Ora che la lettera di Gianluigi Donnarumma al Milan è stata realmente "inviata", ovviamente a mezzo Instagram come si conviene ad i nostri tempi moderni, posso commentare il mio tentativo di scrivere una missiva per suo nome e conto.

L'idea di uno scambio epistolare immaginario tra l'ex portiere rossonero ed il Milan, all'alba del divorzio tra i due, nasce esattamente un mese fa, nel bel mezzo del silenzio europeo del futuro campione continentale. Immaginavo quanto sarebbe stata apprezzata una lettera a cuore aperto scritta dal "tifoso-Gigio" alla Casa Madre Rossonera, proprio nel momento dell'abbandono definitivo: un testo scritto col sentimento in prima linea, senza la mediazione di social media manager strapagati, senza lo zampino di procuratori avidi e narcisi, senza la falsa retorica di un ragazzone milionario ed ingrato. Senza, insomma, tutto quel condimento che avrebbe caratterizzato la vera lettera d'addio di Donnarumma al Milan, fredda, inutile, quasi patetica, di cui abbiamo accennato in apertura.

Scrivo l'articolo cercando di entrare nell'anima rossonera dell'ex Numero 99 di Castellamare di Stabia: "Caro Milan, ti scrivo... (lettera di Gigio al "suo" Milan)".

Il pezzo va alla grande, oltre 4000 letture (cifra già importantissima) e tanti commenti entusiasti: ne vado subito fiero e decido, senza pensarci troppo, di redigire la risposta (immaginaria) del Milan, per mano di Paolo Maldini, a Gigio. Scrivo, rileggo, pubblico, spengo il PC e non ci penso più: è il 29 giugno, sono le 10.03 del mattino.
A sera, appena finito di lavorare, ricevo un messaggio Whatsapp da un mio amico, milanista, il quale non conosceva e non conosce l'esistenza del mio blog su Calciomercato.com: "Leggi questa lettera di Maldini a Donnarumma!" mi dice, allegando un link ad un sito sconosciuto. Lo apro e noto con stupore che questo portale aveva ripreso, pari pari, il mio scritto dalle pagine di Vivoperlei: la cosa mi fa un certo affetto, d'istinto digito l'indirizzo del blog per capire cosa stesse succedendo e se qualcuno avesse iniziato a commentare l'articolo.

In quel momento mi accorgo che qualcosa di "monumentale" stava succedendo: il pezzo è già stato letto da diverse migliaia di persone, i commenti si contano a decine così come i likes ed i dislikes. La redazione di Vivoperlei, probabilmente per giusti motivi di chiarezza e correttezza, ha modificato il titolo del mio articolo, che adesso recita così: La lettera immaginaria di Maldini a Donnarumma: 'Caro Gigio ti rispondo'. L'aggettivo "immaginaria" non è farina del mio sacco, ma si tratta di un'aggiunta a posteriori, del tutto corretta per evitare mistificazioni sulle reali intenzioni dell'autore: si tratta di una risposta inventata ad una lettera altrettanto inventata, volutamente immaginata ed immaginaria, nelle quali l'autore parla "attraverso" i protagonisti della nota vicenda contrattuale in salsa rossonera.

In ogni modo, l'articolo esplode: dopo pochi giorni si contano oltre 50'000 (cinquantamila!) letture, una cifra del tutto sproporzionata ed abnorme rispetto agli standard del blog, nel quale i migliori articoli scritti dai migliori autori raramente superano le poche centinaia di letture. A fine anno, dopo dodici mesi e decine (o centinaia) di articoli, pochissimi autori possono vantare letture nell'ordine delle poche decine di migliaia: io ne avevo fatte 50'000, da solo, con un singolo articolo, in un paio di giorni. Clamoroso.
