Provo estremo imbarazzo nel dover commentare le prestazioni della Juve dal 3 Giugno 2017 ad oggi. La data in questione costuisce un innegabile spartiacque nel (quasi) decennio di dominio bianconero. Cardiff, capitale del Galles e centro periferico del Regno Unito, assume i contorni di un buco nero che ha inghiottito gli ultimi residui di una Signora esemplare quanto a vittorie sul campo e programmazione societaria. Sarò monotono, ne sono consapevole. Sarò pessimista, ahimé trattasi di condizione di estremamente irreversibile. Sarò pignolo: meglio il prosciutto di Luciano o di Gino? (Spero possiate cogliere la citazione/omaggio al genio verdoniano). La condizione attuale è figlia di un quadriennio nel quale si è anteposta la visibilità del brand alla definitiva consacrazione internazionale. Si è scelto di esonerare, a cuor leggero, un allenatore vero, per sostituirlo con tecnici alla ricerca di un qualcosa di cui ancora non si ha notizia. Varie ed eventuali.

Il calcio dei giorni nostri presuppone che la grandezza di un club passi anche per le dimensioni del suo marketing. Non basta essere fenomeni circoscritti ai confini comunali/regionali/nazionali, bensì espandersi quanto più possibile verso lidi ancora inesplorati. Il cambio di logo, nella fattispecie bianconera, al netto di ironie e mugugni, rappresenta una mossa strepitosa nell'esportazione del prodotto. Indossare un capo di abbigliamento, con la doppia J sul petto, che sia una felpa, una t-shirt o un jeans, è paragonabile a qualsiasi altro indumento, riconducibile alla varietà di marchi nell'universo della moda. Doppia J e CR7 uguale Juve quale marchio riconoscibile a livello planetario. Moda, visibilità sui canali social, tournée in giro per il mondo, nuovi tifosi, audience consolidato specie nelle partite di cartello. La strada più semplice per arrivare al sogno più grande.

Tutt'altro, tutt'al più regressione totale. Dalla finale di Cardiff al Lione di Garcia, un filo rosso che lega insuccessi e tonfi inattesi. Fuori ai quarti con il Real, dopo una mancata impresa. Sempre out ai quarti -previa epica nottata con i colchoneros di Madrid- con la baby Ajax, sfavorita sulla carta. L'anno dopo si ha un miglioramento imprevisto: eliminati agli ottavi dal temibilissimo Lione dell'ex tecnico giallorosso e sviolinatore Garcia, squadra da metà classifica in Ligue 1, nell'inedita cornice dell'agosto di Champions, causa Covid-19. 

Gli scudetti vinti, nonostante le amarezze continentali, con il senno di poi (facile parlare!) denotano exit poll, ancora da chiarire, nei quali andrebbero contrapposti i meriti bianconeri e i demeriti della concorrenza. Così parlò Acciughina, come si apprende da fonti giornalistiche: io proseguo, se voi cambiate una buona fetta di squadra. Fra le righe, il buon Max aveva già intuito la compresenza di campionissimi e mezze 'segh...' Allo stato attuale le mezze s... paiono quasi una corrente maggioritaria. Riconoscere i campioni, nella Juve odierna, significa selezionare con cura giusto pochi elementi. Essere una mezza sega, per intenderci, denota estrema mediocrità, assenza di personalità, prestazioni monstre e prestazioni horror alternate con facilità disarmante. 

  • Szczesny (è tempo di fare nomi e cognomi) para e ride. Vorrei che facesse ridere anche noi tifosi, alla ricerca di un espediente per non esplodere nel pianto.
  • Alex Sandro è un ex giocatore di calcio, da ammirare, altresì, per la capacità di volersi misurare ancora ad alti livelli. Titolare potenziale della Partita del Cuore.
  • Bonucci è un motivatore nato...sui canali social. Magari avesse le capacità oratorie del suo social media manager!
  • Rodrigo Bentancur, un film diretto da Dario Argento.
  • Adrien Rabiot, sinonimo del termine "amorfo".
  • Aaron Ramsey, tra l'infermeria e l'ospizio imparasse a stoppare un pallone e a coordinarsi.
  • Federico Bernardeschi (!), il calcio dovrebbe dissociarsi dalle sue prestazioni.
  • Dejan Kulusevski, scarpini o infradito? La scelta è assai ardua.
  • Paulo Dybala, 12 milioni annui a libro paga del J|Medical, nel prossimo contratto.

