Sugli almanacchi c’è scritto che il suo piede preferito fosse il destro, ma migliaia di napoletani sono pronti a giurare che non si è mai capito se fosse destrorso o mancino. Di sicuro aveva un lancio illuminante, una visione di gioco fuori dal comune, una conoscenza del calcio degna di uno stratega della panchina e, a detta di tante ragazze partenopee, tra cui mia madre, una bellezza conturbante.
Krol nacque ad Amsterdam nel ’49 e giocò nel leggendario Ajax e nell’Olanda del calcio totale, la famosa Arancia Meccanica che per due volte consecutive arrivò in finale in un mondiale e perse. Terminata l’esperienza coi Lancieri, andò a giocare sedici partite in Canada prima che Totonno Juliano, dirigente del Napoli, riuscisse a portarlo sul golfo più bello del mondo. Centodieci milioni al Vancouver per il prestito, dopo solo un anno Ferlaino, presidente del club, versò ai canadesi un miliardo di lire e garantì a Krol un ingaggio di ottocento milioni all’anno. Krol vestì la maglia azzurra per quattro anni, collezionando 125 presenze e realizzando un’unica rete, nella vittoriosa trasferta degli azzurri in quel di Brescia col risultato finale di due a uno. L’altro goal del Napoli in quella partita fu segnato dall’indimenticato Gaetano Musella.
L’eleganza di Krol era proverbiale: “Sua Maestà”, lo chiamava durante le telecronache il famosissimo Bruno Pizzul. Nato terzino sinistro, a Napoli si impose come libero. Jorge Valdano ricordava che Krol toglieva il pallone agli avversari stendendo “la lunga gamba in maniera elegante, perfetta, per rubargli il portafogli di cuoio rotondo”. Una volta entrato in possesso della sfera, usciva a testa alta dalle retrovie e impostava il gioco della squadra, come un regista moderno. Quel Napoli di onesti mestieranti vinceva, convinceva e riusciva a piazzarsi una volta terzo in campionato e una volta quarto. Krol era il capitano e il leader di quella squadra. Vinse il Guerin d’Oro, un premio che veniva conferito al miglior calciatore straniero di ogni stagione. Fu talmente amato dai napoletani che durante la campagna antiabortista del 1981 comparvero in città dei manifesti che recitavano: “Tifoso che voti per l'aborto, pensaci. E se la mamma di Krol avesse abortito?”.
Le successive due stagioni di Krol furono negative per la squadra, che rischiò di retrocedere. L’ultimo anno, Krol dovette fare i conti con un grave infortunio al menisco, che lo costrinse fuori dal campo per lungo tempo e che spinse il Napoli a non rinnovargli il contratto. “Napoli è stato un sogno bellissimo. Se non mi fossi rotto la gamba, sarei rimasto a vita”, disse prima di lasciare la città partenopea e di accasarsi al Cannes, seconda divisione francese.
Ancora oggi, di tanto in tanto, seduto sugli spalti del Tempio in attesa del fischio d’inizio di una partita, mi capita di pensare a questo biondo ed elegante olandese che entrava in campo mandando baci a tutti e quattro i settori dello stadio. “Rudy, Rudy”, urlava la folla partenopea. Solo dopo questo rito, l’arbitro aveva il diritto di fischiare l’inizio.
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