Vado controcorrente e non per il gusto del bastian contrario, ma per un'idea di calcio che finalmente si sviluppa durante le partite della Juventus. Mi spiego. Ieri la Lazio è stata dominata (e non attacchiamoci alle assenze dei capitolini, perché anche i sabaudi ne avevano importanti!) e la Juve è stata raggiunta per uno sciagurato controllo errato di Dybala che può anche sbagliare, ma che dovrebbe cominciare ad eliminare quelle scivolate psicologiche che ne atrofizzano il talento. Concentrazione e leadership sono essenziali per un campione, sia per sé che per l'impatto sugli avversari, caratteristiche che ancora difettano al fantasista argentino. Qualcuno racconta la favola dell'annosa questione contrattuale, ma se hai personalità dimostri in campo il tuo valore, indipendentemente da ciò che succede sui tavoli della dirigenza.
Come diceva Gustave Flaubert che ha attraversato la letteratura con tale caparbietà e talento, “perché voler essere qualcosa quando si può essere qualcuno?”. Ecco cosa dovrebbero domandare a Paulo Dybala.
La Juventus è stata squadra e ha giocato con verticalizzazioni rapide muovendo almeno cinque giocatori oltre la linea della palla, e finché Ronaldo è rimasto in campo, finché Morata ha sostenuto i ritmi imposti dal gioco, così come Cuadrado e Rabiot, la Lazio è stata incapace di proporre il suo gioco. Poi la stanchezza dopo settantacinque minuti di partita ha determinato situazioni impreviste che hanno obbligato Pirlo ai cambi. Qualcuno gli attribuisce scelte sbagliate, ma i cambi sono stati pressoché obbligati, e la panchina non offriva grandi variabili. Per una volta difendo il mister che sembra aver abbandonato l'aura di maestro per incarnare quella di condottiero. E' un Pirlo diverso, meno sperimentalista e quindi più efficace. E il gioco comincia a prendere forma.
Questa Juve sembra la prima Juventus di Lippi, non tanto per gli interpreti (avvicinarsi è il compito di Paratici), ma per il percorso e per la voglia di creare un gruppo monolitico che si spostava curando perfettamente le linee. Fino allo strappo del 4 dicembre 1994, quel 3 a 2 sulla Fiorentina con la rimonta di due gol negli ultimi venti minuti di partita, la Juventus aveva perso con Foggia e Torino e pareggiato con Brescia e Inter, squadre che alla fine della stagione si erano classificate rispettivamente sedicesima, undicesima, ultima e sesta, insomma non proprio squadre di vertice. Una Juve che a fatica si era costruita e aveva via via acquisito fiducia e risultati. Ieri mi sembra che queste caratteristiche si siano viste per largo tempo.
Pirlo, smessi i panni dell'innovatore a tutti i costi, forse troppo esaltato per i suoi numeri da giocatore, si è calato nella veste del condottiero, e come diceva Essopo: “l'auto-presunzione può condurre all'auto-distruzione.”, ma se i panni sono quelli dell'umiltà e della determinazione, come diceva Madame du Pompadour, “una volta aperta, ogni porta può condurre in qualunque direzione”, salvo convincere la truppa ad infilarsi in quella porta.
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