Viviamo in un mondo che corre troppo velocemente per permetterci di stupirci ancora. Siamo bombardati quotidianamente da notizie vere o false che siano, ogni giorno portiamo a spasso il mondo intero dentro le nostre tasche e sempre più spesso il mondo intero lo osserviamo tramite uno schermo senza più guardarlo in faccia.
Abbiamo appreso da pochissimo della separazione insospettabile di Beppe Marotta dalla Juventus di Andrea Agnelli. Un addio eclatante visto il ruolo chiave che il direttore Marotta ha avuto nel complicato processo di rinascita dei bianconeri: ha contribuito a portare stabilmente una squadra da settimo posto nell'Olimpo del calcio mondiale. E ancor di più prese l'allora trentacinquenne Agnelli sotto la sua ala protettrice mettendo a sua disposizione tutta la sua esperienza dirigenziale. Già, un giovanissimo rampollo e l'uomo d'esperienza; si fa presto a dire largo ai giovani, ma se poi non ci sono i meno giovani ad indicare loro la strada...
Una notizia fresca fresca, eppure Marotta sembra già il passato. E' ancora troppo vivo l'entusiasmo per l'arrivo di Ronaldo che se va via il creatore della "nuova Juve" pazienza. Proprio quel CR7 che, pare, sia stato l'oggetto delle divergenze con la proprietà sabauda. Un acquisto forse troppo dispendioso per un trentatreenne, un azzardo su un bilancio abituato ad essere foraggiato dalle plusvalenze di mercato; un gioiello, quel CR7, che poco aggiungerà in termini di risultati se la Juve nei prossimi anni non riuscirà ad alzare la coppa dalle grandi orecchie. Marotta è uno abituato a fiutare l'affare, gli anni passati da dirigente in squadre ben più modeste lo hanno costretto alla filosofia del "compra a poco e vendi a tanto". Ed è proprio questo che ha fatto nei suoi anni juventini e il simbolo di questa filosofia vincente è un giocatore che col tempo è diventato l'emblema di una squadra che ha fame di vittorie: Mario Mandzukic.
Corre, si sacrifica e segna gol pesanti. Lui sì che l'ha vinta una Champions League, era il 2013 e giocava nel Bayern Monaco e segnò pure nella finale di Wembley contro il Borussia Dortmund davanti a 60.000 spettatori. Un calciatore vincente, prolifico, di esperienza costato alla Juve solo 18 milioni. Diciotto milioni per strapparlo all'Atletico Madrid dove aveva segnato 20 gol in 43 partite, quasi uno ogni due match disputati. Alla Juve ne segna meno perchè spesso ha accettato di cedere il suo posto naturale, nel cuore dell'area di rigore, a nomi più altisonanti, finendo persino in fase di non possesso a fare il terzino. Mai un lamento o una polemica. Mai una smorfia se non quelle procurategli dalla fatica di giocare a tutto campo.
Due gol sabato contro il Napoli e campionato chiuso alla settima giornata. Diciotto milioni per un campione vero. L'Inter ne ha spesi 44 per Joao Mario. Un capolavoro. Comprare a poco e ricavare il massimo: con questa filosofia Marotta ha portato in alto la Juventus, una mentalità operaia che a Torino mancherà eccome.
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