Con mia grande gioia ed onore, oltre ai numeri che lasciano sempre il tempo che trovano, gli autori pluridecorati del blog cominciano a commentare le mie lettere, autori che leggo sempre con vivo interesse e che stimo al massimo livello per le capacità di scrittura e l'originalità assoluta nei contenuti: Veloxone, Arsenico17, Damiano Fallerini, tutti autori che hanno riempito la propria bacheca-web di premi della critica e di "re del mese".
Oltre a loro, che cito per eccesso di stima e rispetto, tantissimi altri autori e lettori scrivono il proprio parere, non mancando di allegare complimenti per l'idea e la realizzazione tecnica dell'articolo. Inutile dire, con un pizzico (abbondante..) di egocentrismo, che ne vado fiero. Ed inutile dire, dopo aver stracciato qualsiasi record numerico della storia di questo bellissimo blog, che mi aspetto un premio, una citazione, una riga di complimento da parte degli organi "ufficiali".

“Dovunque mi arrampichi io sono seguito da un cane chiamato 'Ego'”, diceva il grande filoso Friedrich W. Nietzsche. Attendo con impazienza la proclamazione del premio settimanale della critica, confidando in un riconoscimento: niente, neanche una parola sul mio conto.
Penso: sicuramente dovrò attendere la prossima settimana, probabilmente la data di pubblicazione rientra nel periodo successivo a questo, indubbiamente qualcuno dirà qualcosa su di me.
Escono i nuovi nominati per il premio della critica: niente, non ci sono, neanche una citazione.
Un articolo letto da quasi 55'000 (cinquantacinquemila) persone è passato del tutto inosservato agli occhi della critica "accreditata". Ed è lì, affossato nello stupido sconforto infantile, che mi sovviene un pensiero, restando nell'ambito del tifo milanista: io sono Massimo Boldi! 
Un attore "di quel tipo", che recita nei film campioni d'incasso, capaci di fare grandi numeri al botteghino, di radunare folle oceaniche nei cinema, ma che viene inesorabilmente stroncato dal giudizio di chi ne capisce: campioni di pubblico, schifati dalla critica. Sempre e comunque, senza possibilità di redenzione: tutti vanno a guardare i tanto vituperati "Cinepanettoni" a Natale, ma nessuno ne va fiero.
Eppure con la cassa fatta da questi filmacci da due soldi, viene finanziato anche il "cinema d'autore", quello per palati fini.
Eppure se si scava ben bene in profondità, il grande Quentin Tarantino ha dichiarato di essere un fan sfegatato di Lino Banfi, Edwige Fenech e di tutta la saga dei b-movie trash ed "a luci rosa" italiani: però i Premi Oscar li vince il regista americano di Pulp Fiction, non certo l'anziano (e pur geniale) attore barese.
Se si riflette bene, Federico Fellini aveva in Alvaro Vitali il proprio portafortuna: poi Amarcord ed i Vitelloni non vengono certo inseriti nella medesima categoria culturale del mitico Pierino.
E' il destino di noi autori "popolari": facciamo le cose che piacciono alla gente, magari riceviamo qualche complimento, ma non vinciamo i premi e la nostra opera (alla fine) viene dimenticata insieme al suo vano successo. Pazienza!

Prima di scatenarvi con le critiche, sia ben chiaro: qui si scherza, ci si prende in giro, ci si fa burle del proprio egocentrismo! Sono io che prendo in giro me stesso e me la rido di gusto. Quindi, amici miei, non scandalizzatevi dinanzi a tale dimostrazione di bruciore per una mancata vittoria che ricorda, in parte, quella degli inglesi nell'ultima finale europea. Se avessi ricevuto una medaglia d'argento, l'avrei scaraventata al suolo pure io: purtroppo non ho ricevuto neanche quella!
In ogni modo, vi ringrazio 60'000 volte per aver letto queste mie due lettere immaginarie, mi avete reso un grande onore: vi ringrazio uno per uno, mai mi sarei aspettato che un mio scritto potesse raggiungere così tante persone.
