Ieri era una bella giornata. Per un tifoso, per quanto io lo sia cercando di non esternare troppo la mia passione o di rompere le scatole agli altri malati per la mia o per altre squadre, era una bella giornata anche perché era in calendario un appuntamento con la mia bella squadra del cuore.
Ecco, il cuore. Quando si parla di amore il cuore lo si considera come un contenitore di bei sentimenti, chiuso a scrigno o aperto a rivelazioni, amareggiato o esuberante di energia positiva e traboccante di eccessi, ma, comunque, tutto figurato, a parte quando lo si definisce palpitante perché, almeno per esperienze personali, in alcuni momenti la frequenza cardiaca si accorciava a tal punto da non capire se vi fosse davvero una qualche pausa tra un battito e il successivo.
Ecco, quando si parla di amore per una squadra di calcio, il cuore non è solo una figura retorica da tirare in ballo all'occorrenza per formulare esempi di attaccamento, ma è quella cosa che a volte ti frastorna le orecchie dall'interno, pompando sangue per un ingiustificato stato di allerta che si mantiene nei momenti di aspettativa, positiva o negativa, e che spesso si abbassa per qualche momento di sollievo o un “oooooh” prolungato di delusione, risalendo subito in attesa di dare il massimo sfogo liberatorio e parossistico in un fragorosamente negativo “nooooo!” ad un goal subito o mancato e a un liberatorio, magmatico, eruttante “goooooool” al verificarsi dell'evento più atteso dell'incontro per i colori del cuore.
Tifare la Pazza è molto di più di questo. Non sai mai dove ti porterà, anche quando i pronostici, favorevolissimi, ti danno in cartello una partita tutta in discesa, che poi è uno strano modo per esemplificare l'idea di una partita dal facile risultato, proiettandoti davanti un campo di calcio in forte pendenza verso la porta avversaria e, ovviamente, ad un unico tempo, che impedisca alla sfortunata avversaria di godere del dovuto (e molto dubbio, per chi ha veramente giocato al calcio) beneficio.
Ecco, per me, invece, quando si parla di partita in discesa, mi si proietta nella memoria l'unica partita giocata, in un torneo tra le varie parrocchie cittadine, in un campetto effettivamente in leggera pendenza, comunque sufficiente ad avvertirne una certa difficoltà nei cambi di velocità del pallone. Costruito su un lato collinare che finiva in uno strapiombo e delimitato da mura in cemento a cui, probabilmente per sopravvenuta bisogna, era stata aggiunta una rete metallica molto alta tesa a evitare che anche il più maldestro dei contendenti potesse fare un fuori campo che mandasse alle ortiche la partita...
In verità, la forte pendenza esterna, oltre che dal nutrito numero delle citate e immancabili ortiche, è ancora ammorbidita da pazienti linee di piante di fichi d'india e di fichi cresciuti in piena autonomia, rendendo un'idea di naturale stabilità, e ingentilita da piante di cappero - che ostentano una discreta e, alquanto falsa, modesta presenza, sapendo di stupirti rendendola spettacolare al momento della loro fioritura, facendosi poi perdonare di quel loro innocuo gioco, proponendo i loro saporiti frutti – e, pure essi quasi irraggiungibili, se non a rischio dell'osso del collo, gustosissimi e profumati finocchietti selvatici, per cui immagino che prima dell'adozione di quella rete metallica, alla fine di ogni partita, una squadra di volontari dovesse inerpicarsi su per la collinetta, in difficilissimo equilibrio, alla ricerca di palloni che, altrimenti, avrebbero messo in difficoltà il bilancio della parrocchia, per la parte dedicata allo sport.

