, il 41% degli italiani correrebbe rischi sulla salute mentale. A causa del lockdown, la crisi è molto pesante. La situazione finanziaria è paragonabile a quella dell’ultimo dopoguerra. I dati che emergono dalla Caritas sono spaventosi. L’ente ha sottolineato un aumento del 40% delle richieste. Anche il “banco dei pegni”, indicatore abbastanza valido per lo status del portafoglio di una popolazione, ha subito un incremento parecchio elevato. Assistendo a “Porta a Porta” su Rai Uno notavo troppe persone costrette a cedere anelli, catenine o altri ricordi di una vita per racimolare un po’ di denaro contante da utilizzare nell’immediato facendo fronte a quest’emergenza che non può e non dev’essere sottovalutata. Se qualche settimana fa soffrivamo giustamente per le terapie intensive che traboccavano di corpi talmente affaticati e logorati dalla malattia da restare immobili, privi di ogni sensazione, a giacere supini sopra un letto con un respiratore come unico contatto con l’esistenza, è assolutamente necessario che proviamo sensazioni di desolante tristezza anche nei riguardi di rischia, o è già caduto, in stato d’indigenza e di chi purtroppo si è tolto la vita. Molte persone potrebbero essere costrette a condurre una esistenza di stenti. Magari tali individui hanno una famiglia o dei figli giovani e non ancora in grado di autosostenersi. Che fine faranno? Occorre non dimenticarsi di uomini che purtroppo hanno compiuti gesti estremi proprio perché non sopportavano l’urto economico o morale della situazione. Il pensiero torna all’imprenditore di Napoli che si è lasciato andare a tale atto solo qualche giorno fa. Non si tratta di un caso isolato. Vi prego: non scordiamoci di queste persone. In effetti anche il Premier Conte pare essere stato colpito nel profondo dal terribile accadimento: “dolorosa notizia. Siamo vicini alla famiglia. Dobbiamo affrontare un periodo di grandi sofferenze” (Ansa). Sono 3 concetti brevi, ma che non hanno necessità di ulteriori specifiche.

Dopo questo lungo divagare, del quale mi scuso ma che mi appariva necessario, torno alla tematica di questo pezzo. Il calcio vanta 300mila lavoratori, muove 12 settori merceologici ed è una delle principali aziende del Paese. Quando si cerca di tutelarlo considerandolo alla stregua delle altre imprese non lo si fa per un puro diletto personale, ma si agisce nell’ottica di salvaguardare un sistema fondamentale. Per concludere la dissertazione riguardo questo sport dal punto di vista economico, mi spingerei persino a una proposta. Sia chiaro che tutte le discipline devono vantare grande rispetto e prestigio però è inutile cedere alla retorica. In Italia, il pallone è qualcosa di diverso tanto che per molti aspetti non può rientrare nella citata categoria. Perché non concedere a esso una diversa ottica e prospettiva considerandolo alla stregua delle altre aziende anche dal punto di vista politico? Il calcio continuerebbe comunque a fornire un contributo finanziario determinante a favore del mondo sportivo, ma posizionandolo in un settore differente e più votato all’aspetto finanziario del tema. Il pallone non è più un gioco. Anche in tempi lontani dal covid-19 sottolineavo la tematica distanziandomi da un’apprezzabile visione “romantica” di tale attività che attualmente non mi pare plausibile. Certamente il coronavirus potrebbe ridimensionare tutto il sistema avvicinando il calcio a un’ottica nostalgica, ma questo avverrà per ogni comparto industriale e in un bilanciamento generale lo sport più amato in Italia rimarrà un qualcosa di assolutamente diverso dalle altre discipline atletiche. Basti osservare alle recenti notizie. La Gazzetta dello Sport rimarcava come il fondo Cvc, già impegnato nel “Sei Nazioni” di Rugby e nella Formula Uno, potrebbe avere l’intenzione di acquistare i diritti tv della serie A dalla stagione 2021-2022 per poi rivenderli ai broadcaster. Si parla di cifre molto importanti. Chiudo con numeri concreti. La Rosea afferma che grazie alla ripresa, la Bundesliga salva un passivo di circa 770 milioni di euro. Questo non per sostenere la tesi di un ritorno immediato del campionato, ma soltanto per affermare che il calcio non è un affare ludico e può salvare migliaia di posti di lavoro. Solo qualche giorno fa, il noto giornalista Sky Paolo Condò proponeva di verniciare di rosso le banconote che il pallone versa allo Stato come segno nei confronti del “populismo” dilagante intorno a questo mondo che non lo considera alla stregua delle altre importanti attività.

