Sgombriamo subito il campo da tutti gli equivoci possibili: ogni milanista sta soffrendo ed io, come ogni milanista, sto soffrendo.
Se l'addio al calcio di Zlatan Ibrahimovic ci ha lasciato in eredità una serata di lacrime ed una notte insonne, quanto accaduto al Monumento della storia rossonera Paolo Maldini merita almeno una settimana senza chiudere occhio, senza prender forchetta, nonchè la fascia nera al braccio.

Scusate la melodrammaticità, scusate gli eccessi narrativi.
Ora che la conversazione è libera da possibili malintesi, entriamo nel merito.
Che Paolo Maldini, figlio di Cesare, rappresenti la quintessenza della Storia Milanista (lettere maiuscole d'obbligo) credo sia faccenda che non meriti spiegazione: venticinque stagioni con la stessa, unica maglia a strisce verticali rosse e nere, di cui tredici da capitano, novecentodue partite, ventisei trofei vinti tra cui cinque Coppe dei Campioni/Champions League (su otto finali disputate, record assoluto condiviso col madridista Gento) e sette Scudetti. 
Una Maglia Numero Tre divenuta leggendaria, tanto da essere ritirata dopo l'addio al calcio giocato del maggio 2009, proprio come quella dell'altrettanto mitico Franco "Sei per Sempre" Baresi col quale lo stesso Paolo Maldini ha costituito, a cavallo tra gli Anni Ottanta e gli Anni Novanta del secolo scorso, la migliore linea difensiva della storia del calcio mondiale. 
Esempio di milanismo, ma anche di correttezza e fairplay dentro e fuori dal terreno di gioco.
Una carriera che solo a causa del fato beffardo e delle decisioni ballerine di commissioni strampalate non ha visto il proprio giusto coronamento nel Pallone d'Oro, per il calciatore che France Football ha successivamente definito ufficialmente come il Miglior Terzino Sinistro di tutti i tempi. 
Poi dieci anni di esilio (un po' voluto, un po' imposto dalle circostanze) dall'amato Mondo Milan, che nel frattempo ha dovuto vivere con apprensione e stati d'animo altalenanti, in breve sequenza, la fine dell'Impero Berlusconiano, la strana e tragica annata cinese, l'avvento della proprietà americana. 
Infine il ritorno nelle vesti di dirigente con ruoli operativi sempre crescenti e sempre più esclusivi, fino ad essere il responsabile dell'area tecnica del club: esperienza in giacca e cravatta che ha visto il culmine nello Scudetto vinto dal Milan nella passata stagione, dopo dieci anni di digiuno e contro ogni aspettativa e pronostico, nonchè una seminfinale di Champions League a sedici anni di distanza (quando Paolo era ancora in campo, con la fascia di capitano al braccio) ed il riconoscimento come Best European Manager al Premio Golden Boy 2022. 
Ok, avevo detto che non sarebbero servite spiegazioni ed ammetto di essermi già dilungato, ma l'importanza del soggetto di questa discussione induce all'essere prolisso, data la vastità della propria carriera e la caratura del personaggio.

Personaggio, esatto: ora abbandoniamo l'Atleta Maldini, il Fuoriclasse Maldini, l'Erede al trono Maldini, la Leggenda Maldini, e parliamo del Personaggio Maldini.
Paolo, lo sanno tutti quello che bazzicano l'ambiente rossonero, è ben consapevole della propria monumentalità, della propria innata natura milanista e non fa nulla per nasconderlo al resto dell'ambiente ed ai propri interlocutori professionali. La sua dichiarazione di qualche mese fa, divenuta celebre, la racconta lunga su tale consapevolezza della propria persona ed immagine: "Nel cognome M-a-l-d-i-n-i sono contenute tutte le lettere della parola M-i-l-a-n. Negli ultimi settant'anni c'è sempre stato un Maldini in questo Club. Sono una garanzia per i tifosi".
Parole vere, parole pesanti per descrivere un consapevolezza vera e pesante.
In virtù di ciò, lo stesso Maldini ha preteso un ruolo sempre più centrale e sempre più autonomo anche nelle vesti dirigenziali, rinunciando per anni alle lusinghe di chi gli proponeva un rientro nel Club della propria vita in sordina, con ruoli più di facciata e rappresentanza (vedi la vicepresidenza di Franco Baresi) che di sostanza, operatività e, in parole povere, di campo.
Quello che per i milioni e milioni di fans disseminati in tutto il globo è la garanzia di un progetto che mantenga ben salda la fede milanista e la serietà nella conduzione quotidiana del Club, per qualcun altro può essere inteso come un eccesso di presunzione ed un tentativo di porre la propria immagine al centro dell'universo rossonero, al di sopra di tutto e di tutti. D'altronde, apriamo le nostre considerazioni a trecentosessanta gradi e cerchiamo di farci un'idea chiara sul finale amaro di questa storia lunga e gloriosa.

Il 24 maggio 2009 Maldini gioca per l'ultima volta a San Siro, contro la Roma: durante il giro di campo finale, mentre settantamila spettatori si alzavano in piedi per applaudirlo (compresi i tifosi ospiti della Roma), il leggendario simbolo del milanismo viene contestato da un settore di tifosi organizzati della Curva Sud, che dopo aver intonato cori a favore dell'ex capitano Franco Baresi, espongono i seguenti striscioni al vetriolo: "Grazie Capitano, sul campo campione infinito ma hai mancato di rispetto a chi ti ha arricchito" e "Sentiti ringraziamenti da chi hai definito mercenari e pezzenti".
Chiari riferimenti alle parole con cui lo stesso Maldini aveva apostrofato alcuni ultras rossoneri che avevano contestato la squadra al ritorno dall'incredibile (e sfortunata) finale di Champions League persa ad Istanbul contro il Liverpool, quattro anni prima.
Un finale indegno, di cui nessun milanista può essere orgoglioso, ma che la dice lunga sulla personalità imponente di un uomo, prima che di un professionista dello sport ai massimi livelli, che preferisce porsi in prima persona contro la propria stessa Curva piuttosto che fare un passo indietro su questioni di principio.
Uno strappo curato nel tempo e rimarginato solo in questi anni di encomiabile lavoro dirigenziale, come ha ricordato la stessa Curva Sud nel proprio comunicato stampa in seguito all'inaspettato licenziamento del direttore Maldini di qualche giorno fa.