Per accontentare tutti voi (e sopratutto per sfamare il mio egocentrismo) vi allego i due articoli: chi non li ha già letti, può farlo di seguito. E se Zlatan Ibrahimovic non ha mai vinto la Champions League, forse anch'io posso accettare di non mettere trofei in bacheca. Pace.

"Caro Milan ti scrivo...": lettera di Gigio al "suo" Milan. 
"Caro Milan, caro Vecchio Milan... oggi ti lascio, è cosa nota ormai a tutti: vado a Parigi, ho firmato un contratto da dodici milioni di euro a stagione (netti, sia ben chiaro) col Paris Saint Germain. L'avete presa tutti molto male, lo so, anche se Paolo ha detto che in fondo mi vuole bene ed è riconoscente per quello che ho fatto fino all'ultimo giorno rossonero, come professionista, so benissimo che ci è rimasto molto male anche lui. Non mi ha perdonato quella risposta secca, il giorno dopo la vittoria di Bergamo che ci ha riportato in Champions League dopo otto anni: "Faccio quello che mi dice Mino".
Mi spiace per Paolo, del quale avevo il poster nella cameretta non più di cinque o sei anni fa, ma non ho saputo trovare una formula più diluita, più distaccata per raccontare la mia verità: io, mi spiace, ma io faccio davvero quello che dice Mino. Vi chiederete tutti perchè io dica questo con tanta chiarezza, quasi con superficialità, ma il motivo è molto semplice e qui, in questa mia ultima missiva, voglio dirvelo senza timori e senza paraventi: Raiola, Mino Raiola, si è preso cura di me e della mia famiglia da quando io ero un bambino. E mi ha reso un ragazzo ricchissimo, un supermilionario appena maggiorenne. Ed ha reso ricchissima tutta la mia famiglia: gliene sono grato, eternamente. Non mi ha mai tradito, ha sempre lavorato per i miei interessi, mi ha fatto guadagnare cifre che non avrei lontanamente sognato mentre crescevo a Castellammare di Stabia: io faccio quello che mi dice lui, costi quel che costi, costi anche l'amore dei tifosi della squadra di cui sono tifoso io stesso. L'hanno presa male i tifosi, lo so e ci sono abituato: è dall'estate del 2017 che non mi danno pace, in un modo o nell'altro. Non mi hanno mai perdonato il tira e molla sul primo vero rinnovo contrattuale, quello che si concluse con l'accordo da sei milioni netti a stagioni, più uno a mio fratello Antonio, per quattro stagioni.
Anche lì, tra Mino e Mirabelli, io stavo dalla parte di Mino e mi misi in un angolo, attendendo indicazioni sul da farsi, mentre tutti erano dalla parte di Mirabelli. Ma ditemi una cosa: dov'è Mirabelli oggi? Che lavoro fa? Io gli voglio bene, è stato il mio direttore sportivo per più di un anno e mi ha trattato, in qualche modo, come un padre burbero ma onesto. Però, nella guerra tra lui e Raiola, mentre tutti si schieravano con la dirigenza rossonera, Mino aveva ragione. Non voleva farmi rinnovare neanche quella prima volta, verissimo: quelle settimane furono infernali, dai dollari che mi piovevano addosso durante le partite dell'Europeo Under 21 (in Polonia!), ai post sui social che Mino mi faceva scrivere e Mirabelli mi imponeva di cancellare. Senza dimenticare l'esame di maturità saltato che divenne un caso mediatico nazionale: come se ad uno che guadagna milioni di euro al mese, come me, possa davvero mai servire un diploma da ragioniere! Suvvia, siamo seri! Fu Mino a portarmi a Ibiza, lontano dalla prova d'esame ma sopratutto dall'ambiente milanista, per convincermi a non firmare alcun rinnovo col Milan, nonostante l'offerta più che allettante: quando eravamo là, con Mirabelli da una parte del tavolo, io, lui e mio padre dall'altra, si alzò e mi disse: "Non firmiamo niente, andiamo via". Ed andò via. Io rimasi senza parole, guardai mio padre in cerca di supporto e proprio papà mi fece un cenno chiarissimo con lo sguardo: "Firma". Firmai per sei milioni di euro a stagione e diventai, ufficialmente, "Dollarumma": pensa se fossi volato a Parigi già quattro anni fa, accettando quell'offerta da dieci milioni che già era stata avanzata dallo sceicco. Davvero! Dieci milioni sono più di sei, ma rimasi al Milan. Qualche mese dopo quel rinnovo, venne fuori la voce (non so da chi, ma posso immaginarlo) che io avrei chiesto l'annullamento del contratto per aver subito "violenza morale e pressioni psicologiche" al momento della firma: io non ho mai detto nulla di tutto ciò.