Non soffermandosi solo sull’aspetto più concreto della vicenda, si può analizzare pure il piano sociale della questione. Fabrizio Caramagna afferma: “Quando eravamo ragazzi e ci bastava una palla per sentirci invincibili, una squadra per sentirci uniti e un lembo di terreno per sognare l’impossibile. Lo chiamavamo calcio ed era bellissimo”. E’ la descrizione perfetta dell’attività che il populismo sta provando a distruggere. Il pallone non è la ghianda da affibbiare alla domenica all’italiano medio per il quale nutro personalmente un grande rispetto. Questo sport è parte fondamentale della nostra cultura nazionalpopolare e ultimamente è tacciato troppo negativamente. Non mi riferisco a chi sostiene di aspettare settembre e la prossima stagione per riavviare il campionato di serie A. Per carità, se nessuno dovesse perdere il posto di lavoro, 2 mesi non farebbero alcuna differenza. Ho già avuto modo di sottolineare come la disciplina sportiva più amata d’Italia non faccia praticamente mai capolino nelle estati della Nostra Gente che non avrebbe difficoltà a sopportare tale astinenza. Il mio grido d’allarme è nei confronti dei tanti che con superiorità snobbano il calcio considerandolo materia troppo banale per il loro eccellente tempo. Queste persone dovrebbero comprendere che, qui, il pallone è storia. E’ un’arte alla pari di tante altre. I nostri nonni hanno portato questo gioco nello Stivale. I genitori lo hanno sviluppato lasciandoci in eredità una passione che accompagna 32 milioni di italiani. Scusate se è poco. La gente si emoziona per una maglietta sudata, compie sacrifici per acquistare un abbonamento allo stadio o per potere osservare le partite sulle varie piattaforme. Chi adotta determinate scelte merita rispetto e non può essere guardato con superbia. Non sto nemmeno a ribadire che l’amore per il pallone si concilia alla perfezione con l’ammirazione per altre forme di cultura. Sarebbe superfluo.

Ho segnato molti goals all’Inghilterra e al Brasile, prima di addormentarmi, dopo una fuga sulla sinistra”. Così parla Gesualdo Bufalino perché il calcio è il sogno proibito di tanti individui. Chi è spinto dalla passione e dal desiderio avrà sempre un obiettivo e una ragione per continuare a correre. Più difficilmente, quindi, si farà colpire dallo sconforto. Perché levargli tale possibilità? Alberto Camus sostiene che “non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”. Giacché al momento non è possibile frequentare questo “parco divertimenti” almeno concedete la possibilità di accontentarsi della televisione. Si tratta di fantastico bene succedaneo ed è il mezzo più utilizzato per seguire gli accadimenti del pallone perché basta affidarsi alle statistiche per comprendere che la maggior parte delle persone guarda i match dal salotto di casa sua o dal bar. Ora lo si faccia senza assembramenti. Ricordate il Mondiale del 2006? Faccio riferimento a quest’evento perché nel 1982 non ero ancora nato quindi non ho il tatto giusto per trattare di quel periodo storico. Lo stesso, chiaramente, vale per il 1934 e il 1938. In quell’epoca, poi, vi era persino una situazione totalmente differente della quale non mi permetterei mai di trattare. Quattordici anni fa la nostra Nazionale saliva sul tetto del mondo. Alzi la mano chi non ne è stato orgoglioso. Abbiamo battuto la Germania in casa Loro. “Chiudete le valige si va a Berlino… Andiamo a Berlino, Beppe!!” “Andiamo a Berlino!!” Così gridavano Caressa e Bergomi ai microfoni Sky dopo che Del Piero aveva battuto Lehman segnando il gol del raddoppio azzurro allo scadere del secondo tempo supplementare. A più d’uno è scesa pure una lacrima di gioia che qualche giorno dopo è diventata giubilo completo. Gli uomini di Lippi, infatti, portarono a termine il grande capolavoro superando la Francia ai calci di rigore