Quando qualche mese fa è stata ufficializzata la nuova versione della Coppa Italia rimasi malissimo. Nulla di cui stupirsi: nell’anno in cui la Superlega ha minacciato mai come prima la sua venuta a scapito del merito, nel nostro piccolo le modifiche apportate alla seconda competizione nazionale per importanza erano e rimangono assolutamente discutibili. Inutile soffermarmi nuovamente su quanto da sempre molti sostengono: il format dovrebbe essere notevolmente più inclusivo, provando a prendere come riferimento quella FA Cup e quel campionato inglese sempre visto come faro tranne che per gli aspetti più rilevanti. Dunque, la riduzione che ha portato la coppa ad avere solamente 44 squadre al via, con le solite prime otto classificate in Serie A già avanti nel tabellone, mi aveva fatto storcere il naso e non poco. Sia ben chiaro, la contrarietà a questa struttura elitaria continua ad esserci, ma in questi giorni di caldo estivo mi è sovvenuta una riflessione dando un’occhiata, tra un aperitivo e una nuotata, alla prima edizione della coppa targata Mediaset e che ha provocato in me una certa soddisfazione.

Finalmente, per la prima volta, tutte le partite della manifestazione a partire dal secondo turno preliminare sono trasmesse in chiaro, con degli spazi importanti dedicati su reti televisive trafficatissime, telecronache effervescenti, trailer promozionali in serie e realizzati con la giusta dose di attrattività. Purtroppo, il periodo non è dei più favorevoli per poterne godere appieno, e gli stadi, complici anche le restrizioni per motivi sanitari, sono lo specchio della tradizione italiana che riguarda questo particolare mese dell’anno. E allora, dove sta il motivo per essere contenti di questa nuova riforma? Ho analizzato i dati di ascolto della prima serata, quella che vedeva in diretta su Italia 1 la gara tra Fiorentina e Cosenza (inizio ore 21) e Udinese-Ascoli, in onda su canale 20 (ore 20:45). Ecco, sommando gli ascolti dei due eventi, si è arrivati a quasi un milione di telespettatori (con il primo incontro che da solo ha registrato oltre 800.000 visioni) e ad un dato aggregato che sfiora il 7% di share (5,7% l’incontro del Franchi). Per essere il 13 agosto, con due gare in contemporanea (che hanno visto squadre importanti ma non di primissimo piano se escludiamo i gigliati) e, aspetto non indifferente, considerando che la trasmissione degli incontri non è avvenuta sulla rete ammiraglia, si tratta di un risultato preziosissimo. Il giorno dopo, la stessa Cagliari-Pisa, alla vigilia di Ferragosto, ha avvicinato il 5% di share, con 654.000 spettatori. Tutto questo ci rassicura anche sotto un altro aspetto: il calcio è ancora amato. È, nonostante i continui attacchi che riceve, lo sport più popolare.

Tornando al nocciolo della questione, è evidente come basti davvero poco per rendere appetibile un prodotto. La comunicazione, il racconto, l’allestimento di un programma che possa intrattenere e che possa rendere frizzante il tutto: è questo ciò che serve ad incrementare il valore di una manifestazione. Perché pensate che la FA Cup abbia successo? Apparentemente, è un titolo come tutti gli altri. Si raggiunge il medesimo risultato delle altre coppe nazionali, ma è il percorso che la rende unica nel suo genere (andare a vedere la sostenibilità garantita per tantissimi anni al Marine FC, club di ottava divisione che ha beneficiato dell’evento che ha visto il Tottenham di Mourinho ospite a gennaio di quest’anno). Ecco perché continuo ad avere quella sensazione che non coinvolgere le squadre dei campionati minori sia solo un’occasione persa. Vi immaginate che cosa potrebbe rappresentare scoprire squadre piccole e vederle in televisione per una volta all’anno? A cosa possano provare i tifosi della rappresentativa locale, che potrebbero ritrovarsi il loro club in diretta nazionale? La farsa dei bassi ascolti è già stata parzialmente smentita da queste prime serate. Dateci un incontro di calcio, e chi ama il pallone, chi ama le storie impossibili, lo seguirà. So che la FA Cup è un sogno e so anche che, semmai si dovesse allargare la platea delle partecipanti, sarebbe pressoché irrealizzabile trasmettere tutti gli incontri in chiaro, ma non è questo il punto della riflessione. Quello che voglio sostenere è che non si può giustificare la decisione di ridurre le partecipanti per una questione di ricavi, di introiti pubblicitari o altre formule matematico-statistiche: basta una buona campagna comunicativa per poter rendere un prodotto appetibile. E non lo dico io.