E' vera un'altra cosa, venuta fuori in quei giorni: l'accordo prevedeva una clausola rescissoria duplice, quaranta milioni di euro in caso di mancato approdo del Milan alla successiva edizione della Champions League, settanta milioni in caso di qualificazione. Quella clausola non è stata depositata in Lega perché io non l'ho mai sottoscritta. Il motivo? Mino era davvero contrario alla presenza di clausole così alte, che rendevano difficile una cessione ed un contratto molto importante da qualche altra parte: l'avevo già "tradito" firmando il rinnovo, non volevo compromettere del tutto il mio rapporto con lui. Quindi vada il rinnovo, ma niente clausola. In ogni modo, quando questa notizia venne fuori, gli ultras della curva se la presero anche con mio fratello, definendolo un parassita: lasciate stare Antonio, che è un grande portiere ed ha dovuto subire molto, per colpa della mia situazione. 
Un po' quello che è successo in questa stagione, prima della partita contro il Benevento nel bel mezzo del rush finale per la qualificazione in Champions: sono venuti in venti, a Milanello, per parlarmi. Si è detto che mi sarei rifiutato, inizialmente, di incontrarli, ma non è del tutto vero: semplicemente non volevo dare adito a polemiche prima di una serie di partite così importanti, per il bene del Milan. Però qualcuno mi ha chiesto di accettare il confronto ed ho obbedito (anche qui, contro la volontà di Mino). Si è detto che sarei uscito in lacrime dall'incontro e che avrei garantito la mia volontà di restare al Milan: è vero. Lo stress era altissimo ed io ero già esausto di quella situazione, totalmente distrutto a livello mentale: quindi ho sfogato la rabbia nel pianto ed ho detto una mezza bugia per venirne fuori quanto prima possibile. Mi spiace dirvelo oggi ma voglio essere onesto fino in fondo: sapevo già di non avere un futuro a Milano. Il discorso con la Juve, che mi veniva rinfacciato dai tifosi, era tutt'altro che vicino alla conclusione positiva, ma era stato imbastito. Poi sapete com'è finita, quindi la mia era solo una mezza bugia. Lascio il Milan, oggi è ufficiale, col cuore gonfio di ricordi positivi e non. Sono arrivato in questo club a 14 anni, da grande tifoso, grazie a Mauro Bianchessi che mi strappò letteralmente all'Inter.  Come potrei dimenticare il mio esordio in Serie A, il 25 ottobre del 2015: avevo appena 16 anni e 8 mesi e mister Mihajlovic mi preferì a due colonne come Christian Abbiati e Diego Lopez nelle gerarchie. Presi un gol da pollo, sul mio palo, su punizione di Berardi (mi prende ancora in giro..), ma che volete farci: ero un bambino. Pochi giorni dopo l'esordio e quel mezzo errore, fermai praticamente da solo l'Atalanta, costringendo il mister ad ammettere che ero un predestinato e tutto il mondo a riconoscere che ero un fenomeno: avrei anche esordito, a gennaio, nel derby di Milano come portiere più giovane di sempre (vincendo 3-0, oltretutto).  Non ho mai digerito l'esonero di mister Mihajlovic, meritava di giocarsi quella finale di Coppa Italia persa immeritatamente contro la Juve ai supplementari.  