C'è un altro particolare che vogliamo tenere in considerazione, per ricostruire un quadro chiaro della situazione e tentare una lettura complessa, articolata, che vada fuori dagli schemi nichilistici del "tutto il bene di qua, tutto il male di là". La premiata ditta Berlusconi-Galliani, con cui lo stesso Maldini ha condiviso praticamente tutta la propria esperienza da calciatore e capitano rossonero, ha richiamato nel Club, con varie mansioni ed a vario titolo, una moltitudine di ex atleti ed ex bandiere dellas quadra rossonera. Quasi tutti (non diciamo tutti per non mancare di rispetto ad alcuni nomi altisonanti) di rango e livello sicuramente inferiore al Paolo Nazionale.
Una breve ed assolutamente non esaustiva carrellata: da Franco Baresi vice-presidente e Cesare Maldini (papà di Paolo) allenatore e dirigente, passando per i vari Capello, Tassotti, Ancelotti, Inzaghi, Seedorf, Brocchi in panchina, per Leonardo dirigente e poi allenatore della prima squadra, fino ai tanti incarichi assegnati a vari Filippo Galli, Serginho, Costacurta e chi più ne ha, più ne metta. Mai una chiamata al signor Paolo Maldini, dopo venticinque anni di onorato e pluridecorato servizio.
Credete non avessero il numero di telefono? O che avessero dimenticato il nome e cognome di cotanta leggenda, figlio di cotanta leggenda?
Evidentemente, personalità così forti come quella dell'ex Presidente del Consiglio dei Ministri e dell'attuale amministratore delegato del Monza Calcio, sapevano bene che la convivenza con un'altra personalità di tale peso specifico sarebbe stata difficile.
Ed hanno preferito, a torto o ragione, glissare sull'argomento.
Poi arriva la chiamata del nuovo Milan americano a conduzione Elliot: su proposta e spinta del figliol prodigo Leonardo, il buon Paolo rientra nei programmi e nei piani del Club, facendosi affiancare prima dal poliglotta brasiliano, poi dall'altro ex campione rossonero Zvonimir Boban, fino a restare da solo al centro del villaggio milanista.
L'arrivo del colosso dello sport a stelle e strisce RedBird e del suo capo Gerry Cardinale subito dopo lo Scudetto del maggio 2022, a dispetto delle iniziali parole di stima e delle smielate frasi di circostanza, ha segnato la svolta in negativo di questa lunghissima storia d'amore.
Troppo forte l'animo di Maldini, troppo innovativa la visione americana ed americaneggiante di Mister Gerry: non è una questione di torto o ragione, di amore o di odio, di vincere o perdere, di budget o di stipendi.
I sostenitori del Maldini Dirigente mettono sul piatto della bilancia l'inaspettato Scudetto low budget, la semifinale di Champions e gli acquisti azzeccatissimi dei vari Theo Hernandez, Rafa Leao, Mike Maignan, Ismael Bennacer, Pierre Kalulu, Sandro Tonali che, a dispetto di budget risicati e monte-ingaggi mediocri, costituiscono oggi un grande asset e fonte di possibili plusvalenze da capogiro.
I suoi detrattori pongono sull'altro piatto la disastrosa operazione Charles De Katelaere, un mercato estivo 2022 quasi del tutto fallito ed una stagione sportiva appena conclusa deludente, eccezion fatta del il fortunato cammino europeo, nonchè le quattro scoppole consecutive beccate dall'eterna rivale cittadina chiamata Inter, che ha sempre dato l'impressione di essere superiore alla squadra di Pioli.

Ma tutto questo, a nostro parere, conta fino ad un certo punto: i meriti di Maldini sono indiscutibili, come indiscutibili sono gli errori.
Qui è sic et simpliciter una questione di visioni diverse tra un dirigente professionista e ben pagato, che deve svestirsi dai pesanti panni della Leggenda Vivente e simbolo del club, ed un proprietario appena arrivato, che deve far fruttare in termini sportivi ed economici il proprio investimento da oltre un miliardo di euro.
Investimento all'interno del quale rientra anche lo stipendio di Paolo Maldini, quale direttore dell'area tecnica.
Proprietà americana, come quella di tal Pallotta accusato da tutta la parte giallorossa di Roma di aver ammainato indegnamente ed ammutinato la bandiera immortale di Francesco Totti, giusto per fare un esempio.
Tutto qui.
Come ha detto Paolo Scaroni, confermatissimo presidente del Club in quota americana: "La visione della nostra proprietà è quella di un lavoro collegiale, Paolo ha dimostrato un certo disagio a riguardo, quindi meglio separarci".
Poche parole, molto dense di significato.

A noi milanisti rimane il boccone amaro dell'addio, a Cardinale qualche hashtag poco carino sui social di tutto il globo rossonero, ma la Storia milanista deve andare avanti.
Con o senza la sua grande bandiera col Numero Tre, sulla maglia di gara e sulla giacca, che siamo convinti continuerà a tifare per i due colori della propria vita.