Oramai è noto a ciascheduno che il calcio italiano, detentore di una grande tradizione internazionale, è divenuto la periferia del calcio mondiale. Se ne sta dibattendo senza sosta da diverse settimane, complice la clamorosa eliminazione della Juventus agli ottavi di finale di Champions League, avvenuta in seguito alla banale sconfitta contro un Porto temibile, ma senza ombra di dubbio abbordabile. Potrei rendere l’articolo una sorta di tragicomica opera teatrale greca, oppure rendervi partecipi del mio enorme rammarico nel constatare che ormai l’Erasmus del martedì-mercoledì-giovedì sera è stato reso un’esclusiva non accessibile alle italiane, se non alla Roma, o ancora alterare il tema e creare un pezzo toccante che faccia breccia nei cuori di tutti gli appassionati. Niente di tutto ciò. Siamo arrivati ad aprile, mese critico per ogni squadra, dove vengono esaltati pregi e difetti delle varie società. Dunque, è iniziata l’ora dei verdetti. E insieme a questa, per noi aspiranti giornalisti, è arrivata l’ora delle analisi. Dobbiamo ricercare e riunire le possibili motivazioni che si celano dietro a questa eclatante sconfitta europea. Nel calcio, come d’altronde in ambito politico-economica, il Bel Paese si trova ad inseguire le concorrenti europee e sembra destinato a subire un distacco via via sempre più notevole (e qui si potrebbe dibattere sul fatto che la condizione pessima in cui riversa il mondo del pallone in Italia, sia semplicemente il riflesso dell’andazzo del nostro Paese, ma non voglio buttare troppa paglia sul fuoco). Noi, nel nostro piccolo, non possiamo far altro che sezionare la vittima e sviscerarne le terribili verità. Cercherò di riassumere in modo chiaro i cinque aspetti che, dal mio opinabile punto di vista, influenzano la Caporetto italiana:

PESSIMA GESTIONE ECONOMICA DA PARTE DEI CLUB E DELLA LEGA

Parto proprio dal fattore economico, visto che questo sport sta diventando sempre più una vera e propria industria. Solo qualche decennio fa, il Napoli acquistò Maradona, Zico fu comprato dall’Udinese, Crespo si trasferì alla Lazio e Batistuta venne ceduto alla Fiorentina. Insomma, i club di calcio italiani potevano permettersi talenti mondiali. Al giorno d’oggi, invece, le cifre del mercato si sono alzate eccessivamente per i portafogli della Serie A e la Juve è l’unica squadra che può permettersi stelle internazionali, nonostante sia anch’essa molto indebitata. Ma come mai l’Italia non è stata in grado di seguire il trend crescente dei costi del calciomercato? Innanzitutto, il più importante scoglio da superare è rappresentato dagli stadi. All’estero, la maggior parte di essi sono nuovi e di proprietà dei club, mentre qui da noi, ad eccezione di Juve, Udinese, Atalanta, Frosinone e Sassuolo, nessun club ha investito su uno stadio moderno e di proprietà e i profitti ne risentono assai. In secondo luogo, si considerino i diritti tv, che a mio avviso sono gestiti senza condizione di causa da parte della federazione, perdendo anche qua ampi margini di guadagno. Infine, non siamo stati in grado di valorizzare sufficientemente i tifosi che, per quante se ne dicano, sono i veri artefici della ricchezza dello sport più bello al mondo. Oggigiorno, senza soldi è davvero complicato, se non impossibile, imporsi nel calcio che conta.

SPAZIO LIMITATO PER LE GIOVANI PROMESSE

Un altro aspetto chiave del fallimento dell’Italia negli ultimi anni è l’incapacità di mettere a proprio agio i giovani, affinché possano esprimere al meglio le loro potenzialità. Parliamoci chiaramente, il calcio di oggi è per i fanciulli. L’agilità nel movimento, la rapidità nei dribbling, la scaltrezza nel crearsi occasioni da goal: tutte caratteristiche affini a talenti appena sbocciati o che ancora si trovano nel loro bozzolo. Pochi giorni fa, Calafiori si è espresso senza mezzi termini dicendo: “All’estero alla mia età giocano in prima squadra e sono in Nazionale, [...] devono farci giocare (si riferisce agli allenatori, ndr)”. Caro Riccardo, hai fatto centro. Guardiamo per esempio chi ha deciso le gare dei quarti di finale di Champions League: Mbappè per il Psg, Mount e Chilwell per il Chelsea, Foden per il City e Vinicius per il Real. Rispettivamente 22, 22, 24, 20 e 20 anni. L’uomo chiave di questa Juventus? Federico Chiesa, 23 anni. L’uomo più discusso e desiderato sul mercato? Erling Haaland, 20 anni. Insomma, il palcoscenico internazionale è dominato dalla gioventù, ma quest’ultima in Italia fa ancora fatica a trovare spazio, spesso a causa di veterani ormai agli ultimi anni di carriera che sono appena più funzionali alla squadra. Senza nulla togliere alle vecchie glorie, i tecnici italiani farebbero bene a scommettere sulle promesse presenti tra le loro rose, cosicché possano cominciare a muovere i primi passi quando ancora non hanno raggiunto i vent’anni. Senza disputare minuti sul rettangolo verde, è normale che un ragazzo non cresca; l’esperienza non si può acquistare. L’esperienza si accumula con la pratica e talvolta gli errori aiutano a migliorare. Per esempio, in un’annata buia come quella dei Bianconeri, come mai Pirlo non cerca uno spiraglio di luce concedendo al giovane Fagioli l’opportunità di giocare? Il futuro è nelle mani dei giovani.