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Tornando alla Pazza: con la sua volubilità, negli ultimi tempi mi sta portando alla rovina. Oltre che mentale (per via dell'adattamento del “chi va con lo zoppo...” che dovrebbe in questo caso portare chi va con l'Inter a “pazziare”, detto simpaticamente alla napoletana, anche se nel loro senso ha un'accezione più positiva) anche fisica, per via della quantità spropositata di cioccolato consumato.
Se in attesa delle partite in quantità limitate, perché ancora in possesso di una presenza residuale di buon senso, mentre durante le partite, irrefrenabilmente e del tutto inconsciamente - mentre la Pazza mi trascina su e giù per situazioni, strapazzando, anziché accarezzando, i miei sentimenti, pur sempre immancabilmente di amore, di cui si approfitta con quasi noncuranza – continuo a portare alla bocca prima qualche quadratino di quella meravigliosa panacea per il mio sistema nervoso, staccato educatamente dalla tavoletta a cui appartiene, poi, man mano che il gioco si fa duro, l'educazione viene meno e i pezzi portati alla bocca hanno la forma straziata e irregolare del nervosismo crescente.

Certo, chiederete voi, ma la forza di volontà porrà pure qualche limite? È con lo stesso “certo” che vi rispondo... ma vale solo in forma conscia, prima che l'arbitro fischi l'inizio, poi, la Pazza mi cattura ed è la fine: le tavolette di cioccolato sembrano avvicinarsi a portata di mano da sole, sollecitate da una forza di attrazione che non immaginavo neppure di possedere, sbucando una alla volta e ognuna dichiarandosi come ultima da cui staccare ancora un solo quadratino, sollecitando una forza di volontà che è, invece, completamente svaporata mentre la Pazza si manifesta irrequieta e inquietante.
Ecco, il problema è che, in quest'annata in cui la Pazza è più irrequieta del solito, il mio girovita, piano piano, ma in modo inarrestabile, sta assumendo aspetto e dimensione preoccupanti che, alla lunga, potrebbero darmi non solo i fastidi dovuti ad uno scarso appeal estetico.
Allora, a malincuore, sapendo che la mia buona volontà, ferrea e risoluta, forte di buoni propositi quotidiani, si assenta quando servirebbe di più, vale a dire non appena arriva la Pazza su un campo di calcio, ho deciso di non frequentare più i corridoi dei supermercati che hanno un'attrattiva particolare in quanto mostrano delle allettanti e pericolose barrette di cioccolato, nonostante che, quando provenendo dal reparto dei vegetali, di cui ho fatto scorta stimolando un po' di acquolina in bocca immaginando l'utilizzo che ne farò, come sempre mi accade quando acquisto cibo, la distrazione in cui sono ancora immerso, mentre oltrepasso il corridoio dei latticini, venga spesso turbata da una vocina, che più reale non potrebbe sembrare, che mi sussurra di infilarmi in quello pericolosissimo dei dolciumi, per “dare solo un'occhiata ma non comprare nulla” allo scaffale delle pericolose barrette.
Allora, d'un tratto, il passo si fa pesante, quasi sofferente nel tirare avanti, e la vocina - che all'inizio temevo fosse di qualche commessa, di cui non vedevo però neppure l'ombra intorno, che, sapendo che il suo posto di lavoro era reso più sicuro anche dalla quantità di spazio vuoto che lasciavo dietro di me nello scaffale del cioccolato, avanzava qualche incoraggiamento – si fa quasi piagnucolosa nella sua insistenza e, come Ulisse che ottenne un discreto risultato al canto delle sirene, vorrei legarmi a qualcosa, ma quello più vicino è il banco del pesce e, qualora riuscissi anche a trovare un appiglio, soccomberei, pure da vegetariano convinto, per via del forte odore e non mi sembra un buon risultato, anche se la Pazza ha provato già, in questa annata, a fortificarmi lo spirito in quanto a risultati non buoni.
Così, eroicamente, guadagno un paio di centimetri per volta, strascicando i piedi, verso la salvezza del corridoio delle spezie, dei pomidoro in conserva e della pasta secca.

