Cosa vorresti fare da grande?
È questa la domanda che di solito viene posta ai bambini da parte dei genitori, dei nonni o da tanti altri conoscenti. A cinque anni, otto o nove non si è ancora in grado di capire cosa succederà in futuro e di conseguenza non si è in grado di rispondere con sicurezza e precisione. Una delle risposte più quotate è quella del calciatore.
È vero, sono cresciuto a latte biscotti e gol ma il mestiere del calciatore non mi ha mai entusiasmato più di tanto. Ho resistito solo per un mese a calcetto. Volevo entrare in polizia, essere membro delle forze dell’ordine e fare del bene per i cittadini. A proposito, colgo l’occasione per ringraziare tutti gli uomini e le donne in divisa per quello che fanno.
Ma la mia strada non era quella.
Fu così che ebbe inizio un sogno.
Kiev, 24 febbraio 2022
Iniziano i bombardamenti sulla capitale ucraina. La gente è disperata. C’è chi urla e chi piange per il dolore. I pianti disperati dei neonati sono di aiuto, un grido di allarme che scuote anche il fumo e la polvere dei fabbricati caduti sotto i colpi.
Quel campo da calcio posto quasi al centro del parcheggio di un piccolo paesino nei pressi della capitale non è più lo stesso. Ieri c’erano i bambini che costruivano le porte con le ruote, giocavano alla tedesca ed esultavano alla “Sheva” (nome con cui è chiamato il calciatore Andrij Sevcenko), oggi, invece, non è rimasto più nulla. Hanno rovinato il destino dei ragazzi. Prima, anche uno sguardo in alto verso la magnifica Donbass Arena poteva essere di aiuto e coraggio verso chi sognava di fare il calciatore.
Per strada non c’è nulla, solo macerie, carri armati e in cielo gli elicotteri. La sera c’è il coprifuoco. Mi è rimasta solo una penna con dei fogli, questi ultimi bagnati dalle tante lacrime versate.
La mia forza è quella di raccontare tutto. Tutti i giorni scrivo qualcosa, lo faccio per la mia famiglia e i miei amici. Mi farebbe piacere se un giorno, dietro la scrivania di un Tg nazionale, vedessero il mio volto o ascoltassero una mia telecronaca della partita della Nazionale ucraina.
Vivo quello che scrivo. Posso raccontare in prima persona di aver vissuto il momento in cui ti crolla il mondo addosso, cosa che gli altri per fortuna possono solo sognare.
Ho scelto di scendere in campo, ma non con un pallone, con delle scarpe o con una semplice maglietta del mio calciatore preferito, ma l’ho fatto con il cuore e la semplicità che mi è stata donata.
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