In un certo senso, il Milan che ieri ha perso l'italica Supercoppa può vantarsi di essere entrato nella storia del calcio.
Da ieri sera, infatti, si potrà parlare di un football prima della Supercoppa di ieri e di uno successivo a essa.

Nella storia del calcio si è giocato col metodo o col sistema, col verrou degli Svizzeri e col catenaccio del Padova di Nereo Rocco. Abbiamo visto le difese a zona o a uomo, a 3, 4 o 5 difensori. Gli attacchi sono stati a 1, 2 o 3 punte. C'è stato il calcio totale di Michels, il pressing di Sacchi e il tikitaka di Guardiola. Il Milan attuale, invece, ha inventato un nuovo gioco, il modulo ad minchiam, per usare un'espressione del compianto professor Scoglio. E' una tattica che si ribella alla noiosa schiavitù della logica, per affidarsi alla pura vellità ovvero "Se il tecnico vuole che il centravanti giochi in porta e il portiere in attacco, si fa, perché volere significa potere con la giusta applicazione!". Il caos cosmico, simboleggiato dal danzante Shiva della religione Indù, diventa l'armonia dell'arte classica, quasi statica nella sua immutabile ed eterna perfezione.

La Supercoppa è andata all'Inter, vincitrice sul Milan per 3-0 dopo un match senza storia. L'esito è apparso scritto fin dai primi secondi. Le telecamere impietose, infatti, hanno mostrato un Milan con 4 attaccanti (Leao, Giroud, Diaz e Messias) stabilmente oltre la linea della palla in attesa di un Godot che, come nella pièces di Samuel Beckett, è destinato a non arrivare mai. Ma forse è giusto che l'uomo al timone rossonero attenda fiducioso Godot, perché non ha letto Beckett, con ogni probabilità.
Al minuto 1 appena scoccato, del resto, Barella, Dzeko e Lautaro si precipitavano in avanti annunciando ciò che si sapeva ovvero che l'Inter avrebbe giocato a far girare la testa agli avversari aggredendoli con un tridente variabile nei giocatori, ma stabile nell'essere accompagnato da almeno due uomini sulle mezze ali a completare il rombo nerazzurro.
In generale, era evidente che l'Inter sarebbe andata alla caccia degli spazi che i rossoneri avrebbero lasciato incustoditi.
E il Milan ha dato cavallerescamente ai nerazzurri una bella mano, perché se hai 4 uomini stabili oltre la linea della palla, te ne restano solo 6 per coprire 3/4 di campo.
Gli spazi incustoditi, quindi, diventano tanti e dovrebbe essere un concetto solare anche per le capacità esegetiche del dopolavorista che si diverte ad organizzare la partita fra scapoli e ammogliati di Fantozzi. Se gli avversari sono minimamente equilibrati, si ritrovano almeno in parità numerica quando tu ti difendi (il che equivale a una sostanziale inferiorità della difesa) e in netta superiorità quando tu attacchi. Il Milan è stato in totale balia numerica degli avversari per quasi tutto il primo tempo, quello che ha indirizzato il match.