All'inizio della stagione 2016/17, parando un rigore a Belotti, diventai il primo portiere minorenne a parare un rigore nel secondo dopoguerra: ad oggi ne ho neutralizzati ben 15 su 43, il 35%. Mica male! Pochi giorni dopo feci anche l'esordio con la Nazionale maggiore, subentrando nientemeno che al mio idolo Gigi Buffon e diventando (a 17 anni e 189 giorni) il più giovane portiere ad aver vestito la maglia azzurra "dei grandi". Ma il ricordo più dolce è quello di Doha, del 23 dicembre 2016, quando sono riuscito a sollevare l'unico trofeo con questa maglia ed unico trofeo, finora, della mia carriera: la Supercoppa Italiana, proprio contro la Juventus di Buffon, anche grazie al rigore parato a Dybala, il penultimo della serie. Purtroppo proprio a causa di Dybala, ho commesso il più grande errore della mia vita, al termine di quel Juventus-Milan che avremmo probabilmente meritato di perdere, ma dove io parai tutto, davvero tutto, e portai la squadra a pochi secondi da un pareggio importantissimo. Quel rigore, diciamo pure generoso, che ci ha beffato al 96' non potevo accettarlo in silenzio: urlai la celebre frase "sempre con voi" e feci quel famoso gesto sotto la curva. Sì, proprio il bacio dello stemma rossonero sulla maglia.  Tutti i rossoneri apprezzarono, fui investito da un'ondata d'amore incredibile, io lo feci con grande passione, ma quel gesto mi avrebbe condannato per sempre: dovevo essere, da quel momento in poi, la bandiera del Milan del futuro. Dovevo essere come Baresi, come Maldini: ma io non stavo nel Milan di Berlusconi, io non giocavo in un club che potesse vincere la Champions ogni anno. Neanche riuscivamo a giocarla!  Mi ritrovavo nella condizione di essere definito come il prossimo miglior portiere del mondo, ma di giocare in un club di metà classifica senza possibilità di potermi muovere: credetemi, è molto avvilente. Ci saranno altri momenti belli, come la parata su Milik che molti considerarono come una delle più belle di sempre, proprio nel giorno in cui diventavo il più giovane calciatore di sempre a toccare quota 100 presenze in Serie A (e poi 200). Ero già stato il più giovane a farle con il Milan, qualche settimana prima (sono 251, oggi). E poi, ovviamente, la fascia di capitano e la vittoria di Bergamo che ci ha riportato nell'Europa che conta, dopo tanti anni di sofferenza ed umiliazioni.
E proprio le sofferenze e le umiliazioni non sono mancate, oltre alle polemiche ed agli attacchi dei tifosi: il 5-0 di Bergamo per esempio, ma sopratutto quella maledetta finale di Coppa Italia (ancora contro la Juve) in cui feci davvero un disastro. Sbagliai tutto, ne prendemmo quattro: se ci penso, non dormo la notte. Ma anche la papera di Pescara, quella di Genova contro la Sampdoria, quella nel derby proprio al 91': tutti a urlare che un portiere da sei milioni a stagione non poteva fare quelle cose. Pochi a spiegare che bisogna vedere anche la carta d'identità e quello che aveva fatto prima e dopo quei pochi errori. 
Oggi ti lascio, caro Milan, e ti lascio in Champions League. Avrei voluto sentire quella musica, con questa maglia: ma non sarà così. Vado a Parigi, mi aspettano tanti soldi, tante luci, aerei privati, Mbappè, Neymar, Griezmann forse anche Ronaldo, Messi o chissà chi! Mi aspetta un'avventura fantastica, da superstar: giocherò per vincere la Champions League, proprio come quella che ho sempre visto nelle foto di Milanello, sollevata da Paolo, Franco, Cesare, Mauro. Vincerò tante coppe e coppette, tante da non poterle contare, ma terrò quella Supercoppa di Doha sempre al primo posto della bacheca di casa. Ti saluto, caro Milan. Lo so che oggi non puoi capirmi, ma un giorno capirai. Tuo, Gigio."

