Diciamocela tutta: forse stasera, lunedì 13 novembre 2017, il calcio italiano e tutto il movimento sportivo nazionale ha toccato lo zenit, lo zero assoluto, il punto più basso da cui ripartire, il dramma paventato ma mai realmente scongiurato. Sono ancora incredulo. Non ho voglia di parlare. Vorrei però che ora parlasse chi questo chi il calcio lo comanda e lo dirige in una maniera inadeguata. Diciamolo. Non lo scopriamo certo oggi. Dovrebbero parlare Tavecchio e Ventura, e mostrare quel briciolo di dignità forse ancora rimasta e levare cortesemente il disturbo. Senza appelli, senza scuse, senza capri espiatori. Il nostro calcio è malato e proseguire con questo atteggiamento sarebbe accanimento terapeutico. La forza sta nei giovani, nel raziocinio, in uno sport scevro da macchie politiche e tribunali. Bisogna coltivare la passione dei ragazzi e ridare loro tutto l’entusiasmo che il calcio sa donare. Bisogna agevolarne la crescita, provare a cambiare uno scenario sì triste, ma che potrebbe rivelarsi un gesto infausto ma necessario al fine di una crescita totale. E Noi italiano si sa, sappiamo sognare. Dobbiamo crescere di mentalità tutti: i giocatori, i Presidenti, gli allenatori, i dirigenti, i tifosi. Vorrei che Ventura si dimostrasse uomo e mettesse la faccia in una disfatta che ha dell’epico. Del biblico. Serve riflettere, e serve farlo in fretta. Nascondersi dietro i petroldollari non farà sembrare il nostro calcio meno vecchio. Il cuore dell’Italia non ha sopperito alle carenze tecniche, alle incertezze tattiche. Poteva convocare quello, poteva schierare quell’altro; lasciamo perdere, siamo 60 milioni di allenatori e col senno di poi siamo sempre bravi tutti. Mostriamoci più grandi da subito. Impariamo immediatamente la lezione e buttiamo un primo mattoncino per quello che dovrà essere un futuro glorioso, fulgido, come la tradizione italiota comanda. Ragioniamo a più ampio raggio, senza prenderci in giro. Questa sera abbiamo vissuto una catastrofe allo stesso modo di quando vivemmo il nirvana calcistico la notte del 9 luglio 2006, in quell’ormai distantissimo Olympiastadion di Berlino. Non importa che figura avremmo fatto al Mondiale, non importano più nemmeno le fazioni agonistiche. Pensiamo da collettivo, da Italiani. Ci vuole coraggio di osare, autocritica, capacità di anamnesi. Tutti volevamo andare al mondiale. Tutti. Io, voi, mio cugino, Renzi, Grillo, Marco Columbro, e proprio tu che stai leggendo questo articcolo. Non mentirti. Ah, pure Balotelli.
Vogliamo persone che vivano il calcio come tutti Noi, quelli del popolo, quelli che il pallone lo trangugiano e che, fondamentalmente, danno da mangiare agli stessi miti che idolatrano. Che idolatriamo. Guardiamoci in faccia e confrontiamoci, evolviamo verso lidi più maturi e più consoni al blasone che la nostra gente merita.
Il cielo è nero sopra Milano e stasera abbiamo fatto una figuraccia che, come direbbe Califano, “Tutto il resto è noia”. Rialziamoci ora. Ne siamo capaci.
Evviva il calcio italiano. Stasera ancora di più.
PS: Non dormirò stanotte.
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