Come ogni giorno anche stamattina stavo facendo quattro passi in Maremma per digerire la pantagruelica cena di iersera quando, sputato fuori dal nulla, è apparso davanti ai miei occhi, forse partorito dalla rigogliosa macchia mediterranea, un buttero che diceva di chiamarsi Porsenna, probabilmente sfuggito al controllo del padrone, un feroce…(ovviamente) Pastore Maremmano; ho saputo poi che, in quella amena località, questo tipo di incontri è quantomai frequente ed è peraltro universalmente risaputo che, sempre da quelle parti, si rispetta in modalità inversa “il padrone per il cane”.
Mugolando di gioia e leccandomi senza ritegno sul viso, il buttero mi ha messo tra le mani un foglietto su cui, in una lingua a me sconosciuta, erano state vergate un insieme sconnesso di frasi frettolosamente scritte a matita; il buttero, nell’allontanarsi, mi ha avvisato che la loro lingua euboica non è stata a tutt’oggi ancora decifrata; mi ha spiegato perciò che quegli scarabocchi erano in realtà due poesie e che ero stato designato come messaggero perché consegnassi le stesse alla redazione di VxL…
e nel tornare frettolosamente dal suo padrone ringhiante mi ha detto con tono implorante: ”è un saluto, non dimenticare di fartelo pubblicare; in esso c’è il graal da cui i blogger si sono abbeverati in questi anni…”
Ambasciator non porta pena (?) ed eccoli qua…
Un posto senza confini
Ho sempre amato questo stadio un po’ degradato ed anche questo mare di tifosi che impedisce al mio sguardo di vedere tutto il campo. Ma quando sono seduto su questi gradini, e guardo, m’ immagino tutto il campo (porte comprese) e gli spazi fra una porta e l’altra e il silenzio sovrumano dei tifosi che seguono trepidanti un’azione da gol
e la pace abissale (quando facciamo gol o quando lo evitiamo) fin quasi a sentire il cuore tremante di emozione. E quando i cori tacciono li paragono a quel silenzio infinito: e d’improvviso nella mia mente affiora il ricordo inscalfibile di tutti i campionati trascorsi, e anche quello presente che ci emozioni in questi momenti
e, come è sempre stato e come sempre sarà,
mi lascio dolcemente travolgere da questo mare di dolcezza romantica
Un populu
Un populu
mittitulu a catina
spugghiatulu
attuppatici a vucca,
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavola unni mancia
u lettu unni dormi
è ancora riccu.
Un populu,
diventa poviru e servu
quannu ci arribbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Non credo ci sia bisogno di traduzione per “Un Populu” di Ignazio Butitta che utilizza un siciliano talmente italianizzato da far impallidire perfino il montalbanese di Camilleri; mi piace pensare però che la lingua dei padri, arrogantemente “arribbata”, sia proprio l’averci scippato il sogno di tener viva la nostra fantasia.
Ma noi siamo tosti e non molliamo…
Un saluto a tutti, mi mancherete…
Frankie
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