nella Capitale Teutonica. Insomma, un’apoteosi totale. Battere i “cugini d’oltralpe” sul suolo tedesco alzando fieri al cielo la Coppa Rimé è stato qualcosa di unico che si spera di ripetere. E’ necessario, però, non “darla vinta” a chi sta lentamente macchinando per estirpare questo sport dalla realtà sociale e magari quel 9 luglio era implicato in goliardici festeggiamenti. Per non parlare poi del 2012… Qui tocco un tasto dolente che rischia di stuzzicare nervi scoperti. Sì, perché quando si tratta di Angela Merkel e della sua Germania molti miei connazionale raggelano. Personalmente no, ma non voglio entrare in tematiche politiche. Correva il periodo del noto “whatever it takes” pronunciato dall’allora Presidente della BCE Mario Draghi che fu molto utile in ambito finanziario. In Italia governava un altro Mario. Il riferimento è a Monti. Dal punto di vista economico, i rapporti tra il Nostro Paese e quello teutonico non erano propriamente idilliaci ed entra in gioco il terzo Mario. Mi riferisco a SuperMario Balotelli che nella semifinale di Euro 2012 fece impazzire i tedeschi con una doppietta micidiale. In tanti ricorderanno il gol del raddoppio che sancì l’eliminazione teutonica dal torneo. Il bresciano tirò una sassata talmente violenta che se mai il malcapitato Neuer avesse provato a fermare, avrebbe rischiato la lussazione della spalla. Conquistare la finale, dove fummo malamente sconfitti dalla Spagna, fu un godimento per tanti anche a livello politico. I muscoli mostrati da Balotelli dopo la rete descritta divennero un meme che fu mostrato ironicamente ai tedeschi non solo nell’ambito sportivo. I teutonici ebbero la loro rivincita e nel 2014 vinsero il Mondiale mentre 2 anni più tardi ci eliminarono ai quarti di Euro2016. Il successo più grande, però, è quella della Bundesliga che è il primo campionato top a riuscire a ripartire. Lo farà il 16 maggio quando la Germania vanterà il pregio di avere gli occhi del mondo addosso per un motivo d’orgoglio. Recentemente Ceferin, Presidente dell’Uefa, ha affermato: “… finché non tornerà il calcio la gente non avrà la percezione di un ritorno alla normalità ...” Come dargli torto?!

Da noi, invece, proseguono le discussioni con Spadafora che pare sempre il maggior pessimista in ottica ripresa. Altre voci politiche non sembrano esattamente in linea con il Ministro. Sicuramente l’uomo che occupa il dicastero dello sport, come ha più volte sottolineato, non odia il calcio ed è perfettamente conscio di ciò che rappresenta alle nostre latitudini. Sarebbe assurdo considerarlo tra chi con superiorità snobba tale attività. Si lascia trasportare però da una comunicazione che risulta ambigua, in cui sovente fornisce proprio l’impressione di non comprendere le esigenze del pallone fondamentale per una grande fetta del Paese. E’ un atteggiamento che mi pare piuttosto grave alla luce del ruolo ricoperto. All’interno dell’ambiente decisorio sembra ormai rimasto abbastanza solitario nella sua posizione contraria alla ripresa della stagione in corso. E’ chiaro che la sua non è esclusiva volontà di mantenere un punto. La scienza non pare, infatti, convinta della possibilità di ricominciare un’attività come lo sport di contatto. Detto questo occorre valutare ogni elemento e se pure un Presidente, decisamente contrario a rimettere in moto il meccanismo, come Cellino ne ha compreso la necessità modificando il proprio parere significa che tale bisogno è sicuramente fervente per la salvaguardia del sistema. E’ necessario bilanciare le esigenze e trovare un protocollo adeguato per rimettersi in gioco subito o quantomeno riuscire a salvare le società con la certezza di una ripresa settembrina che coniughi anche la possibilità di eventuali diatribe legali. Urge chiarezza immediata. Non si può proseguire nella completa incertezza.