(segue dalla prima parte)

Già contattato nel 2011 prima di scegliere Luis Enrique, Rudi Garcia, l’allenatore francese con lo sguardo da attore, vola da Pallotta a New York insieme al dirigente Ricky Massara, madrelingua francese capace di muoversi benissimo sul mercato d’Oltralpe.
Ottenuto in mezz’ora l'endorsement di James - “ha un’ottima visione calcistica ed è un vincente” - il nuovo tecnico conquista rapidamente la fiducia dei tifosi e, nonostante le cessioni pregiate di rito, realizza un filotto di dieci vittorie consecutive nelle prime dieci giornate, stabilendo un record tuttora imbattuto in serie A. E’ una Roma arrembante e spietata che riporta grande entusiasmo in una città ancora dolente per il derby perso a maggio in finale di Coppa Italia. Sembrano lontanissimi i tempi in cui persino Antonello Venditti minacciava di ritirare il suo inno “Roma, Roma, Roma” che precede da anni le sfide all’Olimpico. In pochi mesi l’allenatore elegante arrivato a Roma con moglie e tre figlie parlando di vini e di lirica, ha rimesso la chiesa (la Roma) al centro del villaggio (Roma), per usare una sua memorabile espressione che ne farà a fine stagione una icona cittadina a metà strada tra Bergoglio e Capello, l’ultimo allenatore ad aver portato lo scudetto nella Capitale. Anche il vecchio appassionato di basket che odiava il calcio, si riscopre grande esperto della materia, tanto che Pallotta, di solito non così presente a Roma e sui giornali, viene preso da una improvviso bisogno di mettere il suo marchio su questa festa inattesa.
A fine novembre, con la squadra al secondo posto staccata di un solo punto dalla vetta della classifica, rivendica come Rudi Garcia fosse stata – “ovviamente” riportano i virgolettati dell’epoca – una sua scelta per impostare un progetto con un trainer che rimanesse a Roma almeno 10 anni, sul modello di Alex Ferguson al Manchester United.

Sotto la guida di Garcia la Roma, seconda soltanto ad una Juventus che stabilisce il record assoluto di punti in seria, ritorna in Champions League: vero ossigeno per una tifoseria caldissima delusa da due pessime stagioni e per una società sempre alle prese con le ristrettezze di bilancio.
L’avventura di Rudi Garcia prosegue spedita, sia in Italia, dove insidia a lungo il primato della Juventus, che in Europa, fino ad un attesissimo Roma – Bayern, in cui il sogno giallorosso si infrange contro la corazzata tedesca, reduce dal Triplete e ora allenata da Guardiola: una sconfitta casalinga per 7 a 1 che per prima fa vacillare le certezze intorno al tecnico francese e alle sue strategie. Nel frattempo il progetto stadio procede più a rilento del previsto, cosa che infastidisce molto James Pallotta, il quale non manca ad ogni dichiarazione pubblica di ricordare all’ambiente e ai media la centralità della sua realizzazione nel piano industriale e sportivo della società giallorossa.
Garcia porta comunque a casa un ottimo secondo posto, difeso con le unghie e coi denti dal ritorno dei cugini della Lazio, salvando il bilancio di giugno con la qualificazione diretta alla Champions e ribadendo così una supremazia cittadina che rende felice Pallotta, nonostante il presidente non abbia rispettato la promessa di essere in curva con i tifosi nel derby vinto per 2 a 1 nel mese di maggio, a quasi 2 anni esatti dalla disfatta subita in finale di Coppa Italia: fedele ai suoi modi che diventano sempre più cifra comunicativa della sua presidenza, si limita a twittare nella notte italiana un “Forza Roma”, dichiarando poi di essere stato così teso da aver preferito guardare la partita in casa piuttosto che al ristorante.