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Ieri, mercoledì di Inter-Benfica, dicevo prima che era una bella giornata, al contrario di quella buia e scontrosa di oggi che, almeno, sta rendendosi utile alla causa della siccità facendo cadere una buona quantità di pioggia, che mi regala qualche milligrammo di ottimismo in tal senso. Esiguo... di passaggio... ma pur sempre ottimismo, cosa che per un sospetto metereopatico è incongruente. Essendo tale e, in assenza di cioccolato, perché sostanza diventata proibita, ho pensato di alleviare le mie ansie nerazzurre con una discreta quantità di tempo da spendere in uno spazio definito parco, anche se la mano dell'uomo ha addomesticato quel poco di selvatico che vi era, che comunque tenta risolutamente di riaffermarsi, rendendo linee piacevoli e regolari a ciò che vi è intorno e prati molto curati.

Adesso la Primavera sta disegnando l'ambiente che abiterà come meglio le aggrada, rivestendo ad esempio di verde, ancora tenero e vulnerabile, il sottobosco di rovi, fino a poco tempo fa desolantemente spogli e ischeletriti, che circonda parte di un minuscolo laghetto che, dall'altra parte, comincia a fare spazio ad un po' di verde anche tra il giallo spento del canneto, dove scivolano gallinelle d'acqua, o si aggirano a riva, con maggiore convinzione e fortuna di qualche settimana fa, in cerca di larve e insetti, a poca distanza da un tronco sommerso a metà sul quale, quasi mimetizzate, si sono sistemate grosse tartarughe sonnecchianti al sole.
La regolarizzazione forzata dall'uomo non può impedire che i fiori del tarassaco spezzino impudenti il verde malamente uniforme dei prati, dove, se guardi bene, prima di fiorire anche loro, rivelando la loro presenza, grandi spazi sono colonizzati dalla malva e, oltre le tollerate margheritine che fanno chiazze di colore, protette al limite del sottobosco ombroso, numerose piantine di gustosa alliaria, fuorilegge in quel contesto, alzano incuranti le loro foglie e mi attirano per annusare, dopo averne spezzato una foglia, il piacevole e delicato aroma di aglio che da loro il nome, e di cui ho spesso apprezzato il sapore, all'inizio della primavera. Non vedo ancora, anch'esse nascoste dall'uniformità del colore, se non hai l'occhio allenato, le diffuse piantine di erba cipollina che, forse, si proporranno più in là.

Ho tirato fuori la mia Lumix TZ202 non appena lasciata la strada che porta all'ultima fermata del metrò, che mi riporterà sotto casa più tardi, e, dopo aver catturato qualche immagine qua e là, mi dirigo sicuro verso un posto dove poco tempo fa, negli ultimi giorni che, fuori dai dettami del calendario, regolano un confine molto incerto con l'inverno, la primavera sembrava anticiparci un po' del suo colore con cespugli coloratissimi e alberi che, prima ancora di mettere le foglie, presentavano bei fiori.
Quel luogo non è più coloratissimo, anzi, s'è fatto molto discreto, ma non mancano altri alberi fioriti e, a strapparmi un sorriso, anche se non a sollecitarmi una foto, vi è un'area di magnifiche ortiche a cui mi avvicino perché mi sembrano tenere e polpose, ma con qualcosa di strano. Quando sono accanto mi rendo conto che la stranezza è dovuta al fatto che mancano tutte della tenera parte apicale. Avendo dato per scontato che nel parco nessuno tocca le piante, non avevo messo in conto che qualche golosone si fosse appropriato di quella irritante e scostante delizia, per un risotto o un contorno di delicata verdura. In Sicilia le avevo sempre considerate inutili erbacce, perché, sin da piccolo, trovavano sempre modo di spuntare sui sentieri che portavano agli orti e immancabilmente ad irritarmi, se dovevo raccogliere qualcosa a cui loro fossero vicine. Ho imparato ad apprezzarle a tavola in Lombardia, nelle mattinate di ricerca di funghi e erbe selvatiche, consigliate da qualche conoscente e facilmente attecchite nella curiosità mia e di mia madre.
D'altro canto anch'io, nel mezzo dell'autunno, trovato un albero bagolaro all'interno del parco, avevo staccato e mangiato una gran quantità di piccole e dolci sfere nere, stimolo per ricordi siciliani e improvvisato piacere per le papille gustative.