La lettera immaginaria di Maldini a Donnarumma: 'Caro Gigio ti rispondo'
"Caro Gigio, ricevo la tua lettera d'addio senza meraviglia e senza stupore, ma con tanta amarezza, essendo ormai chiaro a tutto il mondo del calcio (ed in questo mondo ci vivo da sempre) che le nostre strade sono destinate a dividersi. Ho speso belle parole per te, lo sai, e non ho intenzione di contravvenire al mio voto di eleganza e sobrietà proprio qui, in questo nostro carteggio privato. Sarebbe un colpo basso, non so se immeritato, ma di certo non conforme al mio nome ed alla mia immagine pubblica e privata. Il giorno dopo la vittoriosa trasferta di Bergamo, quella che ha riportato tutti noi (ed uso volontariamente la prima persona plurale) in Champions League, provai l'ultimo disperato tentativo di ricucire uno strappo ormai irrimediabile. Reso irrimediale volontariamente dall'atteggiamento ostruzionista del tuo procuratore e dalla tua ignavia dinanzi alle scelte altrui: qualcuno direbbe che anche tu, Gigio, in fondo non vedessi l'ora di smontare le tende ed approdare su altri lidi. Mi hai risposto che avrei dovuto parlare con Mino Raiola, perchè tu avresti fatto tutto quello che lui ti avrebbe detto di fare: "Faccio quello che dice Mino", ricordo benissimo le tue poche parole. Concedimi il lusso della critica, avendo 30 anni più di te ed una carriera che non può concedere adito a dubbi riguardo a fedeltà e professionalità: non è un atteggiamento che mi sento di accettare, come individuo che ha fatto la storia del calcio ma soprattutto come rappresentante, universalmente riconosciuto, di questo glorioso club. Ho conosciuto, in questi anni di convivenza a Milanello, tuo padre Alfonso: davvero una brava persona. Approfitto per raccontarti qualcosa di mio padre, purtroppo scomparso qualche anno fa, il quale prima di essere genitore di Paolo Maldini, è stato a sua volta un bravo papà ed una leggenda della storia milanista.  Papà Cesare iniziò a giocare a calcio da bambino nell'oratorio del rione di Servola dove, all'età di tredici anni, impressionò favorevolmente il massaggiatore della Triestina che lo portò nelle giovanili del club alabardato. Scalò tutti i gradi del settore giovanile fino ad arrivare alla prima squadra, superando anche l'ostacolo fisico di una pleurite che rischiava di precludergli la futura carriera calcistica. Fu Nereo Rocco (avrai visto le sue foto, a Milanello..) ad aggregarlo stabilmente alla prima squadra.

