"Mi chiamo Robert Neville, sono un sopravvissuto che vive a New York. Sto trasmettendo su tutte le frequenze in onde medie. Sarò al porto di South Street tutti i giorni, a mezzogiorno quando il sole è più alto nel cielo. Se ci siete, se c'è qualcuno da qualche parte, posso offrire cibo, posso offrire riparo, posso offrire protezione. Se c'è qualcuno, chiunque sia, ti prego non sei solo."
Questo il messaggio di un disperato Robert Neville, nell'apocalittico film "IO SONO LEGGENDA", alla ricerca di reclute per sconfiggere un misterioso virus che stava sterminando l'umanità e in alcuni casi trasformava l'uomo in una sorta di zombie. A quanti di noi, quando quest'incubo era ancora agli albori, sono saltate in mente scene di questo film, di The Walking Dead o meglio ancora di Contagion? E quanti di noi il giorno che eravamo lì davanti allo schermo, "vivendo" quell'atmosfera e l'adrenalina di una situazione assolutamente surreale avrebbero minimamente pensato che un giorno qualcosa di assolutamente simile avrebbe messo in ginocchio il Mondo intero?
Nessuno, o quasi, perchè nel 2015 un illuminato Bill Gates, manco fosse un novello Nostradamus, dichiarò: "Quando ero un ragazzo il disastro di cui ci preoccupavamo era la guerra nucleare... Oggi la grande catastrofe non è più quella, se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni è più probabile sia un virus altamente contagioso. Non missili, dunque ma microbi."
Ed oggi, alla luce di quello che sta succedendo e del conto da pagare che ci sta portando ogni giorno questo maledetto virus, c' è da chiedersi se davvero si sarebbe potuto fare qualcosa in più. Se prevenire non sarebbe stato meglio che curare. Ma una risposta non l'avremmo mai perchè purtroppo la vita non è un film.
Non possiamo riavvolgere quel nastro per evitare che qualcosa non succeda, la carta da giocarci ad oggi è solo una, restare in casa. Fuori non ci sono zombie da combattere (forse sarebbe ben più facile uscirne!) ma un nemico invisibile. Un nemico duro da vincere, un nemico che ci ha messo nelle condizioni di aver paura di un semplice carrello della spesa o peggio ancora di una banale stretta di mano.
Vivo questa quarantena così, godendomi l'ingenuità e la spensieratezza negli occhi di mio figlio, 10 mesi, una vita davanti e suo papà che spera di raccontargli un giorno questa brutta storia: "alla fine siamo usciti, ci siamo ritrovati, siamo tornati ad abbracciarci ed abbiamo pianto chi non ce l'ha fatta".
Stiamo a casa, per chi sta lottando nelle corsie degli ospedali, abbiamo il dovere morale di aiutarli a vincere questa battaglia. Bisogna scrivere la FINE, che purtroppo, non come nei film, lieta non sarà.
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