La vita di ciascuno di noi è connotata da diverse passioni, ciascuna delle quali verte su un determinato campo d'interesse, che spazia dalla moda alla cucina, passando al cinema, lettura e via dicendo.

Ma c'è uno in particolare che mette d'accordo (quasi) tutti: lo sport.

Una buona parte della popolazione maschile ha da sempre sviluppato una spassionata passione verso lo sport, in tutte le sue molteplici sfumature sebbene negli ultimi tempi anche la controparte femminile si sia interfacciata felicemente a tale mondo. Dal "football" americano passando alla pallavolo, basket, tennis, discipline in cui abbiamo ammirato le gesta di Pelè e Maradona, i tiri liberi di Jordan, il serrato dualismo Federer-Nadal, partecipando negli anni attivamente alla celebrazione dello sport nelle proprie manifestazioni.

Ebbene, in questo difficile periodo storico, l'amore di un individuo verso lo sport è stato messo in dura discussione da questo nemico invisibile chiamato Coronavirus. Da nove mesi a questa parte, è stata stravolta l'esperienza del tifoso tradizionale, abituato a portare il figlioletto allo stadio, a seguire un torneo con degli amici, esultare al punto finale abbracciandosi con i propri cari. 

Tutto ciò è solo un ricordo al quale ci si aggrappa, a cui tendiamo la mano nei momenti nostalgici e con la speranza di poter tornare quanto prima alla normalità. Perchè un papà ha diritto di far provare l'esperienza di portare suo figlio a San Siro, ad udire lo speaker che ripete il nome del marcatore dell'ultimo gol; ha diritto a recarsi al palazzetto e vedere lo Zar Ivan realizzare una serie di battute infallibili; ha diritto di gioire dell'emozioni che solo lo sport può regalare.

Come ogni sport che si rispetti, ci sono delle regole ferree da rispettare per questo duro gioco a cui l'Italia e i suoi tifosi sta partecipando controvoglia e non vedono l'ora di vincerla questa partita, per gioire ed abbracciarci nuovamente.