Nel 1953 Béla Guttmann decise di portarlo qui, al Milan, dando inizio a questa magica storia di famiglia: "questo ragazzo è da Milan e nel Milan giocherà". Vi rimarrà per dodici stagioni, divenendo bandiera, capitano, campione d'Italia per quattro volte ed anche campione d'Europa. Il primo capitano di un club italiano a sollevare quella Coppa, quella Coppa che ci rivedrà protagonisti tra un paio di mesi, è stato proprio mio padre: nello stadio di Wembley, a Londra, dopo aver battuto in finale il formidabile Benfica del formidabile Eusebio, che era un po' il Cristiano Ronaldo (portoghese anche lui, seppur d'origine africana) di quel calcio in bianco e nero. Papà lasciò il Milan nel 1966, dopo aver disputato con la maglia rossonera 347 partite e segnato 3 gol: ma non fu un tradimento, decise solo di restare fedele al suo maestro Rocco, seguendolo al Torino per una stagione.  Appese le scarpette al chiodo,  decise di rimanere in seno al Milan lavorando come assistente di Nereo Rocco, per poi intraprendere dal 1971 la carriera di allenatore divenendo, ovviamente, il vice del paròn. Gli subentrerà l'anno successivo come tecnico in prima, ma anche qui, nessuno spodestamento infido: Rocco era semplicemente passato al ruolo di direttore tecnico. Nella stagione 1972-1973 conquistò anche uno storico double vincendo Coppa Italia e Coppa delle Coppe, superando in finale, rispettivamente, Juventus e Leeds Utd, ma incappò anche nella Fatal Verona, ovvero l'inaspettata sconfitta sul campo degli scaligeri che, all'ultimo turno, costò al Milan il possibile scudetto della Stella. Proprio quel passo falso, forse, gli ha precluso un prosieguo di carriera ad alti livelli sulle panchine delle squadre di club. Preferì intraprendere la carriera federale, affiancando il grande Enzo Bearzot sulla panchina azzurra nel vittorioso mondiale spagnolo del 1982. Negli anni Novanta, qualche anno prima della tua nascita, papà guidò la nostra Under-21a tre vittorie consecutive nel Campionato Europeo di categoria, guadagnandosi  la promozione alla guida della Nazionale maggiore in vista del campionato del mondo 1998, sostituendo Arrigo Sacchi (altra leggenda rossonera). Me lo ritrovai in panchina, mentre io facevo il capitano in campo: strano, molto strano, credimi Gigio. Nell'anno del nostro Centenario, papà torno alla casa madre rossonera come coordinatore degli osservatori del Milan, salvo ritrovarmelo ancora in panchina dal 14 marzo 2001 affiancato dal vecchio amico e collega Mauro Tassotti. Lui in panchina, io a rappresentare il mondo milanista in campo, vincemmo un derby per 0-6. Proprio zero a sei: leggendario. Della mia carriera, caro Gigio, preferisco non parlartene: l'hai vissuta ogni giorno tramite le fotografie stampate sui muri di Milanello e, in ogni modo, non avrei parole a sufficienza per descriverti l'orgoglio di aver servito una sola maglia per 902 partite. Dal 1978 fino ad oggi. Il 12 settembre 1978 papà Cesare mi portò a sostenere il provino con il Milan. L'allenatore gli chiese in che ruolo giocassi e lui gli rispose, testuale: "Mah, non lo so, faccia lei". Mi fecero giocare all'ala destra, mentre mio padre andò via senza neanche vedere il provino. Andando contro alle regole della società l'allenatore, il signor Braga, mi fece firmare il cartellino senza nemmeno chiedere il permesso in sede: gli sarò sempre grato e credo che la società abbia fatto comunque un buon affare a prendermi.  Ho giocato otto finali di Champions League, caro Gigio, ne ho vinte cinque. Ho sollevato trofei a Tokyo, a Barcellona, a Manchester, ad Atene, a Vienna: ovunque.  Io e mio padre abbiamo sollevato, entrambi da capitani, la Coppa dei Campioni: sai quanti casi come questo ci sono stati, nell'intera storia del calcio mondiale? Te lo dico io: nessuno. Solo noi Maldini, al Milan. Sono il calciatore più presente in A con il Milan e quello più presente con la stessa squadra(647 apparizioni), quello più presente in Champions League con i rossoneri (139) e quello più presente con la stessa squadra nelle Coppe Europee (174), nonché il primo degli italiani. Insieme a Francesco Totti, sono anche il giocatore che ha fatto più stagioni nel massimo campionato italiano (25 anni). Il Milan, dopo il mio ritiro, ha ritirato la maglia numero 3, la mia maglia, Pelé nel 2004 mi ha inserito nella FIFA 100 come uno dei giocatori più importanti del secolo, dal 2012 faccio parte della Hall of Fame del calcio italiano. Nel 2020, inoltre, mi hanno inserito nel Dream Team del Pallone d'Oro, come miglior terzino sinistro dell'intera storia del calcio: tutti pensano che avrei meritato un Pallone d'Oro, forse due, già da giocatore. Ma mi accontento di quello che ho fatto. In fondo, pur avendo vinto ventisei trofei (sempre e solo col Milan, non dimenticarlo mai caro Gigio), sono il calciatore più perdente della storia. L'ho detto a Bobo Vieri: ho perso tre finali di Champions League, una di Supercoppa Europea, tre di Coppa Intercontinentale, una finale di un Mondiale, una finale di un Europeo, una semifinale di un Mondiale... E potrei andare avanti. Quindi ho avuto la fortuna di vincere tanto e di vedere la sconfitta come qualcosa da accettare in questo percorso.

