1 miliardo e 117 milioni. Questa cifra è piuttosto simile a quella che riguarda la popolazione dell'India oppure il prodotto interno lordo di San Marino, ma in questo caso non riguarda nessuno di questi due aspetti: questa cifra riguarda la spesa che il Psg, dal 2011 ad oggi, ha sostenuto "solo" per l'acquisto dei cartellini dei giocatori. Un autentico schiaffo alla povertà. Da Javier Pastore, primo acquisto dell'era qatariota, pagato 43 milioni, a Leandro Paredes, ultimo acquisto per ordine cronologico, pagato 47 milioni, passando per Ibrahimovic, Thiago Silva, Thiago Motta, Marquinhos, Cavani, Di Maria, David Luiz, Draxler, giusto per citarne alcuni, che, tuttavia, non sono nemmeno lontanamente paragonabili, a livello di esborso, ai due acquisti più costosi della storia del calcio, ovvero Neymar e Mbappè, per i quali il Psg ha speso la "modica" cifra di 402 milioni.

Indubbiamente questi numeri fanno rabbrividire, considerando che, soltanto fino a 15 anni fa, nemmeno la più fervida immaginazione poteva aspettarsi che ci saremmo ritrovati a fare i conti con numeri a tre cifre in ambito di calciomercato. 

E' chiaro che, però, bisogna capire se e quali frutti questa campagna ha portato, in termini di risultati: in ambito nazionale, si può dire che il Psg abbia fatto piazza pulita (o quasi), vincendo, dal 2011 ad oggi, sei titoli nazionali (con il settimo che è ormai pura formalità), sei supercoppe, cinque coppe di lega e tre coppe nazionali, sfruttando appieno, però, la poca competitività del campionato francese, sebbene comunque, negli ultimi anni, qualche miglioramento ci sia stato da questo punto di vista. Considerando quest'ultimo aspetto, diventa, di conseguenza, fondamentale, capire come i francesi si siano comportati in campo europeo: eliminati una volta nella fase a gironi di Europa League, eliminati tre volte agli ottavi di Champions (le ultime, consecutive) e quattro volte ai quarti. Un vero e proprio disastro.

A questo punto è doveroso provare a capire i motivi di questi numeri impietosi del Psg in Europa, ed emergono, in tal senso, un paio di aspetti potenzialmente interessanti: il primo riguarda una carenza palese nella programmazione e nella gestione tecnica. In otto anni, il Psg ha cambiato quattro allenatori, in media uno ogni due anni, impedendo, in questo modo, alla squadra, di assumere una certa identità, poichè ciascuno di questi allenatori non ha nemmeno avuto il tempo, in un certo senso, di trasmettere la propria idea di calcio, che, puntualmente, veniva rimpiazzato. Certamente le responsabilità non possono essere imputate totalmente alla società, anche perchè se capita che, per fare un esempio, in un ottavo di finale, dopo aver vinto 4-0 all'andata in casa, ne becchi 6 al ritorno, la società può farci ben poco. Ed è qui che entra in gioco il secondo aspetto interessante di questo fallimento parigino: la mentalità.
La mentalità di una squadra si costruisce in un arco temporale non breve, assimilando al proprio interno un certo tipo di giocatori che abbiano delle doti naturali di leader, e che siano in grado di prendere per mano la squadra nei momenti più complicati e di guidarla in quelli migliori, fungendo, in questo modo, da esempio per i più giovani, o comunque per quegli elementi che sono meno abituati a calcare certi palcoscenici. In questi anni, al Psg, non si è visto nulla di tutto questo: nessuno dei giocatori che hanno vestito questa maglia o che continuano a vestirla è mai stato realmente in grado di prendersi le proprie responsabilità, mettendo sempre davanti il proprio ego, il proprio interesse, piuttosto che quello della squadra, non dimostrando mai di avere la sensibilità, la voglia, di lottare per perseguire un obiettivo comune. E questo, non si può acquisire o comprare nemmeno con tutti i milioni di questo mondo.