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Al ritorno a casa, mi porto dietro una buona scorta di tranquillità sperando che la Pazza non me la faccia consumare in tempi troppo brevi, anche se, in fondo, non ammettendolo chiaramente, le emozioni forti che pavento mi mancherebbero se non le vivessi e la Pazza non me le garantisse per certo. È solo il rapporto tra quelle positive e quelle negative che mi abbacchia, in un anno come questo.

Come a non volere essere scontata, la Pazza conferma, al contrario del suo procedere in campionato, le belle cose viste nella partita di andata, dove aveva dissolto i timori di tifosi e giornalisti sportivi uscendo con un meritato 2-0 e facendo sorridere per avere consistentemente aumentato le possibilità che una seconda squadra italiana potesse, con una semifinale tutta italiana, garantire un'italiana nella finale. Ieri sera tale conferma è avvenuta ancora con una bella prestazione che, però, ha avuto anch'essa momenti che avrebbero richiesto dosi massicce di cioccolato, soprattutto nella parte finale dove, in pochi minuti, ha cancellato dalla storia della champions il tramandare un risultato che descriveva meglio l'andamento della partita (3-1) con un altro che dirà a futura memoria, quella che rimane indelebile imprimendosi nella storia, di un esaltante e probabilmente sempre in discussione 3-3. Ma così è.
Solo oggi, a freddo, ho potuto apprezzare, analizzandoli con calma, alcuni passaggi esaltanti e momenti di altissima qualità che a una prima lettura mi erano sfuggiti. Ad esempio, a parte i goleador nerazzurri e la prestazione dei compagni in generale, nessuno, a leggere i resoconti giornalistici oggi, ha esaltato la genialità assoluta di Marcelo Brozovic.

In precedenza e anche durante la cronaca della partita è stato accennato allo scontro in allenamento tra Marcelo e il suo amico Onana, prima verbale e poi quasi fisico, segnale di nervosismo tra le file nerazzurre. Tutto superato, dichiaravano. Ho dato per buono tutto questo, in perfetta buona fede.
Oggi, nel ripensare alle fasi finali della partita non ho potuto che sorridere al pensiero di un'azione sfuggita ai più nel suo giusto valore: quel geniaccio di Marcelo Brozovic, che aveva solo fatto finta di riappacificarsi con l'amico André, con il risultato sul 3-1, ha innescato un'azione paragonabile per precisione ai colpi più riusciti dei campioni del biliardo: con la difesa aperta per il riavvio dell'azione ha passato palla ad un avversario che, dopo un primo momento di stupore per il regalo, è riuscito a tirare con abbastanza pericolosità e precisione da colpire il palo interno con il pallone che rimbalzava violentemente colpendo la faccia di Onana che si era tuffato nella vana ricerca del pallone, facendogli sanguinare il naso. Praticamente ha colpito Onana in faccia, come voleva fare durante il loro scontro, senza rischiare reazioni violente da parte di André. Solo un giocatore della Pazza poteva immaginare ed eseguire alla perfezione il delitto perfetto davanti a 75.000 accaldati spettatori allo stadio e milioni davanti ad uno schermo... e solo un tifoso della Pazza, in crisi da astinenza da cioccolato, avrebbe potuto scoprirlo.

Come sempre, e con maggiore ragione in questa occasione, mi scuso con chi ho convinto a questa lettura creando delle aspettative di un qualche senso poi mancato...