Il celebre ex tennista francese Yannick Noah ha detto che non esiste più il concetto di attaccamento alla maglia, perchè i ragazzi a 22 anni sono miliardari e alle prime difficoltà nel club se ne vanno. Però, dice lui, esistono ancora eccezioni, che diventano eroi. In Italia, per esempio, c'è un certo Paolo Maldini che è un esempio straordinario. Quanti anni hai, caro Gigio? E quanti milioni in banca? Eppure, se solo avessi pensato di andare via dal Milan, ci sarebbe stata la fila dei club più importanti del mondo, ma nessuno importante come il Milan. Mi voleva la Juventus ovviamente, al Chelsea mi chiamò Vialli nel 1996. Però preferii restare al Milan, per venire fuori da un'annata disastrosa. È stata una scelta giusta. Poi, per l'Arsenal mi chiamò una persona, facendomi un'offerta economica da capogiro, e ci fu anche una richiesta di Ferguson per il Manchester United e forse un'altra del Real Madrid. La verità è che molto spesso queste richieste coincidevano con annate storte: sarebbe stato probabilmente più semplice accettare. Ma noi del nucleo storico ci prendevamo le nostre responsabilità, preferivamo rimanere e riscattarci sul campo, mettendoci la faccia.

Io sono il figlio di Cesare, leggenda del Milan, prima ancora che Paolo Maldini, leggenda del Milan: se guardi bene, il nome "Milan" è contenuto ed anagrammato nel mio cognome. Come nel cognome dei miei figli, tra cui Daniele, tuo compagno di settore giovanile e di prima squadra. A me, caro Gigio, hai negato l'onore di una risposta, spiacevole che fosse. Mi hai detto di parlare col tuo procuratore: ma io non posso farlo, perchè io rappresento il Milan ed il Milan viene prima di qualsiasi calciatore. Il Milan viene persino prima di un calciatore ed un uomo come me, caro Gigio.

Ti auguro il meglio a Parigi: diventerai ricco, vincerai tante coppe e coppette, tante da non poterle più contare, ma non diventerai una leggenda per nessuno. Diventerai un campione, forse un fuoriclasse, ma purtroppo non una leggenda. Ed è davvero un peccato, perchè avevi tutte le carte in regola: non è solo una questione di soldi, non è solo una questione di classe, è una questione di sentimento. Ti sono grato come professionista e ti voglio bene come ragazzo, come coetaneo di mio figlio. Ma io, caro Gigio, non sono uno che può essere liquidato con un gelido: "Devi parlare con Mino". Ti ringrazio come devo ringraziare tutti i calciatori che hanno portato a termine questa stagione incredibile e per certi versi storica: sei stato un leader e spesso il capitano. La gente fa fatica a capire cosa voglia dire fare il professionista, che deve essere pronto a cambiare casacca. So che questa è una cosa che è difficile da accettare, è sempre più difficile trovare carriere che iniziano in un posto e finiscono nello stesso posto, come la mia.  E come ho già detto, bisogna avere rispetto per chi ha dato tanto al Milan: tu l'hai fatto, non ci hai mai mancato di rispetto. Anche se le nostre strade si dividono, non posso che augurarti il meglio. Ti saluto con affetto, ci rivedremo presto.
Il Milan, Paolo Maldini"