Normale che una nazione che viva ormai solo di calcio (che altro c'è all'orizzonte di questo disastrato Paese?) si ritrovi totalmente shock per la non qualificazione ai Mondiali della Federazione Giuoco Calcio comunque detentrice di ben 4 titoli mondiali, secondo, con la Germania, soltanto al mitico Brasile.
Da ieri sera ho scritto e ho letto di tutto, in un viaggio molto casuale (o a casaccio) tra considerazioni più o meno condivisibili e veri e propri assalti frontali a Ventura e Tavecchio, alcuni, mi pare, anche di carattere umano e personale.
Bisogna ammettere che l'acrimonia di molti esperti o appassionati nasce dall'imperturbabilità di chi ha sbagliato di fronte ai propri errori.
Non occorreva certo uno scienziato del calcio per giudicare il lavoro di Ventura già precedentemente a questo drammatico spareggio. Tantomeno occorreva uno scienziato della filosofia, della sociologia o della psicologia per giudicare il nulla programmatico della presidenza di Carlo Tavecchio.
Ma oggi queste mie stesse affermazioni, come le considerazioni prima sommariamente richiamate, paiono inutili e forse persino futili, e questo in considerazione di un dato tanto elementare da farmi apparire stupidamente saccente nel richiamarlo. Perché qualcuno avrà pure compiuto il proprio lavoro con ardore e passione, sacrificando allo scopo anche notevolissima parte della propria vita privata, e però dovremmo ricondurre il tutto all'elementarità delle conseguenze a cui ognuno, nella vita, è soggetto nell'espletamento dei propri compiti e del proprio lavoro. quel lavoro non ha purtroppo prodotto nessuno dei risultati prefissati.
In buona fede, sia chiaro, giacché credo risulti chiaro a chiunque come anche Ventura e Tavecchio avrebbero personalmente beneficiato della tanto agognata vetrina mondiale. Però qui non siamo chiamati a fare valutazioni filosofiche o 'politiche' ma soltanto a giudicare la capacità professionale di apportare vantaggi al nostro movimento calcistico, sia di primo livello che di base. Al momento, invece, e al netto di ogni antica e personale riserva sui personaggi in questione, possiamo solo annoverare quelli che chiamerò eufemisticamente 'svantaggi': non qualificazione mondiale, vecchi gioielli del parco giocatori da 'nazionale' relegati in panchina, nuovi protagonisti mai individuati o mandati semplicemente allo sbaraglio, una federazione che mostra quotidianamente e senza alcun pudore, alla luce del sole, i suoi antichi intrighi e sospetti, per non parlare di commissariamenti di qua e di là.
Con la stessa buona fede, il mondo calcistico tutto dovrebbe dunque richiedere, sia pure mostrando la giusta gratitudine, le pacifiche e serene dimissioni di entrambi. E, se questo non avvenisse rapoidamente, Malagò potrebbe prendere la palla al balzo per commissariare una Federazione anche esteticamente allo stremo, così dando finalmente un po' di quell'immagine nuova del Coni che aveva promesso e che ancora, però, aspettiamo.
Difficile sperarci, d'accordo. E, tuttavia, impossibile non pensarci.
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