IMPRONTA DI GIOCO ECCESSIVAMENTE DIFENSIVA

Passo ora a trattare temi inerenti al gioco delle squadre italiane. Parto da una mia riflessione, dunque basata sul tifo per i Nerazzurri. Quest’anno siamo in cima alla classifica, distanti undici punti dalla prima inseguitrice. Per noi l’importante è vincere, come ha detto Conte, e spodestare la Juve dal trono. L’estetica e il bel gioco vengono dopo. Anche le coppe vengono dopo. La testa è immersa totalmente nel campionato e i risultati sono favorevoli. Fin qua tutto perfetto allora, direte voi. Assolutamente no. Sia pur vero che dopo undici anni torniamo a sognare la vittoria del Tricolore, ma analizziamo la concorrenza. Un Milan competitivo, che però è ancora lontano dal potersi considerare una grande squadra. Una Juventus dai singoli eccezionali, ma che pecca dal punto di vista collettivo e non riesce a trovare tattica e mentalità adatte alla storia del club. Un’Atalanta che, probabilmente, mostra il miglior calcio del campionato, ma a livello europeo non tiene testa alle big, com’è normale che sia. Poi ci sono Napoli e Lazio che non riescono a trovare la continuità desiderata. Insomma, l’Inter vince in Italia con un gioco difensivo improntato su una sorta di catenaccio che scatena poi una ripartenza, ma non appena affronta le migliori squadre d’Europa viene sconfitta. E il fatto che nel nostro calcio sia invece così efficacie, la dice lunga sul potenziale europeo di cui dispongono le italiane. Rispetto all’evoluzione della filosofia offensiva delle straniere, i club nostrani sembrano intenzionati ad andare in controtendenza e sviluppare una psicologia difensiva. Ma ciò si è dimostrato un palese errore. C’è l’immediata necessità di invertire la rotta e ideare schemi e tatticismi che non si basino sulla volontà di barricare la porta, bensì su quella di bucare quella avversaria.

MANOVRE TROPPO ELABORATE E RITMI LENTI

Un’altra connotazione tecnico-tattica dei club di Serie A è la lentezza con cui avviene la manovra. Il fatto di costruire le azioni dal basso dovrebbe permettere di allungare la squadra avversaria e ampliare le aree libere del campo, ma se il gioco si sviluppa in orizzontale senza verticalizzazioni né cambi di fascia rapidi, questa opzione diventa solo un enorme rischio di perder palla e subire una rete. Le prove di questa constatazione sono molteplici, ma le approfondirò nel prossimo paragrafo. Nel frattempo, vorrei concentrarmi sui ritmi del calcio nostrano. Lenti, lentissimi. Sintomo di un’ideologia eccessivamente difensiva, come ho spiegato prima. Si punta tutto sull’addormentare la partita e pungere con azioni isolate e spesso poco efficaci. Come si potrebbe ovviare a ciò? In realtà, non è troppa la strada da percorrere per migliorare questo concetto. L’Inter talvolta intraprende manovre rapide e concrete, tali da raggiungere rapidamente la porta avversaria. Si prenda per esempio il goal di Lukaku contro il Sassuolo: otto giocatori coinvolti, otto passaggi e un cross sono gli ingredienti che hanno portato alla realizzazione del belga. Semplice, veloce, efficacie. Ma subito dopo si riprende con il solito autobus davanti alla porta e ripartenze fulminee che mettono in difficoltà la retroguardia avversaria. Stile di gioco poderoso in Italia, ma inconcludente in Europa. Ne siamo stati vittima. Poco importa, se quest’anno l’obiettivo è il Tricolore, ma in un’ottica lungimirante va trovata una soluzione. E noi siamo la squadra più forte d’Italia. Figuratevi le altre. Non c’è via di scampo, bisogna lavorarci tantissimo. Ma sono fiducioso, e non potrei essere altrimenti, visto che nella stagione in corso le italiane hanno toccato il punto più basso degli ultimi cinque anni e, forse, dell’ultimo decennio. Da qui, si può solo che ripartire. Ma va fatto con grinta e determinazione, più cattiveria agonistica e meno astuzia. Nomino quest’ultima perché, a mio modo di vedere, è una delle cause del fallimento. Mi spiego, le partite di Serie A sono davvero troppo spezzettate. Ogni contatto è sinonimo di protesta e fallo. Ogni lieve spinta corrisponde a una simulazione. Non ci siamo, la fisicità in Europa è alla base del calcio, mentre in Italia è sinonimo di irregolarità. Troppi falli fischiati per minimi contatti e troppe azioni interrotte per via di una spintarella. Ciò porta inevitabilmente a diminuire i ritmi di gioco. Ma le straniere i ritmi li alzano, arrivano all’ottantesimo minuto in debito di ossigeno e non si risparmiano mai. Il gioco viene fermato solo in caso di interventi duri e cattivi, altrimenti si pedala a testa bassa. Dunque, lo sport nostrano va reso più “maschio” con il fine di permettere alle formazioni italiane di imparare a gestire i ritmi elevati che caratterizzano i match internazionali.

