Oggi vi porto nella storia di un signore che tanti anni fa faceva il calciatore, lo conosco da quando son nato, eppure a nessuno lo ha mai raccontato, così che un giorno tra parole varie, la sua storia a cominciato a raccontare. Come sempre nascondendo la sua identità, porterà questo nome qua; Araldo Biliotti

Sono Araldo, sono nato ad Anzio nel 1930, mio padre Faustino era un impiegato alle poste, mia madre Giuseppa faceva la lavandaia per i 'Signori'. Sono il secondo figlio di due, mio fratello Pancrazio è più grande di me di due anni. Fin da ragazzino, non andando a scuola, aiutavo mio nonno Plinio ad aggistare le motorette, si come si chiamano oggi motorini, ecco all'epoca si riparavano le Moto Guzzi, Falcone, i Pegeout, ricordo che seguivo le sue movenze e le ripetevo su una moteretta che aveva nell'officina, diceva che avrei dovuto farla funzionare tutta, prima di farmi mettere le mani sulle motorette degli altri. Ricordo che tornavo a casa intonzo di grasso e olio e il puzzo dei fumi di scarico. Così ogni giorno andavo nell'officina, che poi chiamarla officina era tanto, era un capanno di lamiera, però vedendo mio nonno quanta passione ci metteva, era come entrare oggi in una di quelle scuderie di Moto Gp, ecco lui le prendeva spesso malridotte e le rimetteva a nuovo. A me dava un centesimo di Lira al giorno, quindi al mese prendevo 2,8 Lire, che in quel tempo bastavano per comprare un chilo di pane o poco più. Mio fratello invece spazzava i cortili, e si guadagnava qualcosina. La sera ricordo che ci siedevamo a tavola, e dopo aver condiviso il pasto, facevamo a gara a chi resisteva di più a restare sveglio, e alla fine ci addormentavamo tutti sul tavolo. Nel 1940, l'Italia fù invasa dai tedeschi, e ricordo che mio nonno fù costretto ad aggiustare i convogli e le motorette, per non vedersi buttare giù la sua 'officina'. Ecco che al mattino, avevo appena dieci anni, ma mi trattavano come fossi stato un adulto, al mattino arrivavano e se alla sera non era tutto apposto minacciavano di distruggere tutto, e a mio nonno di essere fucilato. Così mio nonno mi insegnò per filo e per segno quel che dovevo fare, anche mio fratello venne chiamato a lavorare, dovevamo fare tutto di fretta e non c'era più l'opportunità d'imparare, dovevamo agire. Ricordo che ogni giorno mettevamo apposto una decina tra convogli e motorette, anche se poi il guadagno era davvero misero. Quando la Guerra finì, e gli americani scacciarono i tedesci, tornanno a lavorare in tranquillità, avevo quasi quattordici anni, e oramai conoscevo da capo a fondo sia le auto che le motorette. Così che un giorno, mio nonno era ammalato, lavorai da solo, e il giorno dopo con grande sorpresa gli dissi "Nonno, ricordi quel catorcio che avevi per farmi imparare? Oggi è così!", rimase senza parole, quella motoretta l'avevo riportata a nuovo, scartavetrata e lucidata con un giorno solo, e decise di regalarmela. La passione per i motori andava però a pari passo con quella per il calcio, non ero un vero tifoso, ma quando la mia famiglia decise di trasferirsi a Roma, nel 1945, decisi da tentare l'avventura, tanto che un giorno, mi presentai al Campo "Madonna del Riposo" dove giocava la Fortitudo, chiesi se potevo fare gli allenamenti, e me lo concessero. Ricordo che c'erano gli spogliatoi privi di spogliatoi e di docce, ricordo che mi presentai direttamente con un paio di pantaloncini e maglietta, con pallone sotto il braccio. Ecco quindi che da bassetto qual'ero, 165 cm, ma molto veloce, ricordando che in quei tempi di guerra correvo tra i bombardamenti per tornare a casa, tiravo il gruppo, tanto che molti da dietro mi gridavano "Oh, rallenta, che questo (mister) ci fa fare 10 giri di campo!". A fine allenamento, stramorto di mio, ci faceva fare la partitella, e io venivo utilizzato come centrocampista, ad oggi posso dire alla Pirlo, anche se io ero parecchio rude, quindi un centrocampista alla De Rossi, per intenderci. Ricordo che giocavamo nelle Regionali Laziali. L'allenatore, non mi sovviene il cognome, io e i miei compagni lo chiamavamo il 'Dittatore' di nascosto da persone che avrebbero potuto riportarglielo; Freddo, poche parole, e se non si rigava dritto si veniva spediti a casa. Ricordo che fui messo subito in campo, visto che, come detto, il centrocampista titolare fù cacciato per aver detto una parola fuori posto, quindi mi trovai fin da subito titolare. La prima stagione, se non erro, si concluse male, eravamo fuori dalle prime posizioni, se non erro noni o decimi, la seconda poco più sù, mentre al terzo anno, stagione 1947-1948 arrivammo terzi, e segnai qualcosa come dieci o dodici reti, tirando da fuori area. La squadra venne promossa a tavolino alla Promozione. La squadra era davvero forte, tanto che ci ritrovammo la stagione seguente al terzo posto finale, ed anche in quella stagione segani 10 reti, una su punizione, la ricordo come fosse ieri, e sono passati ben 73 anni...Palla al limite dell'area alla mia destra, il portiere avversario piazza la barriera tutta alla sua sinistra, io sinistro naturale, so che posso metterla a giro, così al fischio dell'arbitro e con due compagni di squadra che disorientano lo sguardo del portiere, calcio di potenza a giro e la metto nel sette alla destra del portiere. La nostra tifoseria esplose in un urlo generale, c'erano pressapoco un 200 persone, eppure si sentivano come se fossero state mille. L'anno successivo però la squadra venne indebolita, dalla As Roma, e quindi a con un gruppo nuovo, ci trovammo a retrocedere di nuovo in Prima Divisione. Fino al 1951 restammo tra la nona e la decima posizione, non tornammo più a lottarci il campionato. Ricordo che nel 1952, con il declassamento del Lodo Barassi, una riforma per le categorie minori, la società si trovò in difficoltà, non giocammo nella stagione 1952-53 e 1953-1954, mentre l'anno successivo la società decise lo scioglimento. Decisi quindi di abbandonare il calcio e di tornare ai motori, aprendo, grazie ai risparmi di mio padre, una mia officina, dove lavoravamo io e mio fratello. Nel 1961 mi sposai con mia moglie, che era la mia ragazza da ben 10 anni, da nostro amore nacquero due figli; Giovannangelo nel 1968 e Lavinia 1970. Nella mia officina venirono tantissime celebrità del cinema e del calcio, e molti ex compagni di squadra che poi divennero veri campioni con il tempo. La mia officina poi l'ho chiusa nel 2010, perchè nessun erede voleva continuare tale lavoro. Ora sono un 'giovane' pensionato di 91 anni, che però non ha smesso di sistemare automobili, e già, spesso, ancora oggi, quando a bordo della mia alfetta del 1972 e sempre con valigetta dei ferri dietro, trovo persone ferme con le auto in panne, mi fermo e rimetto a posto le loro auto, se possibile. La passione per il calcio e per i motori continua ancora oggi, ma se al calcio oramai, non si può più sperare in una chiamata...hahahaha...per i motori posso ancora dire la mia.