Non è una novità che la presentazione di un prodotto o di un servizio sia la chiave del successo in ambito commerciale. Si pensi che molti studiosi ritengono che il packaging (in altri termini: la confezione) sia una leva talmente importante che potrebbe divenire autonoma rispetto alle 4P tradizionalmente accettate dalla disciplina del marketing: Prodotto, Prezzo, Pubblicità e Distribuzione (Place nella terminologia originale inglese, da cui la definizione di 4P). Sembrerebbe paradossale: perché mai un consumatore dovrebbe essere interessato a quel determinato prodotto in quanto la confezione è migliore? Perché una partita della coppa di Sua Maestà che vede squadre di categorie inferiori potrebbe attrarre l’utente medio più di un incontro tra squadre della nostra massima serie? Questo perché siamo arrivati al punto che non siamo più interessati all’acquisto del prodotto o del servizio. O meglio, non siamo più solamente interessati a ciò, ma quando spendiamo del denaro, delle risorse finanziarie o semplicemente il nostro tempo, vogliamo vivere un’esperienza. Sul mercato vi sono tantissime merci o servizi che hanno un valore di mercato più alto rispetto al valore intrinseco del bene o della prestazione dovuto alla brillante comunicazione e agli opportuni accorgimenti che gli operatori sviluppano. A volte, basta solo una piccola idea, un dettaglio a prima vista insignificante, che permette di cambiare totalmente la visione. Siamo nell’era in cui la comunicazione è arrivata al suo punto massimo storico (forse) e se non ci rendiamo conto che sono necessarie queste azioni per poter ingolosire il pubblico allora sì che stiamo fermi al palo. Probabilmente è solo un idealismo ingenuo, ma ritengo che si possano ancora coniugare marketing e tradizione calcistica. Innovare senza perdere le origini, le basi che hanno reso speciale questo calcio. Cosa c’è di speciale e tradizionale negli incontri di questi giorni? Vedere due squadre calabresi giocare contro delle squadre di Serie A; il Lecce che rimonta il favoritissimo Parma; assistere alle giocate precampionato di Vlahovic o di Strootman; Alessandria e Cremonese che possono sognare di giocare contro la Juventus, così come la Reggina che può rischiare di ritrovarsi a San Siro a giocare contro Ibrahimovic e soci. Certo, è evidente che tutto deve essere accompagnato dalla qualità del prodotto: la Ligue 1 rischia di diventare il secondo campionato europeo per interesse solamente grazie al fatto che sotto la Tour Eiffel sono giunti una marea di campioni. E badate che dico interesse, non importanza: è chiaro che gli altri tornei top, complessivamente, sono superiori a quello transalpino, ma l’effetto PSG porta curiosità per tutto il fenomeno. In tal caso, sono stati gli investimenti milionari a permetterlo, ma non sempre è necessario ricorrere ad un dispendio finanziario di tale portata. Fondamentale, ci mancherebbe, ma in mancanza di ciò bisogna ingegnarsi, e provare a diventare attrattivi puntando su altri canali, su altri punti di forza che possano divenire un vantaggio competitivo. La FA Cup ha il suo marchio di fabbrica nel sorteggio libero, nella storicità, nel fatto che ci consente di pensare che tutto sia possibile; cosa può fare la Coppa Italia per divenire un trofeo di spicco? Allargare il bacino d’utenza e, appunto, permetterne la fruizione integrale al pubblico italiano in modo stuzzicante e intraprendente. Una semplice idea, che non ha richiesto grosse spese, la quale cambia il modo di vedere una competizione snobbata e che era divenuta noiosa anche per i più accaniti come me. Vedremo che risultati produrrà questo esperimento triennale, ma le prospettive sembrano molto interessanti.

Un appunto dal punto di vista tecnico: chi sta guardando le amichevoli precampionato? Personalmente, le ho sempre scansate. A parte i nostalgici tornei estivi, non mi hanno mai incuriosito. Il calcio è bello quando si disputano le partite con in palio qualcosa. Ecco un’altra ragione per cui le big dovrebbero partire dalle fasi iniziali della manifestazione. Sarebbe un toccasana poter disputare partite vere prima di iniziare il campionato. Spesso, ci si è lamentati del fatto che si arriva a giocare le partite internazionali con pochi match di campionato nelle gambe, a causa della nostra restia tenuta a giocare sempre dopo il 15 agosto, mentre gli altri cominciano già ad inizio mese a mettere benzina. Perché non utilizzare questo spazio per testare la squadra, avendo una vetrina ufficiale per potersi mettere alla prova? Ci sarebbero tantissime indicazioni favorevoli al rinnovo della manifestazione per divenire meravigliosa, ma al momento già solo poter assistere a tutti gli incontri premendo solamente il pulsante del telecomando permette di avere quel minimo di fascino che la coppa ha perso progressivamente da venti anni a questa parte. Che sia davvero un nuovo inizio per la Coppa Italia?

 

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