E’ andata come ci si aspettava. Il campionato più bello del mondo è durato appena 41 giorni.
E’ finita come facilmente pronosticato ben prima dei titoli di testa, ma ormai è un po’ che il nostro torneo funziona come i vecchi episodi del Tenente Colombo, nei quali l’assassino lo si scopriva alla prima inquadratura.
E non si può nemmeno chiudere col classico “Pensiamo al prossimo” perché anche quello e quello dopo e quello dopo ancora sono finiti, tornei assegnati come stantie repliche di un Italia-Germania 4-3 che per quante volte la rivedi finisce sempre allo stesso modo.
Il format piace sicuramente ai tifosi bianconeri, cui questo “Ti piace vincere facile…” divertirà sempre, anche tra un’altra decina di tricolori consecutivi in bacheca, ma in fondo il motto “L’unica cosa che conta è arrivare primi” è nel DNA bianconero. Che poi siano vittorie prevedibili e scontate come le tasse o il temporale dopo che hai lavato la macchina è un dettaglio trascurabile.
E va detto, inutilmente perché ormai i pollici versi saranno piovuti a secchiate, che si tratta di successi strameritati, ottenuti da una società che ha saputo muoversi benissimo e, unica in Italia, è arrivata ad un vero respiro europeo.
Tra 9 mesi, con una Juventus che avrà ancora allungato il gap con la concorrenza (Milinkovic Savic? Mbappè?), assisteremo all’ormai consunto teatrino di stampa e TV pronti a spergiurare che la vera favorita finale è l’Inter o il Napoli o chissà chi! E vedremo i vari Sconcerti, Pardo, Caressa, Marianella a spiegarci perché il ciclo bianconero è finito per essere poi, ai primi di Ottobre, ancora una volta smentiti dalla solita Legge “Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Juve vince”.
La vera domanda da porsi è invece se tutto questo abbia un senso e per quanto tempo l’intero sistema possa ancora prendere in giro milioni di appassionati. Perché ogni sport ha valore se e solo se esiste la competitività. In passato abbiamo visto tanti cicli, da quello bianconero degli anni 30 a quello del grande Torino, dalle vittorie a raffica in Europa del Milan agli anni d’oro dell’Inter di Moratti e Herrera. Ma sono sempre stati momenti contingenti che si sapeva si sarebbero chiusi come sono iniziati.
Oggi il calcio, non solo italiano ma internazionale, è testimone invece di un fenomeno diverso e nuovo, quello di squadre azienda che nei grandi paesi (Germania, Spagna, Francia, Italia…) assumono una posizione dominante non lasciandosi indietro nemmeno le briciole e in europa riducono la sfida ad un fatto privato tra soliti noti.
Per quanto ancora una appassionato si siederà a guardare una partita, pagando per questa un dispendioso canone, sapendone già l’esito finale? Per quanto ancora un tifoso partirà da casa per andare in uno stadio (generalmente scomodo e privo di servizi) per seguire episodi di una trama già scontata?
Su questo, prima o poi, si dovrà tutti ragionare!
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