Nel 1976, il tennis italiano era al suo massimo livello di sempre.
Adriano Panatta (a 26 anni) si era imposto agli Internazionali di Roma a maggio, e al Roland Garros di Parigi a giugno, cioè ai due più importanti tornei sulla terra battuta. Ad agosto, insieme al compagno di doppio Bertolucci, a Barazzutti e Zugarelli, riuscì a battere la Gran Bretagna a Wimbledon nella finale europea della Coppa Davis, un risultato che permise loro di proseguire alle semifinali intercontinentali.

La Coppa Davis si disputava tra squadre di cinque giocatori dello stesso paese, che si sfidavano durante tre giorni per ciascun turno, incrociandosi in diverse combinazioni tra singoli e doppi. Nel settembre del 1976 si giocò al Foro Italico di Roma, e l’Italia riuscì a battere l’Australia con John Newcombe, Tony Roche e John Alexander per 3-2 qualificandosi alla terza finale Coppa Davis della sua storia.
La finale della Coppa Davis quell’anno si sarebbe dovuta disputare contro il Cile. In quella Nazione imperversava il Generale Augusto Pinochet. La Nazione Sud- Americana a sua volta aveva ignominiosamente guadagnato la finale per la rinuncia dell’URSS che condannava il regime autoritario Cileno a tutto tondo. L’URSS dovette, per la sua presa di posizione, scontare due anni di squalifica.

Appena fu noto che l’Italia doveva giocare in Cile, si formò un fronte di opposizione alla partecipazione dell’Italia alla finale di Coppa. Per giunta gli incontri si sarebbero tenuti nello Stadio Nazionale del Cile situato a Ñuñoa, nella provincia di Santiago del Cile, stadio che fu trasformato in campo di detenzione/torture (per potenziali desaparecidos) dopo il Golpe del 1973 messo in atto dal Gen. Pinochet...
Il Governo Andreotti, allora in carica, non si pronunciò; anche il CONI se ne lavò le mani, poiché il tennis allora non era sport olimpico, lasciando che decidesse la Federazione Italiana Tennis, che autorizzò la partecipazione, come vedremo su sollecitazione del PCI in contatto con il Partito Comunista Cileno in esilio, ed anche in considerazione della pesante squalifica che avrebbe colpito l’Italia se non  fosse scesa in campo.
L’incontro si giocò tra il 17 e il 19 dicembre 1976 in Cile e diede i seguenti risultati sportivi:
Cile 1 - Italia 4    
Estadio Nacional de Chile, Santiago, Cile 17-19 dicembre 1976 Terra battuta
Faime Fillol Corrado Barazzutti
1 3
Fatricio Cornejo Adriano Panatta
0 3
Patricio Cornejo / Jaime Fillol Paolo Bertolucci / Adriano Panatta
1 3
Faime Fillol Adriano Panatta
1 3
//elus Prajoux Antonio Zugarelli
3 1

La dura lezione di Tennis data ai Cileni fu già significativa, ma Adriano Panatta aveva organizzato un’altra bella dimostrazione contro il regime. Gli atleti Cileni furono facilmente sconfitti dagli Italiani un po' perché erano tennisti ad un livello inferiore ai nostri, ma, forse, anche perché non sentivano le motivazioni forti per rappresentare il proprio Paese in quelle condizioni per una competizione internazionale tanto avversata.
Il 18 dicembre 1976, l'Italia vinse la sua unica Coppa Davis, aggiudicandosi il doppio con il Cile e portandosi sul 3-0.
Per chi ama il tennis, il 18 dicembre è una ricorrenza da ricordare. Sappiamo che è il giorno in cui l'Italia ha vinto la Coppa Davis, per ora l’unica.
Fu un successo mitico,
reso ancor più  suggestivo dall’insieme di circostanze in cui avvenne.
Il 18 dicembre 1976, all'Estadio Nacional di Santiago del Cile, ex campo di detenzione, Adriano Panatta e Paolo Bertolucci scesero in campo con una maglietta rossa. Una chiara provocazione a un Paese, il Cile, retto da una dittatura fascista e quindi nera. Una storia singolare e troppo interessante per non essere raccontata. Qualcuno ha cercato di farla dimenticare, ma una corretta memoria dei fatti può svellere qualunque mistificazione. I fatti ed il contesto sono noti, ma è bene farne memoria a beneficio dei più giovani... e degli smemorati.