Ma come Rudi Garcia ha cambiato la Roma, così Roma e la Roma hanno finito per cambiare Rudi Garcia: al suo fianco non c’è più la moglie che lo aveva raggiunto dalla Francia, ma un’avvenente giovane giornalista del canale tematico giallorosso; alla lirica si è sostituito il violino suonato polemicamente all’indirizzo dell’arbitro in un celeberrimo Juventus- Roma a Torino; il linguaggio prima elegante e compassato si è fatto via via più polemico e pungente. Risalgono a questa terza estate i primi dissapori in un rapporto idilliaco che sembrava legare l’allenatore, il direttore sportivo Sabatini e il presidente.
Ad inizio giugno, dal consueto vertice che deve fissare a Londra le strategie giallorosse per la nuova stagione, viene escluso a sorpresa il tecnico francese, che pure in conferenza stampa aveva anticipato alla stampa l’opportunità di un confronto che impegnasse la proprietà a ridurre il gap con la Juventus: se la società si limita a parlare di vertice di natura “totalmente dirigenziale”, Sabatini non nasconde il disappunto per le dichiarazioni di Garcia, a cui rimprovera di aver sbagliato il saggio di fine anno.

Dal vertice dirigenziali di Londra escono però ridimensionati sia l’uno che l’altro: viene messo da parte il preparatore atletico Paolo Rongoni, uomo di fiducia di Garcia, e alcuni collaboratori dell’area tecnica e sanitaria considerati vicini a Sabatini. La nuova Roma nasce intorno agli uomini voluti da Pallotta: il preparatore atletico Darcey Norman, reduce dai successi ottenuti in Germania, uno staff sanitario rivoluzionato e il manager Alex Zecca, poco incline alle interviste, con un passato amatoriale da calciatore e un presente da imprenditore di successo, tanto che nei molti di sua proprietà in America, amano intrattenersi le maggiori star di Hollywood e alcuni protagonisti del calcio mondiale. Le cronache, o forse le leggende, parlando addirittura di un saluto con inchino rivolto al nuovo manager giallorosso da Mourinho in persona.
Nel frattempo a metà giugno viene consegnato al sindaco Marino il progetto esecutivo del nuovo stadio, che prevede un avveniristico piano di riqualificazione della zona di Tor di Valle e che James Pallotta in persona presenta in un grande evento all’EUR. In meno di tre anni, il Presidente si impegna a portare a termine l’opera: “22-24 mesi è quanto ci vuole per costruire lo stadio, abbiamo l’approvazione del comune e in 6 mesi avremo l’autorizzazione della Regione” dichiara entusiasta.
E sembra fargli eco una bandiera giallorossa come il capitano Francesco Totti che parla dello stadio come di un Colosseo moderno in cui tutti i tifosi avrebbero potuto godere di uno spettacolo sportivo con strutture all’avanguardia. Purtroppo sia il progetto stadio, che la stagione sportiva non rispetteranno gli auspici delle strategie presidenziali: in una città travolta dallo scandalo di Mafia Capitale, il sindaco Marino viene costretto a dimettersi e il Comune commissariato; le scelte di Pallotta sulla gestione sportiva non danno i risultati sperati e sia Garcia che Sabatini non nascondono il loro aperto disappunto verso la società. Nonostante ciò, dopo l’ennesima vittoria di Garcia in un derby, Pallotta parla a fine novembre di una squadra fenomenale, che corre per 90 minuti – si sottitende per merito del fido Darcey Norman– e in cui il tecnico sta lavorando bene, anche sotto l’aspetto tattico.

La quiete prima della tempesta. Soltanto qualche settimana più tardi, agli inizi del nuovo anno, con la Roma in aperta crisi di gioco e di risultati, il Ferguson giallorosso, l’allenatore con cui il presidente parlava dei prossimi 20 anni, Rudi Garcia, viene esonerato con una scelta che lo stesso Pallotta definirà relativamente facile da prendere e che quasi si rimprovera di non aver preso prima. Il 2016 della As Roma, quinto anno della gestione americana, si apre dunque con un nuovo cambio di allenatore e questa volta si tratta di un inatteso ritorno… (alla prossima puntata).