I CALI DI CONCENTRAZIONE TROPPO FREQUENTI E I CONSEGUENTI ERRORI BANALI

Ultimo punto, ma non meno importante e quasi sicuramente legato al concetto sopra riportato, è la mancanza di concentrazione. Contro le squadre di media caratura, l’errore si paga in poche circostanze, ma contro le grandi squadre, l’errore costa quasi sempre carissimo. La manovra dal basso, appunto, può sicuramente creare situazioni favorevoli a chi la predilige, ma in compenso ti rende vulnerabile agli sbagli. Lo sanno Hakimi, Musacchio e soprattutto Bentancur. Tre costruzioni infelici, tre goal subiti, tre eliminazioni. La colpa non va affatto accostata all’inesperienza o alla scarsa qualità dei giocatori, va addossata piuttosto alla mancanza di concentrazione adeguata. Spesso, in Italia, si parla di un maggior numero di vantaggi piuttosto che di svantaggi con la costruzione dal basso, ma in Europa, se tale tecnica non è perfettamente acquisita, il peso di un singolo passaggio malfatto è schiacciante. Per tale causa, sarebbe più saggio affidare la sfera ai palleggiatori migliori ed evitare inutili rischi provocati dalla volontà di giocare un calcio che ancora non ci si addice. Inoltre, il fatto di interrompere troppo frequentemente le partite di Serie A, incide anche questa volta. Pensate infatti a quante pause possono permettersi le squadre nostrane nel corso dei novanta minuti e confrontatele con quelle disponibili nei match internazionali. Nulla a che vedere. Non siamo in grado di giocare a ritmi elevati per più di una decina di minuti, perché dopo un limitato periodo di tempo perdiamo la concentrazione. E questo, nelle massime competizioni europee, è un fattore chiave che non va sottovalutato. Tutto è collegato, come una sorta di sillogismo.

Queste cinque argomentazioni appena affrontate spiegano solo parzialmente la Caporetto italiana in Europa, perché a ciò vanno sicuramente aggiunti il fattore “c” (la fortuna, per i meno volgari) e gli errori arbitrali: entrambi gli aspetti questa stagione sembrano esserci sempre stati avversi. Purtroppo, o per fortuna, quest’ultimi non dipendono affatto dalle nostre squadre e non sono quindi migliorabili. Ma i cinque precedenti lo sono eccome. E sono le fondamenta da cui ricostruire un ponte appena crollato, che già da anni era in bilico. Ma ciò che stava prima di quel ponte è una meravigliosa cittadina ricca di tradizioni e storia, una “El Dorado” del calcio mondiale, mentre ciò che incontreremo oltre è ancora un mistero. Ma prima di scovarne il contenuto, è necessaria la ricostruzione dell’opera. E speriamo che questa sia rapida ed efficacie, perché noi italiani abbiamo bisogno di rivivere le famose Notti Magiche che ci rendevano orgogliosi e gioiosi.

Abbiamo assistito alla disfatta di Caporetto, ora vogliamo il trionfo di Vittorio Veneto.

Bisogna toccare il fondo per poter risalire”.

L’abbiamo toccato.

Ora risaliamo.