L'11 settembre 1973, ventotto anni prima dell'attentato alle Torri Gemelle, un golpe militare eliminava la democrazia cilena incessantemente sostenuta dal presidente Salvador Allende, liberamente eletto nel 1970. Egli aveva cercato di strappare il Paese dal giogo delle multinazionali le quali, corrompendo i titolari dei giacimenti di materie prime, ottenevano prezzi di favore, portando così alla rovina il Paese. Allende nazionalizzò le miniere di rame nel 1971, ma circa due anni dopo cadde sotto le pallottole dei militari. Dopo essere stato assassinato alla sua scrivania nel Palazzo della Moneda, sede della Presidenza Cilena. Al suo posto salì alla guida del Paese il generale Augusto Pinochet.
Qualche anno dopo, in Argentina  accadde lo stesso con il dittatore Jorge Rafael Videla.
Le dittature hanno un comune denominatore: l'odio per qualsiasi tipo di opposizione. Perché sanno che prima o poi quei pochi oppositori rimasti in vita riusciranno a fare da catalizzatori organizzando una resistenza vincente e per loro prima o poi sarà la fine. Pertanto l’opposizione deve essere umiliata, poi schiacciata e polverizzata, infine sventrata. Successivamente alla sconfitta di Pinochet nel plebiscito del 1988, si scoprì che circa 3.000 persone erano state uccise o fatte sparire dal regime, con diverse altre migliaia che furono imprigionate e/o torturate.
La commissione Valech nel 2004 ha presentato un rapporto in cui risultano più di 40.000 vittime di violazioni dei diritti umani tra 1973 e 1990; numero persone uccise o scomparse 3216, numero persone che hanno subito detenzione politica e/o tortura sono 38254, 28459 i casi di detenzioni illegali con torture, con frequenti violazioni di diritti umani.
Tutto questo avvenne in numerosi centri di detenzione (fonte Amnesty International). In Cile accadeva questo, con coloro che la giunta denominava sovversivi. Il resto del mondo si indignò, Italia compresa. Anche da noi ci furono diverse manifestazioni a sostegno del popolo cileno.
Pinochet deterrà il potere fino al 1990 e, dopo un processo per frode fiscale, senza essere condannato, nonostante numerosi rapporti sulle sue nefandezze. Pinochet muore il 10 dicembre 2006 per scompenso cardiaco presso l'Ospedale Militare di Santiago del Cile. Pinochet, godendo di valide coperture, non fu mai processato per crimini contro l’umanità e per tutti i suoi delitti.

Ma torniamo al Tennis:
Adriano, prima di scendere in campo per il Doppio, disse a Paolo Barazzutti: "Hai portato quella maglia? Quella rossa, quella bella, oggi noi giochiamo con quella! Non hai nulla da temere, giochiamo a testa alta, giochiamo la partita, non diamogliela vinta!".