Non regge la panzana degli acquisti rossoneri che non avrebbero inciso come dovrebbero. Il risultato è stato largamente deciso nella fase in cui il Milan schierava i giocatori dello scorso anno, ma in cui la stessa Inter era composta in larghissima percentuale dei giocatori della stagione scorsa. A dimostrazione di quanto dico, faccio notare che Lukaku, il piatto forte del rafforzamento nerazzurro, è rimasto in panchina, per buona sorte del Milan. Mi chiedo cosa sarebbe successo all'Armata Brancaleone rossonera, se Lukaku fosse stato in campo.
Per chi non ricordasse il film di Monicelli, Brancalion da Norcia è un personaggio picaresco, un avventuriero pomposo che si convince di essere un condottiero, ma che, al momento del dunque, non può neanche dimostrare di essere stato ordinato cavaliere.
Anche la mancanza di Kessie inizia a diventare una scusa. Per quasi tutta la stagione scorsa, Kessie è stato impiegato in alternativa a Tonali o a Bennacer, quasi mai in aggiunta. Ed è spesso stato assente per infortuni, per cui non si può dire che i rossoneri fossero dipendenti dall'ivoriano, che resta un signor giocatore, peraltro.
I nuovi acquisti sono entrati solo a partire dal 65°, con la squadra in doppio svantaggio e, soprattutto, sono stati inseriti nello stesso assetto tattico, quello ad minchiam, con cui avevano giocato i loro compagni: 4 uomini oltre la linea della palla e il resto che cercava di coprire i 3/4 del campo.
D'accordo, in estate non sono arrivati Haaland, Messi & co., ma il danno non lo hanno fatto i nuovi arrivati.
In settimana, purtroppo, erano entrate in azione le truppe cammellate, quelle che da luglio 2020 proteggono l'attuale tecnico del Milan come un Gesù Bambino nell'ovatta.
Da allora, a ogni accenno di crisi, queste Forze Speciali si rifanno vive per proteggere il loro diletto compagno di comitiva cercando di fugare ogni ombra che possa offuscarne l'immagine e mettere in dubbio la sua leadership tecnica. Il danno peggiore fatto da queste persone è che il tecnico stesso è cascato nella trappola fino a credersi un condottiero invincibile, come Don Quixote. Il personaggio di Cervantes è un modesto hidalgo di campagna, ma a furia di leggere poemi cavallereschi, si persuade di essere un cavaliere errante.
Da 10 giorni, ogni volta che viene criticato per i suoi errori, l'allenatore rossonero risponde riproponendo gli stessi sgorbi e aggiungendone altri, con un approccio da giocatore d'azzardo che, a ogni puntata sbagliata, raddoppia la posta convinto di rifarsi. E perde, come accade nella maggior parte dei casi ai giocatori d'azzardo.

Alla fine del primo tempo, in vantaggio per i gol di Di Marco e Dzeko, l'Inter ha rallentato dopo aver sfiorato più volte la terza rete. Era evidente la paura di ritrovarsi sulle gambe nel finale, come in altri derby. Il Milan ha trovato un po' di campo campo ed è avanzato, ma solo perché l'Inter glielo concedeva, trincerandosi con sagacia e ordine, ma soprattutto equilibrio. Al 77° è stato Lautaro a sfruttare il momento propizio per chiudere il match, un momento che si sapeva sarebbe arrivato. Era solo questione di tempo.
Il Milan vanta una traversa nel finale di Rebic, apparsa involontaria per un cross venuto male. Ma gli episodi sanno a favore di chi devono andare e sapevano che non dovevano andare a favore del Diavolo.
A questo punto, credo che al tecnico rossonero non resti che portare i giocatori in ritiro fino a giugno. Se lo facesse, la troverei una bella idea, visti i brillanti risultati della precedente segregazione punitiva. Dai mister lo faccia. Dia una lezione a questi bambocci viziati!
Ricordo un famoso film con Alberto Sordi nella parte di un certo Nando Meliconi, che aveva messo su un improbabile numero di rivista. Dopo i fischi del pubblico, minacciava le ballerine annunciando che il giorno dopo si sarebbe riprovato tutto dall'inizio, ma l'impresario passava e diceva al segretario "Domani questo non c'è, lo cacci via!". Per fortuna del tecnico, nelle comitive c'è un grado di solidarietà che non porterà mai a questo, anche dopo evidenti macelli. E il Milan ormai è una comitiva.
Quando ho visto Inzaghi che andava su e giù nervoso sul 3-0, ho provato una sincera tenerezza. Inzaghi ha dato l'impressione di concedere al Milan una credibilità che non meritava. E personalmente, fossi stato l'arbitro, avrei fermato la partita molto molto molto prima per manifesta inferiorità dei rossoneri, come si usa nel pugilato.
Nel dopo-match, con la sua consueta e proverbiale onestà, nonché con la sua franca capacità di autocritica, l'allenatore del Diavolo ha dichiarato che occorre trovare l'armonia per tornare a essere una squadra. Non ha detto nulla, in sostanza, perché nulla aveva da dire. Espressioni come trovare l'amalgama, stare uniti, stringere i denti e mettere fieno in cascina, fanno parte delle frasi fatte che si tirano fuori quando si sa di non poter aprire bocca.
E poi, mi potrebbe spiegare il mister come si fa a parlare di armonia e squadra, dopo aver schierato 4 attaccanti oltre la linea della palla e aver lasciato agli altri 6 il compito di coprire i 3/4 del campo?

Il tempo delle frasi fatte è finito e ce lo ha spiegato l'Inter ieri sera. Se l'allenatore rossonero non ne prende atto, il Diavolo finirà molto male, come forse merita, ma anche come, forse, è già irrimediabilmente finito.