Chiedo scusa per eventuali omissioni. Sono certamente giudizi ponderati con l'intestino, ma non credo che la stragrande maggioranza degli juventini non abbia mai pensato qualcosa di analogo. Sacrificare un reparto come il centrocampo, inoltre, in grado di produrre ingenti quantità di gol e assist (Marchisio-Pirlo-Pogba-Vidal, l'apice; nota di merito anche per il maestoso Sami Khedira e citazione per l'encomiabile Biagio Matuidi), per privilegiare un attacco poderoso, pare essere una scelta assai scellerata. Considerando, poi, che l'intero peso offensivo sia monopolizzato da Cristiano Ronaldo, il dato risulta ancor più allarmante. 

Imbastito il processo, bisogna pur collocare qualcuno sul banco degli imputati.

  • Una premessa è doverosa: Allegri è un tecnico top, con discrete doti di preveggenza, ma, forse, giunto alla fine di un ciclo.
  • Quali sono le colpe di Sarri e Pirlo?     
  • Semplicemente quelle di non essere all'altezza della Juve, per motivi diversi.
  • Chi ha messo in panchina Sarri e Pirlo?         
  • La dirigenza juventina.
  • Chi sarebbero, dunque, gli imputati?               
  • Agnelli, Nedved, Paratici.
  • Mettere la dirigenza sul banco degli imputati non è sinonimo di ingratitudine?       
  • Assolutamente no! Vincere in passato non garantisce l'immunità nel presente.

La dirigenza, dunque, nessuno escluso, rappresenta il colpevole perfetto per il delitto a lei ascritto. Mandar via Allegri, anche per dare il contentino a un gregge di caproni belanti, non è scelta da compiere a cuor leggero. Rimpiazzarlo con Sarri e poi con il deb Pirlo è un capo di imputazione ancor più salato. Come se non bastasse, non si può non tenere in considerazione il modus operandi sul mercato: plusvalenze gonfiate imbastite con piccoli club, dispettucci puerili a Marotta, stipendi esosi per giocatori mediocri (Adri€n Rabiot, Aaron Rams€y). In più l'affaire Suarez. Un esame farlocco e vergognoso per un giocatore che mai sarebbe approdato a Torino. Come per la Champions, anche per la programmazione esiste un filo rosso: Cardiff-Lione, come Schick-(Suarez)-Rovella o Sarri-Pirlo. (Qualcuno dica a Nedved e a Paratici di pensare alla pianificazione e non agli arbitri da ingiuriare).

Dalla Juve di Pirlo, simbolo della prima annata di Conte, alla Juve dei pirla. Un ricettacolo di arroganza, assenza di idee e mezze s... sparse fra campo e scrivania. Un giovane e neofita tecnico messo sul patibolo per celare inettitudini e mediocrità di un collettivo smarritosi nella notte di Cardiff. La fiducia nel presidente Agnelli resta, comunque, immutata. Se così non fosse, ci si dimenticherebbe di tutti i progressi compiuti dal post-Calciopoli ad oggi. Nessuna fiducia in Nedved, Paratici o chi per loro, elementi di disturbo in preda a incontrollata megalomania. Pirlo, una volta preso, va aspettato e lasciato lavorare. Sicuramente in un tempo limitato, non in prospettive perpetue.
CR7, De Ligt, Buffon, McKennie, Arthur e Chiesa (senza tralasciare Cuadrado o Danilo) gli unici intoccabili. Per il resto andrebbe venduto un buon quantitativo di giocatori (o mezze s..., in questo caso).
Non ci è dato sapere se la Juve stia programmando il futuro. Nel presente non possiamo fare altro che "godere" della Juve dei pirla, senza gioco, senz'anima, senza capo, senza coda.