In realtà fu un gesto semplice, spontaneo. L'idea non poteva che nascere da Adriano Panatta, ad oggi il miglior tennista che l'Italia abbia mai avuto.
Dopo le infinite polemiche se andare o meno a Santiago, alla fine si andò e nella prima giornata Corrado Barazzutti e lo stesso Panatta fecero il loro dovere contro Alvaro Fillol e Patricio Cornejo sconfiggendoli entrambi.
Sabato 18 dicembre prevedeva la partita in doppio. Paolo, oggi ci mettiamo la maglietta rossa”. “Ma tu sei matto, questi ci ammazzano” rispose Paolo, il suo storico compagno Bertolucci. “Ma piantala, che vuoi che succeda”. “Pur di vincere io sarei sceso in campo nudo, quindi accettai di indossare la maglietta rossa. Però - continuò Bertolucci - nella pausa dopo il terzo set convinsi Adriano che era il caso di cambiarci, perché ormai, avevamo fatto tutto ciò che potevamo. Così terminammo l’incontro con la maglia azzurra”.
Panatta racconta che qualche generale presente in tribuna provò a lamentarsi. “Avevano capito che era una provocazione, ma tutto qua. Quello che si poteva fare, lo abbiamo fatto”.
Panatta è così: non gli piace mitizzare, e nemmeno esagerare. Ne è stata costruita una storia, ma Panatta non dirà mai che voleva cambiare il mondo. Non si è mai paragonato a un eroe. Ma è altrettanto vero che Panatta è stato un campione del popolo. “E questo la gente lo capiva. Io ero uno di loro” dice, in uno dei rari scatti d'orgoglio.
Nel 1976, finalmente, era arrivata l'occasione. Le vittorie contro Polonia, Jugoslavia, Svezia, Gran Bretagna e Australia non furono reali sorprese. Per sollevare 'sta benedetta Insalatiera d’ argento, bisognava battere il Cile. Per due mesi, il tennis divenne un pretesto per fare politica.
Una sostanziale parte del Paese, soprattutto la sinistra, spingeva affinché gli azzurri non andassero a Santiago.
Il fronte del sì era guidato dal capitano Nicola Pietrangeli, personaggio popolarissimo, nonché uomo di sport. “Se non andiamo, regaliamo la Davis a Pinochet” affermò Pietrangeli. Qualcuno arrivò a minacciarlo di morte, altri gli diedero del fascista. Pietrangeli aveva semplicemente compreso che un'occasione del genere non capitava tutti i giorni. E lo stesso Panatta a correggere il tiro: “Berlinguer sostenne che non era giusto coinvolgere dei ragazzi che giocavano a tennis. E poi, se non andremo, a distanza di anni tutti ricorderebbero una Davis vinta dal Cile di Pinochet. Molto meglio che vinca l'Italia”.

In realtà, Berlinguer era inizialmente contrario. A dare la spinta decisiva verso la partecipazione fu un oscuro senatore del PCI, il sardo Ignazio Pirastu. Grande appassionato di sport, ebbe l'intuizione di contattare il segretario del Partito Comnista Cileno in esilio Luis Corvalan, per farlo dialogare a sua volta con Berlinguer. Il messaggio di Corvalan fu chiaro: “Italiani, venite e batteteli. Solo così si potrà evitare una festa di regime”. Le sue parole spinsero Berlinguer a cambiare opinione e vincere le resistenze di Giancarlo Pajetta, ministro degli esteri del PCI, il quale si era esibito in più di una litigata pubblica con Pietrangeli.
Il resto è storia, con il 3-0 sotto gli occhi dei cileni e il racconto in differita di Guido Oddo: la RAI scelse di non mandare in diretta gli incontri per il timore di manifestazioni filo-cilene. Lo stesso Oddo, in un impeto di entusiasmo, urlò in diretta la sua gioia.
Soltanto un ingenuo potrebbe pensare che la scelta di Panatta, non avesse senso politico. Eppure molti, tanti a favore del regime, insistettero a lungo su questa tesi, per essere immancabilmente smentiti dall’ evidenza dei fatti.

Adriano Panatta lo ricorderemo sempre da ragazzo, inseguito lentamente da Sirola sui campi da Tennis in terra battuta, al tennis Club Monviso nel 1970 a Torino, nella Coppa Devis contro la Cecoslovacchia, quando cercava di calmarlo dopo uno scatto d’ira. 
Ce lo ricordiamo nei suoi servizi esplosivi, nelle finali dei tornei che ha vinto, nell’esecuzione della Veronica Tennistica, colpo da alta scuola, nelle volèe alte e basse. Ed ora spero che tutti, come me, lo ricordiate con una maglietta rossa e la Davis in mano come nella figura di copertina di questo articolo, magliette rosse che affrancarono anche Pietrangeli che fu loro connivente lasciandoli giocare vestiti così.